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Le proprietà della legge naturale

Teologia Morale07 Febbraio 2023
Testo dell'audio

Bentrovati, oggi incominceremo a vedere insieme le proprietà della legge naturale. Sulla base di quanto ci siamo detti la scorsa volta, è impossibile negare l’esistenza d’una legge naturale che sia: obbligatoria, in  quanto imponga una necessità morale, pur senza attentare al libero arbitrio; assoluta, in quanto comandi senza condizioni facoltative; universale, perché fondata sulla natura e valida per tutti gli uomini senza eccezione; immutabile, come la natura che le serve da fondamento. A meno che non si voglia riconoscere come primo principio il libero giogo degli  istinti e della forza (salvo ricorrere poi alla sovranità illimitata dello Stato per ridurre l’anarchia che ne risulterebbe), bisogna necessariamente ammettere la realtà d’una norma superiore, che attinge la sua forza d’obbligazione in un ordine di diritto fondato sulla natura e, in ultima analisi, sulla ragione divina. Rimane da precisare in che cosa consistano esattamente le proprietà di universalità e d’immutabilità che abbiamo dovuto riconoscere a questo diritto fondamentale: infatti, è su questi attributi che si concentrano, in maggior parte, le difficoltà opposte al concetto di legge naturale. Dobbiamo pertanto sforzarci di precisare subito la portata di questi attributi del diritto naturale. Per motivi di tempo, oggi analizzeremo dapprima la proprietà di universalità.

 

L’UNIVERSALITÀ

 

Una legge può essere universale in due sensi: sia in se stessa, in ragione cioè del suo fondamento e del suo fine, sia in ragione della sua promulgazione. Nel primo senso è evidente che la legge naturale dev’essere detta universale, perché – per il suo fondamento, che è la natura umana, e per il suo fine, che è la perfezione di questa natura – si estende necessariamente a tutto l’uomo e si riferisce a tutto ciò che è essenziale all’integrità e alla perfezione della natura. Nel secondo senso, l’universalità della legge naturale s’impone chiaramente di diritto, ma solleva qualche difficoltà di fatto.

Infatti è certo, come s’è visto, che, in linea di diritto, Dio, sapiente legislatore qual è, ha dovuto assicurare ad ogni ragione umana la conoscenza della legge naturale, nella misura in cui richiedeva il fine della legge; il fatto e le modalità della promulgazione esigono invece qualche spiegazione.

 

LE CONDIZIONI DELLA PROMULGAZIONE – Innanzitutto conviene notare che si tratta soltanto, per definizione, di promulgazione naturale, effettuata cioè per mezzo della ragione umana, sotto forma di princìpi generali evidenti per sé, da cui l’attività razionale dovrà dedurre delle conclusioni da applicarsi ai casi concreti della condotta, giungendo fino a quelli singolari.

La promulgazione della legge naturale comporta due condizioni necessarie e sufficienti: la prima è che i princìpi più generali della legge, nei quali tutta la legge è virtualmente contenuta, possano manifestarsi a una ragione sufficientemente sviluppata; la seconda è che la ragione umana abbia naturalmente il potere di dedurre dai princìpi generali le conclusioni pratiche essenziali che sono necessarie a ordinare moralmente la condotta. Non è tuttavia per nulla richiesto che tutti gli uomini siano ugualmente atti a dedurre queste conseguenze, né che essi siano naturalmente garantiti dall’ignoranza e dall’errore che possono insinuarsi nella deduzione di conclusioni remote e complesse, essendo anche l’ignoranza e la capacità di errare, come l’ineguaglianza delle intelligenze, connesse alla natura umana: la razionalità dev’essere intesa, infatti, con tutte le sue condizioni interne ed esterne (e particolarmente sociali) che la natura umana comporta.

 

Nello stato di natura pura (quello di Adamo ed Eva prima della caduta) si può pensare che Dio avrebbe provveduto alla conoscenza pratica e concreta della legge naturale, non solamente per mezzo della via generale della ragione, ma anche attraverso uno speciale concorso provvidenziale. Nello stato attuale dell’umanità,  i teologi ammettono che l’uomo abbia il potere fisico di conoscere, mediante i lumi della ragione, le esigenze essenziali della legge naturale, ma che questo potere fisico, benché sufficiente, non si eserciti di fatto con la facilità richiesta per assicurare, in modo moralmente sufficiente, l’osservanza della legge da parte di ognuno. Questa deficienza non deriva dall’istituzione divina, ma dal peccato originale che, dicono i teologi, ha indebolito le potenze naturali dell’uomo (intelligenza e soprattutto volontà).

