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Marmi meravigliosi

Arte e Cultura07 Aprile 2018
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Un’imponente mostra monografica su Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598-Roma 1680), genio artistico del Barocco romano, ha letteralmente invaso le sale già ricolme di tesori della Galleria Borghese di Roma, teatro delle imprese artistiche commissionate dalla famiglia pontificia dall’inizio del Seicento.

L’esposizione – che è rimasta aperta fino al 20 febbraio con un eccezionale favore di pubblico – ha posto l’accento sulle opere di scultura dell’artista, indagando i vari aspetti del lavoro con il marmo, sia dal punto di vista creativo, sia per quanto concerne il tema del restauro dell’antico. Passo dopo passo è stata rintracciata dunque l’elaborazione dell’idea che, attraverso la sua esternazione sottoforma di disegno, diviene il bozzetto in terracotta fino a trasformarsi nell’espressione finale marmorea, con il lento e meticoloso lavorio di scalpello, strumento simbolo del massimo virtuosismo di Gian Lorenzo.

 

Evoluzione artistica

La mostra, curata da Anna Coliva, direttrice della Galleria e Andrea Bacchi, si articola in otto sezioni, volte a dare prova dell’evoluzione artistica del genio beniniano, dalle opere che segnano il suo esordio sotto l’ala paterna alle espressioni altre del suo potere artistico ossia i dipinti, che ci offrono un differente punto di vista sulla poliedrica personalità di Gian Lorenzo. L’apprendistato presso Pietro Bernini, anch’egli scultore, fa scaturire un ampio dibattito tra gli esperti circa le iniziali creazioni di difficilissima attribuzione, dove sicuramente la mano del più maturo maestro lascia già spazio all’inventiva esplosiva del figlio e allievo. Tuttavia, i linguaggi, ancora molto vicini, si sovrappongono con tale precisione da rendere davvero complesso il tentativo d’individuazione del tocco dell’uno rispetto all’altro.

Proprio per la Villa Borghese il giovane Bernini realizzò i celebri gruppi scultorei dietro commissione del cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V (1605-1621), opere somme, ancora oggi conservate nel loro spazio originario, elemento che rende la Galleria, come ricorda puntualmente Coliva, il luogo d’elezione di una mostra sull’estro scultoreo dell’artista.

A partire dal 1607 il cardinal Scipione iniziò a raccogliere una collezione preziosissima da destinarsi alla villa, composta da una selezione accurata di pezzi scultorei antichi, così come di selezionati capolavori dei grandi pittori del Cinquecento quali Tiziano e Raffaello; a queste acquisizioni, il colto cardinale, sensibilissimo conoscitore d’arte, unì una consistente sezione di opere a lui contemporanee: tra queste ricordiamo la Madonna dei Palafrenieri, il Bacchino malato di Caravaggio e i celeberrimi gruppi scultorei eseguiti da Bernini tra il 1615 e il 1623: la Capra Amaltea, Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, David, Apollo e Dafne, oggi sistemati ognuno al centro di una sala all’interno della villa, ispirati alla storia della fondazione di Roma, alla mitologia greca, oltre che all’Antico Testamento.

 

Preludio di futura grandezza

In questi gruppi giovanili la visione di Gian Lorenzo si esprime già pienamente, ma procede gradualmente da una iniziale tendenza narrativa, ancora un po’ didascalica, ad esempio nell’Enea che trasporta sulle spalle l’anziano genitore, e da una ricerca estetica, che risulta essere ancora il fine della ricerca artistica, fino a raggiungere una comprensione sempre più profonda e scandagliata degli stati dell’animo umano, che emerge nel viso di Proserpina, e soprattutto nello sguardo di David: l’eroe biblico, reso da Bernini più uomo di quanto non lo descrivano le Scritture, mostra una determinazione, una volontà di superare gli umani limiti fisici e diremmo perciò una fede incrollabile in una guida superiore, divina, che attraverso un gesto trasformi la realtà delle cose e permetta l’accadimento eccezionale. Tutto questo è espresso in uno sguardo, nella mandibola serrata, in un’attitudine del corpo, rese con una perizia eccelsa. Questi gruppi scultorei sono manifestazioni di una capacità artistica fuori dal comune e preludono alla grandezza futura.

Nel novero delle importanti creazioni berniniane si inseriscono i difficili restauri dei marmi archeologici, fra cui il celebre Ares Ludovisi, celebre impresa di reintegro proveniente dal romano palazzo Altemps, qui affiancato al Marco Curzio Borghese, opera di restauro di Pietro Bernini. Ecco ancora accostati dunque padre e figlio, anche nella loro specifica visione legata al restauro, secondo un leitmotiv che sembra interessare molto i curatori della mostra.

Tra le sezioni più importanti va citata quella che raccoglie i busti realizzati tra gli inizi degli anni Venti e gli anni Settanta del Seicento, una successione di ritratti che attraversa cronologicamente tutta la vita di Bernini. Dai bronzi di Gregorio XV e Paolo V (1621-22) fino ai marmi raffinati (che ritraggono nuovamente Paolo V), il cardinal Borghese, il cardinale Richelieu fino a Clemente X, datato quest’ultimo tra il 1676 e il 1680, anno della morte dello scultore. Da menzionare anche il Busto di gentiluomo e la celebre Costanza Buonarelli, opera magistrale in cui emerge, oltre al virtuosismo tecnico, l’approfondita resa psicologica nella definizione del volto bellissimo della giovane donna.

 

La Fontana dei Fiumi

La sala dedicata alla Fontana dei Fiumi in Piazza Navona, apice dei lavori di ristrutturazione che videro impegnati numerosi architetti e pittori per volere di papa Innocenzo X Pamphilj – tra cui anche il grande antagonista di Bernini, quel ticinese Francesco Borromini, che offrì a Roma un’interpretazione del Barocco diametralmente opposta rispetto al nostro – accoglie i disegni e il bozzetto della fontana, opera destinata alla glorificazione della famiglia papale, che divenne esaltazione dell’attività missionaria della Chiesa nel mondo. La fontana con le rocce e le personificazioni dei fiumi tramanda un portato simbolico che con l’obelisco, emblema di luce, glorificano il credo cattolico, credo che universalmente illumina i popoli attraverso la divina Sapienza.

La mostra romana inserisce quale conclusione del percorso alcune opere di grandissimo impatto, ma di incerta attribuzione, tra cui il busto del Salvatore di Norfolk, qui posto accanto a quello rinvenuto successivamente nel 2001 in San Sebastiano fuori le Mura a Roma e riconosciuto come autografo in primis da Maurizio Fagiolo dell’Arco e da Francesco Petrucci, seguiti da Giovanni Morello e dal curatore della mostra appena conclusa, Andrea Bacchi. La scultura sarebbe l’ultima opera realizzata da Bernini nel 1679, lasciata in testamento alla regina Cristina di Svezia, da costei donata a papa Innocenzo XI e rimasta infine in casa Odescalchi, dove fino alla fine del Settecento era documentata negli inventari dei beni. Oggi l’attribuzione non è accolta da tutti gli studiosi, ritenendo evidente una eccessiva elaborazione e a tratti un superamento degli stilemi berniniani. Il busto rimane tuttavia un documento imprescindibile del lascito creativo di un artista unico al mondo: senza la sua peculiare visione, un capolavoro di questa portata non sarebbe mai stato concepito.

 

Questo testo di Michela Gianfranceschi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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