L’atto morale come decisione della volontà e azione esterna.

Affrontiamo in questo podcast un tema molto importante. Molti credono che l’atto si compia solo nel momento in cui lo si ponga concretamente in essere con una azione esterna. Vedremo insieme che non è così. Infatti, la moralità formale appartiene essenzialmente all’atto della volontà. Ma essa passa da questa anche all’atto esterno.
Abbiamo visto nello scorso podcast che la moralità astratta, materiale, che consiste negli elementi dell’atto, diviene nella coscienza e nella libera volontà del singolo moralità formale e personale.
- Solo la volontà personale è in forza della libertà la causa efficiente, la radice della moralità. Anche la S. Scrittura afferma molto spesso che ogni opera morale degna di lode o di castigo ha la sua radice nell’intimo dell’uomo, nel “cuore” e che l’azione esterna in se stessa non ha valore davanti a Dio. S. Agostino dice: “La vita giusta c’è quando la vogliamo, perché nel volerla davvero consiste la giustizia”. […]
- Dalla volontà la moralità formale passa agli atti imperati.
L’azione esterna corporale prodotta dalla volontà libera, riceve con l’impulso psicologico che le dà l’esistenza e la direzione, anche la qualità morale della volontà.
Si dice che l’atto della volontà è moralmente buono o cattivo per essenza, l’atto esterno per partecipazione.
Questa affermazione ha espressamente formulato la Chiesa, contro coloro che in una concezione spiritualistica negano il valore morale delle opere esterne.
La moralità formale deriva, come appare chiaro da quanto sopra rilevato, solo dall’atto propriamente libero, dal volontario attuale o virtuale. Al contrario vi sono azioni che in seguito a interruzione della coscienza non sono più nel dominio della volontà, per esempio la bestemmia durante l’ubriachezza, ma lo divengono quando sono previste e quindi moralmente imputabili.
In confessione bisogna accusare solo i peccati reali, cioè gli atti formalmente immorali: ma l’obbligo consiste per sé nel confessare la colpa di tali materiali violazioni, non il loro reale verificarsi.
L’esecuzione di una decisione della volontà non eleva per sé o diminuisce il valore di un’azione morale.
- I più grandi Teologi tengono questa sentenza di S. Tommaso. Essa si fonda sulla S. Scrittura: così la prontezza di Abramo a offrire il suo figliuolo fu considerata equivalente alla reale esecuzione del sacrificio, così un desiderio impuro viene considerato come un adulterio commesso nel cuore. Anche S. Agostino stabilisce il principio generale: “Niente è tanto facile alla buona volontà, che la stessa volontà, e questa basta per Dio”. Egli afferma in particolare riguardo alle cattive azioni: “Ciò che vuoi ma non puoi, Iddio lo reputa fatto”. S. Agostino estende questo a una serie di casi in cui c’è la decisione, ma l’atto reale è frustrato per gli ostacoli esterni. In quest’ultimo senso c’insegna anche S. Tommaso: una decisione perfetta e ferma (volontà efficace), in cui si verifichi che l’esecuzione della volontà sia impedita solo da fattori esterni, ha lo stesso valore dell’azione, non è come un semplice desiderio, una brama imprecisa.
La causa è da ricercarsi quindi nel fatto che ogni formale moralità ha origine dall’intimo, dalla libertà, e non può essere accresciuta o diminuita dalla violenza o dal caso.
- Che la vera moralità consista nell’atto interno della risoluzione morale, speculativamente si può dimostrare così:
I sentimenti accettati come contenuto della risoluzione morale nella conoscenza d’intelletto o di fede col libero consenso informano l’essere dell’anima. E dopo che quei sentimenti sono stati riconosciuti come pensieri conformi a Cristo o a Cristo contrari, l’essere dell’anima riceve la partecipazione di una attualità conforme al Cristo o a Lui contraria. Con ciò si è realizzata l’azione morale, non è necessaria altra esterna attuazione. Evidentemente atti che naturalmente esigono una tale realizzazione (per esempio l’elemosina, la santificazione della festa) devono essere ammessi come realizzabili anche all’esterno.
Se poi nel caso dell’elemosina, a causa di morte improvvisa dell’oblatore, o in caso di malattia grave di domenica, l’azione esterna non può seguire, con l’atto interno l’azione morale è già compiuta. Per esempio un adulterio non ha bisogno di essere attuato esternamente se è già stato consumato nel cuore.
Non c’è forse in questo contraddizione con la precedente affermazione che l’esecuzione del proposito possiede la moralità formale? No, perché questa non è una nuova moralità, indipendente, ma è la stessa volontà che deriva dalla volontà dell’opera. Il valore morale non è elevato dall’azione esterna ma solo, per così dire, esteso.
- Perciò questo principio deve avere una precisa restrizione o spiegazione.
- a) Esso non ha alcun valore se l’essere volitivo si propone un lavoro generale irrealizzabile, che non dipende solamente dalle sue forze, così, per esempio, la volontà di diventare un santo, di soffrire il martirio, di dire lunghe preghiere senza distrarsi. In questo caso nella volontà non esiste né seria né efficace decisione, ma solo un volere ideale, imperfetto.
- b) Il principio non riguarda quelle opere che per la loro difficoltà durante il decorso richiedono ancora nuovi atti più vigorosi della volontà (per esempio, un continuo esercizio della penitenza), o quelle opere che sono propriamente adatte ad accrescere l’intimo desiderio verso il male (per esempio, la lettura di un libro sconcio). Ma si tratta invece degli atti in cui la volontà ha intravisto chiaramente l’intera materia morale, in cui l’esecuzione è solo e niente altro che esecuzione (una elemosina, un delitto, un furto).
- c) In generale si ammette che la partecipazione delle forze della sensibilità e del corpo costituiscono un aumento accidentale della moralità, in quanto il morale penetra il corporeo; così come le conseguenze dell’agire, per esempio l’influsso sociale, il dovere di risarcire i danni, nell’atto reale sono ben altro che nel semplice proposito o tentativo.
È anche più evidente che il peccato esterno libero, come tale, deve essere sottoposto al giudizio della penitenza, poiché secondo la dottrina comune costituisce una colpa formale.
Noi vediamo che la forza della decisione della volontà, in seguito alla connessione delle facoltà dell’anima, spesso si trasmette ad un’intera rete di atti successivi, che come da se stessi si intrecciano fra di loro, e, nonostante le differenze fisiche e la successione cronologica, costituiscono una unità morale. Ciò si verifica sia nelle imprese gloriose come nei piani delittuosi. In essi la moralità del tutto dipende spesso pienamente dalla prima decisione e intenzione.
La considerazione di tali connessioni è di grande importanza sia per la dottrina del bene e del merito, sia per quella del peccato. La vita morale non è costituita da una serie disordinata di singoli momenti e atti; essa trascorre in massima parte fra decisioni e realizzazioni che intimamente si richiamano e sono animate dallo spirito del bene o del male. Così ad esempio la volontà di farsi santi può determinare le azioni di apostolato di un’intera vita vissuta per la gloria di Dio, oppure la volontà di sovvertire l’ordine naturale e divino può determinare le azioni di sovversione di un’intera vista vissuta per la Rivoluzione.
Bene, ci fermiamo qui e la prossima volta cominceremo a studiare le proprietà degli atti umani.