Lgbt, battaglia aperta negli Usa e nel mondo

C’è la guerra in Ucraina, ma le priorità per l’amministrazione Biden sembrano essere altre, visto che trova il tempo di obbligare il suo esercito a svolgere entro il 30 settembre un addestramento decisamente particolare, quello al linguaggio transgender ed all’ideologia Woke, per gestire i rapporti col personale, interessato ad un percorso di transizione, previa diagnosi di un medico militare.
Si tratta di una decisione esattamente speculare a quella assunta dal predecessore alla Casa Bianca, Donald Trump, che nel marzo 2018 sancì il divieto per le persone transgender di unirsi all’esercito americano, se non in «circostanze limitate».
La notizia, diffusasi nei giorni scorsi, ha trovato conferma nelle immagini apparse sul Washington Free Beacon, un giornale online conservatore. Tale addestramento, decisamente “singolare”, si applica a tutto il personale in servizio attivo, alla Guardia Nazionale, ai soldati della riserva, ai cadetti dell’accademia militare ed a quelli del Reserve Officer Training Corps a contratto. Stante la situazione in Ucraina, c’è chi, come il candidato repubblicano Mitchell Swan, colonnello della Marina in pensione, ha lanciato l’allarme: «accogliere individui con disforia di genere nei ranghi» potrebbe «minare le prestazioni militari», anche perché «servire nell’esercito non è un diritto», quindi chi lo fa deve mantenere «rigorosi standard di selezione».
È improbabile tuttavia un ripensamento da parte del Dipartimento della Difesa Usa e da parte di un presidente, Biden, che, va ricordato, ha scelto Sam Brinton, un attivista Lgbtqi+ e drag queen, quale Vice-sottosegretario per il Combustibile Esaurito e per lo Smaltimento dei Rifiuti presso l’ufficio per il nucleare del Dipartimento dell’Energia americano.
Intendiamoci, non che questa sia una “prerogativa” solo statunitense, in Europa non è meglio: nelle scorse festività natalizie, il ministro del Consumo spagnolo, Alberto Garzón, si è preso la briga di pubblicare un apposito manuale per consigliare alle famiglie la scelta di giocattoli senza stereotipi – cosiddetti – “sessisti” per i bambini, come – banalmente – i soldatini per i maschietti e le bambole per le femminucce, vestiti azzurri per i primi e rosa per le seconde e via elencando, ciò che spinge gli “esperti” iberici ad inorridirsi di fronte al XV sondaggio Adecco 2021, da cui è emerso come i ragazzi aspirino a divenire da grandi calciatori o poliziotti e le ragazze insegnanti, medici o parrucchiere. Ciò che appare per i più naturale e scontato, scandalizza i fautori gender.
Unica notizia positiva è il fatto che sempre più Paesi in sede Onu si oppongano all’adozione del linguaggio Lgbti, il cui utilizzo è stato bocciato dalla Commissione per lo Sviluppo Sociale. Nessun riferimento è contenuto dunque nella risoluzione alle «persone Lgbti». Intendiamoci, non sono stati fatti passi avanti neppure sulle politiche familiari, suscitando il pubblico biasimo da parte della delegazione della Santa Sede. Non solo. Agli inizi di marzo sempre l’Onu ha censurato i gruppi pro-life e pro-family, impedendo loro di partecipare alla riunione della Commissione sulla Condizione Giuridica e Sociale della Donna, nel cinquantesimo anniversario della sua fondazione, scatenando la protesta di oltre 400 associazioni da tutti i Continenti: «È totalmente inaccettabile che un organismo dell’Onu o un suo derivato, come questa Commissione [espressione dell’agenzia UN Women-NdR], tentino di scavalcare e mettere a tacere un intero settore della società civile», tra l’altro proprio quello che – solo – potrà garantire, procreando, un futuro al pianeta. Si badi che la partecipazione delle organizzazioni non governative ai dibattiti dell’Onu può, in genere, essere vietata solo in casi estremi e non è certamente questo il motivo. Tuttavia da tempo – come ha fatto notare l’agenzia InfoCatólica – «i gruppi progressisti e quelli legati alla Open Society Foundation del magnate George Soros hanno apertamente chiesto che alle organizzazioni pro-vita e pro-famiglia venga del tutto vietato di partecipare alle discussioni dell’Onu e che venga loro revocato la status ECOSOC [raggruppante gli enti partecipanti al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite-NdR], bollandole come sigle “anti-diritti”» per le loro posizioni su aborto e Lgbt.
Insomma, la battaglia è ancora aperta. Ovunque.