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Mantova: dalla leggenda alla storia

Tesori d'Italia02 Gennaio 2019
Testo dell'audio

Le origini di Mantova si perdono nella leggenda. Secondo i più (anche se non mancano altre interpretazioni) il nome deriva da quello della profetessa Manto, figlia dell’indovino tebano Tiresia. Perseguitata dopo le infauste previsioni paterne (Tiresia aveva aperto gli occhi a Edipo circa le sue colpe), fu costretta a fuggire da Tebe. Stazio, nella Tebaide, ci narra che dopo la morte del padre durante l’assedio dei Sette, essa iniziò a vagare per molti paesi lontani, finendo per approdare presso le rive del Mincio: qui, con le sue amare lacrime, creò addirittura il lago che ancor oggi circonda la città.

La leggenda citata da Virgilio e Stazio venne ripresa anche da Dante (i cui accenni a Manto creano non pochi problemi interpretativi, poiché apparentemente viene posta sia all’Inferno che nel Limbo) e tale personaggio è quindi tanto strettamente legato a Mantova che riesce difficile prendere in considerazione l’ipotesi che la città riprenda invece il proprio nome da una divinità etrusca, il dio dei morti, Manth.

La città di Matilde di Canossa

Al di là del mito – bellissimo – comunque il primo nucleo da cui poi si sviluppò l’odierna Mantova sorse su alcune isolette formate da materiale depositato dal fiume Mincio, intorno al 2000 a.C., quando la zona era circondata dagli stagni e, quindi, era relativamente ben difendibile.

Gli etruschi la ingrandirono verso il VI secolo: quindi, al tempo delle guerra puniche, entrò nella sfera di influenza romana (l’anno della conquista è il 214). Fino al Medioevo non divenne però, secondo lo stato attuale degli studi, un centro urbano particolarmente importante. Sotto Carlo Magno essa fu elevata a sede di vescovado: questo perché furono rinvenute le ossa del centurione Longino e le reliquie del Preziosissimo Sangue, che il milite romano avrebbe portato con sé fino a Mantova, dove nell’anno 37 sarebbe stato martirizzato.

Attualmente le reliquie di Longino e del Preziosissimo Sangue sono conservate nella chiesa di Sant’Andrea, sorta intorno al luogo ove il martire le aveva nascoste, sotterrandole.

Con l’anno Mille fu inglobata nei possedimenti dei Canossa, la cui ultima e più nota rappresentante fu la contessa Matilde, protagonista della riconciliazione tra Papa Gregorio VII e l’Imperatore Enrico IV, la quale nacque proprio a Mantova nel 1046.

In questo periodo Mantova si arricchì di edifici notevoli: purtroppo, l’unico ancora in piedi ai nostri giorni è la Rotonda di San Lorenzo, forse costruita sui resti di un tempio pagano alla fine dell’XI secolo. Nel 1064 ospitò addirittura un concilio, che riconobbe Alessandro II come papa legittimo contro le pretese dell’antipapa Onorio.

Dopo la morte della contessa Matilde, ultima rappresentante della casata dei Canossa, la città di Mantova si resse come libero comune: sorsero le costruzioni pubbliche che avrebbero dovuto simboleggiare la sua indipendenza, soprattutto nei confronti del potere imperiale: il Palazzo del Broletto (dove risiedeva il Podestà) e quello della Ragione (dove si amministrava la giustizia e si tenevano le assemblee cittadine) e fu razionalizzato il sistema fluviale del Mincio per creare il sistema lacustre che circonda la città e renderla meglio difendibile. Il progetto – realizzato in una decina di anni (1188-1199) dall’architetto idraulico Alberto Pitentino – non solo rese imprendibile la città per vari secoli, ma la fornì anche di un dislivello che poteva alimentare ben dodici mulini.

Notevoli anche gli edifici religiosi, in stile romanico, di cui però solo alcuni campanili (come quello del duomo) sono giunti fino a noi, sopravvivendo ai rifacimenti rinascimentali.