 

I DATI DELL’ESPERIENZA – Se si consulta l’esperienza, siamo portati a distinguere tra la conoscenza dei precetti primari e quella dei precetti secondari e delle conclusioni remote che ne derivano.

 

  1. a) I precetti primari. Nei precedenti appuntamenti, abbiamo notato l’infallibilità necessaria del senso morale, il cui oggetto è costituito dai precetti fondamentali dell’ordine morale, che sono conosciuti di per sé, in ragione dei loro termini e con perfetta evidenza. Non può dunque esservi ignoranza, invincibile e neppure vincibile, di questi precetti: è quello che confermano tanto la storia dei costumi quanto l’esperienza quotidiana, poiché il criterio della moralità deriva da quello della ragione e distingue l’umanità da tutte le altre specie animali.

In compenso, può esservi un’eclisse della legge naturale nel campo delle concrete attuazioni, nel senso che la ragione può essere impedita nell’applicare il principio generale al caso particolare.

 

I fatti, talvolta assai strani, che l’etnologia rivela, si possono spiegare così. Certe tribù che considerano lodevole mettere a morte i genitori attempati o infermi, fanno un’applicazione difettosa del precetto che impone all’uomo di onorare il padre e la madre: si tratta di mettere fine ai mali che, com’essi opinano, rendono opprimente la vita dei genitori. Altri ammettono la legittimità di trucidare i prigionieri, a causa di un’applicazione difettosa del principio di legittima difesa. È opportuno però osservare che certe pratiche mostruose segnalate dagli etnologi restano difficilmente spiegabili e sembrano implicare un’ignoranza reale dei primi princìpi del diritto naturale; si è d’accordo, in questo caso, nel dire che i selvaggi non hanno raggiunto il livello di sviluppo richiesto o (caso di regressione) ne sono discesi al di sotto.

 

  1. b) I precetti secondari. D’altra parte, i precetti secondari, che formano, nel senso antico, lo jus gentium, possono essere ignorati, anche da una ragione sufficientemente sviluppata, ma non in una maniera invincibile. Qui si tratta evidentemente solo dei precetti secondari presi nella loro generalità astratta e al di fuori di ogni applicazione ad una situazione concreta. Poiché se l’applicazione dei precetti primari può essere difettosa, a maggior ragione potrà esser tale anche quella di precetti secondari. Inoltre, l’esperienza mostra che, anche sotto la loro forma generale ed astratta, cioè in quanto princìpi, questi precetti secondari talvolta restano ignorati: come, per esempio, accade di certe prescrizioni della morale sessuale.

Resta però che l’ignoranza può spiegarsi soltanto per mezzo di cause accidentali, «in ragione di perverse propagande, di costumi depravati e di abitudini corrotte». L’influenza della passioni e l’esempio dei vizi pubblici sono capaci di pervertire il giudizio del senso morale, così come degli errori generalizzati possono falsare il giudizio speculativo; ma l’ignoranza, in questo caso, resta vincibile, secondo gradi assai diversi per ogni soggetto, in virtù del senso morale, che tende a restaurare l’integrità del giudizio pratico. Una certa cattiva coscienza accompagna, infatti, la violazione dei precetti secondari della legge naturale, in una maniera più o meno sorda ma che la fedeltà al dovere, tal quale è conosciuto, tende a ravvivare.

  1. c) Le conclusioni remote. Infine, quando si tratta di conclusioni particolari relative a casi complessi, può esservi ignoranza invincibile delle esigenze della legge naturale. È la constatazione di un fatto universale, il quale, per essere spiegato, non esige che si ricorra all’influenza delle passioni, poiché bastano ampiamente i limiti naturali della ragione. Infatti, nei casi particolari, le circostanze hanno un peso così importante e gli aspetti morali possono esser così diversi che è inevitabile il prodursi di parecchi errori.

È dovere di ogni uomo sforzarsi di render chiara la propria ragione mediante la riflessione e lo studio ed anche il ricorso ai lumi di coloro che saggezza e scienza rendono competenti a giudicare dei casi difficili della condotta umana.

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