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La “Versailles baltica”

Tesori del Mondo14 Agosto 2018
Testo dell'audio

Sulle colline nei pressi di Kaunas, antico centro urbano della Lituania, seconda città dello Stato baltico dopo Vilnius, sorge il monastero camaldolese di Pažaislis, tanto imponente e ricco di decorazioni da essere definito “la Versailles baltica”. Si tratta di un complesso religioso rimarchevole per varie ragioni: è il più grande ed il meglio conservato della Lituania ed addirittura considerato il capolavoro del barocco nell’intera Europa orientale.

Il monastero venne eretto nel XVII secolo grazie al nobile Krystof Zygmund Pac, cancelliere del Granduca di Lituania. La collina su cui sorse, fino ad allora chiamata Mons Pacis, Monte della Pace, prese il nome di Camaldoli, dall’Ordine monastico che vi si insediò. I monaci vennero chiamati da Krystof Zygmund Pac, affinché pregassero giorno e notte sia per le anime del benefattore e della sua famiglia, sia per la salvezza della Patria lituana, sballottata tra guerre e sollevamenti politici, schiacciata com’era tra diverse nazioni ben più potenti, come Polonia e Russia.

I Camaldolesi, fondati poco dopo l’anno Mille da san Romualdo, cercavano di fondere la vocazione eremitica con quella cenobitica, vita solitaria e vita in comune, come simbolizzato anche dal loro stemma: due colombe che bevono allo stesso calice. Caratterizzati da un abito bianco, tonsura completa e lunghe barbe, ebbero in passato un grande sviluppo – mentre attualmente sopravvivono solo sette monasteri in tutto il mondo.

La Regola camaldolese impone un’esistenza isolata, mantenuta grazie alla coltivazione delle terre ricevute in dono da benefattori. La vita di preghiera e di rigido digiuno non contempla contatti con i fedeli: gli stessi rapporti con i confratelli sono ridotti alla mensa ed alle preghiere in comune per le Messe e le ore liturgiche, mentre durante il resto della giornata vivono separati in ciascuna delle celle che caratterizzano ogni loro monastero.

Seguendo il gusto barocco – e la simbologia camaldolese delle due colombe contrapposte – il complesso è perfettamente simmetrico. Il gusto della costruzione ricorda lo stile italiano: infatti per realizzarlo il Cancelliere Pac volle chiamare vari artisti italiani. Il disegno architettonico fu realizzato da Giovanni Battista Frediani e dai fratelli Pietro e Carlo Puttini; gli stucchi vennero eseguiti da Giovanni Merli, le decorazioni pittoriche da Michelangelo Palloni e l’affresco della cupola da Giuseppe Rossi.

La chiesa si caratterizza per una doppia entrata: quella per i fedeli e quella, dalla parte opposta, riservata ai monaci. La parte destinata al pubblico, a pianta esagonale, presenta una cupola alta quasi 60 met ri e pareti ricoperte di marmi, stucchi o affreschi. Notevoli sono quelli dedicati alla vita del fondatore, s. Romualdo, e di s. Brunone di Querfurt, un monaco camaldolese che cercò di convertire il Duca di Lituania.

Alle spalle dell’altare si trova l’imponente coro dei monaci, sormontati da un soffitto in cui spiccano, in un tripudio di stucchi, una serie di affreschi con le storie dei primi eremiti: s. Antonio abate, s. Macario, s. Simeone lo stilita ed altri, la cui contemplazione avrebbe dovuto rafforzare la vocazione dei monaci ad una vita di solitudine.

Il monastero ha avuto alterne e non sempre felici vicende: superò indenne la bufera rivoluzionaria e le invasioni napoleoniche, ma dopo la Restaurazione, quando la zona divenne parte dell’Impero russo, molte chiese e conventi lituani furono sottratti al clero cattolico per essere donati agli ortodossi.

Possiamo seguire le successive vicende del monastero attraverso ciò che accadde ad un particolare quadro, quello detto della “Madre di Dio dei Camaldolesi”: si tratta dell’opera di un artista ignoto, donata al fondatore del monastero da Papa Alessandro VII (al secolo Fabio Chigi). Ritenuto miracoloso, il quadro fu venerato anche dagli ortodossi, che durante la Prima Guerra Mondiale lo misero in salvo portandolo in Russia, quando la Lituania venne invasa dai tedeschi.

Nel 1928, in seguito all’indipendenza della Lituania (1920) il monastero tornò ad essere di Ordine cattolico: non più in mano ai Camaldolesi, molto scemati di numero, bensì alle Suore di S. Casimiro.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, finite le tre repubbliche baltiche sotto il giogo sovietico, l’eremo fu trasformato prima in archivio, poi in villaggio turistico, quindi in ospedale psichiatrico ed infine in museo. Nel 1992, con la ritrovata libertà, il monastero fu restaurato e restituito alle Suore.

Pažaislis seguì quindi la stessa – positiva – sorte toccata a tutte le chiese lituane: prima trasformate dai sovietici in officine, stalle, depositi, uffici o musei, e poi, crollato il comunismo, tornate al culto.

 

Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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