Dal Comune alla Signoria: prima i Bonacolsi, poi i Gonzaga

Nel periodo delle lotte tra Ghibellini e Guelfi, il governo comunale – prima nelle mani del vescovo, quindi del podestà – si stava disgregando e nel 1273 Pinamonte Bonacolsi ne approffittò per prendere il potere. Questi, molto intelligente e membro di una potente famiglia, creò una signoria che durò poco – si chiuse nel 1328 – ma durante la quale Mantova si arricchì di imponenti palazzi merlati, come il Palazzo Bonacolsi, la Magna Domus e il Palazzo del Capitano (che più tardi sarebbe diventato Palazzo Ducale, dove avrebbero vissuto i Gonzaga), vide l’arrivo dei primi ordini mendicanti e il nascere di chiese e conventi di stile gotico, tra cui la Chiesa di San Francesco.

Un suo successore, Guido, nel 1303 emanò gli Statuti Bonacolsiani, interessante esempio di legislazione comunale: la famiglia, di simpatie ghibelline, si pose in atteggiamento di contrasto con la Chiesa: nel 1326 Rinaldo venne scomunicato e due anni dopo ucciso in un moto popolare, sostenuto dai Gonzaga (a loro volta sostenuti da Cangrande della Scala) che presero il potere.

Inizialmente solo grossi proprietari terrieri, i Gonzaga salirono socialmente e politicamente grazie a Gianfrancesco, che nel 1433 ottenne il titolo marchionale e sposò Barbara di Brandeburgo, nipote dell’Imperatore Sigismondo.

Mantova divenne allora una piccola capitale, uno scrigno pieno di preziosi gioielli architettonici, si arricchì di nuove chiese, della Rocca di San Giorgio (adattata a dimora principesca) e via enumerando, fino ad arrivare al famosissimo Palazzo Tè, dalla parte opposta della città, abbellito dagli splendidi affreschi di Giulio Romano, il cui nome è indissolubilmente legato alla città lombarda.

All’estinguersi del ramo principale dei Gonzaga, però, cominciarono problemi dinastici e, durante la Guerra dei Trent’Anni, Mantova venne assediata da un esercito di 36.000 lanzichenecchi, i quali, nel 1630, diffusero la peste (quella descritta nei Promessi sposi).

Il sacco seguito all’assedio ferì profondamente la città, la cui eleganza iniziò a divenire un pallido ricordo. Ottant’anni dopo il Duca Ferdinando si decise a una improvvida alleanza con i francesi nella Guerra di Successione Spagnola. La guerra fu disastrosa, il Duca fuggì l’ira imperiale rifugiandosi a Venezia (ma portando con sé un ricco “bottino” di quadri, gioielli e mobili), fu dichiarato decaduto per fellonia e Mantova passò dalla sua casata alla Corona imperiale.

Rinascita sotto gli Asburgo

Con l’arrivo degli Austriaci, la città sembrò rinascere: tra il 1707 ed il 1797, furono rifatti o restaurati numerosi edifici (in particolar modo la facciata del Duomo), costruiti altri ex novo e nacque anche la Regia Accademia di Scienze, Lettere e Arti, dotata dell’attuale Teatro Scientifico, sorto su progetto di Antonio Bibiena.

Nel 1797 giunse il “liberatore” Napoleone: impose come suo solito ai “liberati” pesanti gabelle e fece razzia, come di prammatica, di tele ed altri oggetti preziosi, tra cui rari incunaboli. Comportamento che causò – come del resto ovunque la “libertà” francese riusciva a giungere – alcuni moti di insorgenza antigiacobina.

Ma Mantova fu soprattutto il palcoscenico dove venne spento quello che è uno dei più importanti simboli della lotto controrivoluzionaria: Andreas Hofer, patriota tirolese, che venne fucilato dai napoleonici in località Cittadella il 20 febbraio 1810.

Con la fine di Napoleone l’Austria fece di Mantova uno dei capisaldi del famoso quadrilatero difensivo, fino a che nel 1866 entrò a far parte dello Stato Italiano.

 

Questo testo di Luigi Vinciguerra è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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