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L’UMILTA’ E LA SUPERBIA – Parte III

Spiritualità11 Febbraio 2023
Testo dell'audio

L’UMILTA’ DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO

Oggi facciamo una seconda meditazione sull’umiltà del Signore, più precisamente sulla Sua umiliazione.

Da tutta l’eternità gode il Figlio Divino la perfetta beatitudine nel seno del Padre Divino: Lui conosce ed ama il Padre, il Padre conosce ed ama Lui nello Spirito Santo, nelle relazioni interne alla Santissima Trinità, a Dio Trascendente Che possiede Gloria e di Maestà infinite, ed è la pienezza dell’Essere e la somma di tutte le perfezioni. 

Il Figlio viene inteso come la Sapienza descritta nel libro della Sapienza (7) come: ‘Soffio della potenza di Dio, ed una certa emanazione della gloria dell’ Onnipotente… lo splendore, chiaro come il sole, della luce eterna, specchio senza macchia della Maestà di Dio, immagine della sua bontà… più bella del sole, al di sopra di ogni ordine delle stelle, e, paragonata alla luce, ne è superiore.’

All’occasione dell’Incarnazione lascia il Divin Figlio il Suo trono di luce ed entra nel buio e nella notte del creato, per divenire uomo. Una Persona divina con la natura divina assume inoltre una natura umana e diviene  un piccolo bambino volnerabile in una stalla nella notte fredda in un presepio di legno, che fa pensare già al legno della Croce, ed al fatto che diverrà un giorno il cibo delle proprie creature. E se nella sua povertà e volnerabilità sembra essere meramente un uomo, una persona umana, rimane Dio: una Persona divina con due nature: una divina e una umana, ma spogliata della divina Gloria.

Come su una scala di condiscensione è discende dal Regno della gloria fino all’ abisso più profonda del nulla, per così dire nell’allontananza più estrema da Dio. Ma l’Incarnazione non è che il primo grado della scala, poiché diviene non solo uomo, ma un bambino, ovvero un bambino povero, poi un servo, e non solo un servo ma anche un servo condannato, essendo la croce la punizione per schiavi condannati: … ‘spogliò se stesso, assumendo la forma di servo… umiliò se stesso, facendosi ubbediente fino alla morte, alla morte di croce.’

Ma Nostro Signore tre volte Benedetto discenderà ancor più basso sulla scala d’umiliazione, inquanto si spoglierà in un certo senso non solo dalla Sua Divinità ma anche della Sua umanità, dicendo di Sé, nella parola del salmo: ‘sono un verme e non un uomo.’ Ma discenderà ancor più basso quando diverrà cibo delle Sue creature, assumendo così l’apparenza del nutrimento dell’umile pane quotidiano degli uomini. 

Dio, uomo, animale, oggetto inanime – Sarebbe possibile allontanarsi più dall’ Essere Perfetissimo che è Dio?  La risposta deve essere affermativa, se leggiamo attentamente la sacra Scrittura. L’apostolo san Paolo nella lettera ai galati (3) scrive: ‘Divenne maledizione’; nella lettera ai corinzi scrive: ‘Divenne peccato.’ Era questo, dunque, l’ultimo grado della scala dell’Essere, perché il peccato, il male morale, è proprio la privazione di essere, e perché ‘peccato’ viene definito come ciò che ci separa da Dio.

Le espressioni ‘divenne maledizione’ e ‘divenne peccato’ significano che Nostro Signore assomigliasse la maledizione ed il peccato avendo caricato su di Sé ogni maledizione ed ogni peccato per redimercene; significano che Lui si era disceso al punto più distante in assoluto da Dio, dall’ Essere, dalla propria divina Gloria. Con questa umiltà vince la superbia dell’angelo e dell’uomo. 

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