Mangiare da cristiani. Diete, digiuni, banchetti. Storie di una cultura

Nei due millenni del Cristianesimo si sono create norme religiose e consuetudini sociali, che hanno calorizzato l’importanza di certi cibi, primo fra tutti il pane e il vino. Dall’agnello pasquale ai dolci natalizi il medievista Massimo Montanari, nel suo saggio Mangiare da cristiani. Diete, digiuni, banchetti. Storie di una cultura (Rizzoli, Milano 2015, p. 270, € 22), compie un excursus storico alla ricerca delle motivazioni delle scelte culinarie individuando simboli, significati del cibo e della tavola legati alla Tradizione cristiana.
Vengono scandagliate le ragioni storiche del “magro” del venerdì o dell’astinenza dalle carni in Quaresima, sempre tenendo a mente il concetto di rinuncia, ben diverso da quello veterotestamentario di divieto.
La civiltà cristiana esalta la frugalità, ma rifiuta le scelte radicali e moderne dei vegetariani: la rinuncia alla carne – giudicata dai Padri della Chiesa un alimento necessario almeno nella fase dello sviluppo fisico – è un sacrificio sulla via della perfezione, non una norma religiosa obbligatoria per tutti.
Inoltre, le ragioni addotte anche dai Padri che favorivano la scelta vegetariana erano di tipo filosofico, non religioso: san Girolamo ritiene che le verdure siano un cibo più adatto, perché più leggero, a chi voglia dedicarsi alla preghiera, ma si guarda bene dal condannare chi preferisca mangiare carne.
Paradossalmente, san Beda impone una settimana di digiuno, per punizione, a chi abbia digiunato la domenica. Lo stesso S. Francesco d’Assisi riprese i propri Confratelli, che volevano digiunare a Natale, sostenendo di voler dare la precedenza al venerdì: nella sua Regola escluse ogni rinuncia alla carne.
Questo testo è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it