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Lenin, la mummia sanguinaria

Storia26 Gennaio 2018
Testo dell'audio

Ogni anno il governo russo spende 170 mila euro per rifare il look alla salma di Lenin, imbalsamata ed esposta dal 1924, anno della sua morte, nel mausoleo creato appositamente sotto le mura del Cremlino. Nostalgici (sempre meno), turisti (sempre di più) e necrofili (immutato il numero) continuano a visitarla. Dopo Tutankamon, è la mummia più visitata del mondo. Già Boris Eltsin aveva in testa un piano per seppellire Lenin lontano dal cuore di Mosca. Ma poi… persino Putin – a quanto pare – vuole conservarlo sulla ex-“piazza rossa”, perché attira migliaia di turisti.

Il potere col sangue

Lenin (Vladimir Ilic Ulianov, 1870-1924) prese il potere il 25 ottobre 1917 con un colpo di Stato militare ampiamente foraggiato dalle potenze nemiche. La famiglia imperiale dei Romanov (lo zar, la moglie e i figli), così come i membri del governo in carica e i deputati non comunisti, furono arrestati.

Iniziarono gli assassinii su vasta scala portati a termine dalle squadre della Ceka. Pochi mesi dopo, il 3 marzo 1918, il dittatore decise di arrendersi alla Germania e all’Austria-Ungheria. La resa fu firmata a Brest-Litovsk, in Polonia. La Russia dovette rinunciare alla Polonia, all’Ucraina, alla Finlandia e agli Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania). La famiglia reale fu trasferita a Ekaterinburg, negli Urali, e rinchiusa nella casa dell’ingegner Ipatiev, requisita dalle guardie rosse.

Pochi mesi dopo, il 12 luglio di quell’anno 1918, Lenin ordinò di fucilare i Romanov senza processo e affidò l’incarico a Jacob Jurovskj, un ebreo convertito al protestantesimo, che non aveva dimenticato i pogrom promossi dal padre dello zar, Alessandro III. Fu così che, il 17 luglio, alle prime ore del mattino, la famiglia imperiale, i servitori e il medico furono sterminati a pistolettate e colpi di baionetta in un seminterrato di casa Ipatiev.

Da quel momento, Lenin fu il dittatore incontrastato dell’ex-impero zarista. Sopravvisse sei anni: tanti quanti gli bastarono per riempire di cadaveri tutte le strade della gigantesca nazione, di cui si era impadronito.

Fandonie per ingenui

Chi fu dunque, veramente, Lenin? Fu colui che incarnò la prima fase dello sterminio di un popolo (la seconda essendo stata appaltata dal suo successore Stalin). Forse la soluzione migliore sarebbe trasportare la mummia a San Pietroburgo e tumularla nella tomba di famiglia, dove già riposano la madre e le sorelle del fondatore del bolscevismo. Già Krusciov aveva riservato questa sorte alla mummia di Stalin, che, fino al 1961, era stata fatta oggetto di non certo minore venerazione da parte del variegato mondo comunista.

Quanta acqua è passata, da allora, sotto i ponti! E quante cose si sono nel frattempo sapute sulle “imprese” della mummia del Cremlino. Predicava il bene del popolo, ma voleva esattamente il contrario. I guru del sinistrismo, che imperavano anche da noi, negli Anni Settanta (i cosiddetti – non dimentichiamolo – «Anni di piombo»), e che oggi, attempati, continuano ad imperare, superpagati, al timone dei principali mezzi di comunicazione, spiegavano al popolo credulone, che, secondo le teorie di Lenin, dapprima bisognava edificare lo «Stato socialista» (cioè quello dove tutti, da Gianni Agnelli all’ultimo mendicante, sarebbero vissuti con uno stipendio da operaio), e, in un secondo tempo, si sarebbe passati allo «Stato comunista», quello del motto «da ciascuno secondo le sue disponibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni». Che incredibili fandonie! E pensare che in così tanti vi credevano.

Uno spietato golpista

Oggi tutti sanno che Lenin non fu che un golpista, conquistò il potere avendo non più del 9 per cento dei voti e servendosi dell’esercito e dei cannoni, né più né meno che un qualsiasi generale sudamericano. Voleva «abolire lo Stato», ma la prima cosa che fece fu creare il «capitalismo di Stato» (definizione sua).

Dopo avere sterminato i nobili, i possidenti terrieri e il clero (fin qui coerente con quanto aveva sempre predicato), passò alla seconda fase: lo sterminio dei «socialrivoluzionari di sinistra» (così si chiamava il partito che lo aveva aiutato a prendere il potere alla Duma, cioè al Parlamento di Pietroburgo).

Quindi, eccolo impegnato con la terza fase: lo sterminio degli anarchici, non abbastanza ossequiosi e ubbidienti alla polizia. Venne poi, nel marzo 1921, la quarta fase: lo sterminio dei marinai di Kronstadt, che pure erano stati determinanti per il successo della cosiddetta «Rivoluzione d’ottobre». A questo provvide Trotzky, alla testa dell’Armata rossa, che, compiuta la missione, inviò al capo un telegramma con queste gentili espressioni: «Li ho massacrati come anatre nello stagno». E si trattava di comunisti!

Stalin, il “degno” emulo

Se non fosse morto nel 1924, il quinto sterminio da lui decretato sarebbe stato quello dei «kulaki», cioè i contadini cui erano state distribuite le terre già appartenute ai latifondisti, e che, preso gusto al senso della proprietà privata, rifiutavano di consegnare l’intero raccolto ai «kolkoz» ossia alle fattorie pubbliche gestite da poliziotti, che avevano l’ordine di trasferire i prodotti della terra e degli allevamenti alle grandi città, per tenere buoni gli operai delle fabbriche, unica, autentica forza del partito.

Ma Lenin morì e il compito di ridurre alla ragione i kulaki se lo prese il suo successore, il “buon” Stalin, con il risultato di 15 milioni di morti, ai quali vanno aggiunti – secondo recenti e inoppugnabili documenti di fonte russa – altri 8 milioni di vittime della carestia, che imperversò in Russia tra il 1929 e il 1932 e che spinse, nelle campagne, a spaventosi episodi di cannibalismo.

I contadini, che non erano stati deportati in Siberia per morirvi con le loro famiglie, per sopravvivere bollivano e mangiavano i propri nonni o i propri bambini, morti di stenti.

Non dimenticare

Questo il monumento che Lenin, il figuro per il quale migliaia di ingenui – oggi sessantenni e passa – sfilavano in piazza anche da noi, ha lasciato dietro di sé. Ci sarebbe un sogno, da coltivare. Che qualcuno faccia a Putin una «proposta tale da non poter essere rifiutata», come diceva il Padrino interpretato da Marlon Brando.

Gli offra cioè una valanga di dollari in cambio della salma intatta di Lenin. Da trasferire, con ogni riguardo, affinché non si rompa neppure un’unghia, in un museo degli orrori del XX secolo. Perché la gente possa continuare a guardarla per sempre. E – guardandola – meditare sulle rovine, cui portano le grandi speranze, quando esse siano coltivate, anziché dai sognatori e dai santi, dai profittatori e dai criminali.

Questo testo di Luciano Garibaldi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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