Le caratteristiche dell’Inganno

La prima caratteristica è il suo potere quasi illimitato. L’autoinganno è una tentazione, anzi, più di un tentazione: è una legge della debolezza dell’ anima, una caricatura della grazia. Anticipa e segue l’azione, la propone, la sostiene, la accompagna, si scioglie in essa, la loda nel suo amor proprio, la biasima nella sua falsa umiltà; ci illumina e ci acceca; opera sia nell’azione che nel riposo; si nasconde e si rivela. Compagno intollerabile!
Mai affaticato, indifferente alle condizioni della strada, imitatore dell’angelo custode. Sempre trionfante, sempre deridente, approfittando pure della Grazia per acquisire nuove opportunità e nuovi teatri d’azione.
Una seconda caratteristica è che è inveterato. Né vittorie ripetute lo vincono, né mortificazioni. Anzi, tutti mezzi contro di esso sembrano di fortificarlo. E’ onnipresente, non si può afferrare, né fermare, né staccare dalle circostanze della vita. Non ci aiuta esperienza, né vigilanza, essendo l’autoinganno sempre diverso. Agisce in modo passivo, pacifico, vuole vivere con noi, in noi, anzi, vuol essere una sorta di anima per noi: per questo motivo è così inveterato.
Poi, si assume l’apparenza del bene, come si aspetterebbe d’altronde dal primo ministro del demonio. Ma sarebbe più preciso dire non che assume l’apparenza del bene, bensì che la porta sempre, travestendosi sempre in un’infinità di modi. Così ci fa compiere l’opera del demonio, facendoci credere (non sempre con una fede interamente buona) che sia l’opera di Dio.
Il punto debole dell’autoinganno è che sia doloroso da toccare (quando si riesce comunque a toccarlo). Siamo tutti sensibili ad alcune critiche del nostro comportamento, delle nostre pratiche o abitudini, dei nostri atteggiamenti. Verso altre critiche, invece no. Perché questo? Non lo sappiamo, ma è una scoperta su cui dovremmo indagare senza esitare; è un dono della Provvidenza che ci avrebbe potuto aiutare ad evitare tanti danni.
Un’altra caratteristica è la sua coesistenza col bene. Si sceglie il migliore di tutto, e si attacca a ciò che è del più eccellente. Una sola goccia di questo veleno disturba la quantità più grande del bene, e una quantità moderata ne neutralizza una quantità sproporzionata. Ipocrisia non vive a lungo se non in compagnia di un pochino di pietà; così anche l’autoinganno prende dimora presso il bene, per nutrirsene e riscaldarsene.
L’autoinganno cresce con l’età. Alcune erbacce crescono nell’anima quasi per caso; altre muoiono se non vengono nutrite; alcune si impiantano con un solo atto di peccato e non crescono affatto; mentre l’autoinganno cresce inevitabilmente. Più si allarga la vita, più si allargano le facoltà per l’inganno.
L’unica cosa che è fatale per l’autoinganno è la semplicità. Se potessimo essere perfettamente semplici, potremmo infliggere un colpo mortale su questo mostro. Ma la vita moltiplica le cose, imbroglia i nostri motivi, ci distrae l’attenzione, ci complica l’agire, ci confonde con la sua rapidità, versatilità, contraddittorietà. E tutto questo apre la porta all’autoinganno. Una cosa è certa: la fonte corre più copiosamente ogni anno, e se la Grazia non facesse evaporare le acque proprio mentre saltano, saremmo rovinati.
L’autoinganno cresce anche nella misura in cui l’anima progredisce nella vita spirituale. Eccezione fatta per le grazie le più alte che riguardano l’unione mistica a Dio (che sono comunque raggiunte solo da pochi), le operazioni delle grazie intermediarie sono soggette ad illusioni più di quelle basse.
Come esempio prendiamo la preghiera. L’autoinganno si nutre dalla preghiera e dalla contemplazione. La preghiera ci conduce in un mondo nuovo, dove si parla una lingua diversa, dove il paesaggio e i colori sono diversi. Nella natura ciò che più inganna è la luce: ci inganna su distanza e grandezza; scambiamo fantasia per realtà, vediamo cose a rovescio: così anche nel mondo della preghiera.
Un altro punto comune ai due mondi è il principio che la luce acquista colori solo brillando attraverso il buio. Nella preghiera ci sono colori che difficilmente sono da attribuire all’oggetto o all’atmosfera. L’abitudine è l’unica sicurezza nelle cose sovrannaturali, ma la grazia ci ruba di quella sicurezza, spostandoci sempre più in alto.
L’autoinganno si distingue anche per il modo eccellente in cui si serve del tempo. Afferra le nuove grazie subito quando appaiano, e le svia per i propri scopi. La forza di una tentazione sta soprattutto nella sua opportunità.
La natura umana, debole e incapace di sostenere sorprese, cede quasi sempre a ciò che è opportuno, sia per il bene che per il male. Il nostro guadagno annuale di grazie è grande, ma l’autoinganno ne prende molte tasse. Sappiamo che siamo molto più poveri di ciò che possa sembrare, ma non sappiamo mai quanto. Gestire la grazia con discrezione è uno degli oggetti più difficili della vita spirituale.
L’autoinganno infesta talvolta la natura, talvolta la grazia. Sfrutta dei nostri momenti di debolezza, dei nostri punti deboli; diviene quasi indistinguibile dal carattere naturale, già indebolito, scardinato, e sconvolto dal peccato. Così cediamo al nostro carattere, dispensandoci di questo e quello, ritenendo che abbiamo il diritto di agire come ci pare. Non abbiamo potuto distinguere tra sfiducia in natura e sfiducia in grazia; tra sfiducia in sé e sfiducia in Dio.
L ’autoinganno si insinua poi nelle parti del carattere che abbiamo deciso di privilegiare, e diviene la legge della vita: mentiamo a noi stessi e facciamo della menzogna una legge.
L’autoinganno infine è umiliante, ciò che è il motivo principale per chi cerca di evitare l’autoconoscenza. Gli inizianti ne sono esempi tipici. Scatenati nei campi larghi dell’ascetismo e nei boschi grandi della meditazione, cadono nella gola spirituale, scoprono l’inganno, e poi rinunziano a tutto, preferendo condurre ormai vite confortevoli.