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La storia di Cornelia Lampognana. «Usque ad novissimum quadrantem!»

Catechesi16 Dicembre 2019
Testo dell'audio

Vorremmo che le anime pie restassero colpite da questi esempi e ne approfittassero per emendarsi, considerando che quelle piccole imperfezioni, quei difetti di ogni giorno, di cui si accusano sì spesso al santo tribunale della penitenza, senz’averne però quasi mai una sufficiente contrizione, trovano nell’altra vita una rigorosa espiazione. Il fatto seguente valga ad affermare quanto andiamo dicendo.

Cornelia Lampognana fu una santa matrona che visse a Milano, ad imitazione di Santa Francesca Romana, nella professione perfetta dei tre stati di vergine, di sposa e di vedova. Essendo strettamente in santa amicizia con una religiosa del terz’Ordine di san Domenico, un giorno in cui s’intrattenevano delle cose dell’altra vita, si promisero scambievolmente che se così fosse piaciuto a Dio, la prima di loro che morisse, apparirebbe all’altra.

Dopo cinque anni Cornelia passò da questa vita, e in capo a tre giorni si presentò alla sua compagna, mentre era in cella inginocchiata ai piedi del crocifisso. Stupita a tal vista, la religiosa esclamò: – O Cornelia, Cornelia mia, come sono felice di rivederti! Dove ti trovi tu dunque? Certo sarai già nel seno di Dio, che servisti in questa vita con tanto zelo ed amore! – Ahimè! Ancora no, rispose l’altra. Vedi come sono diversi i giudizi di Dio da quelli degli uomini! Io sono in luogo di pena e vi dovrò restare ancora per qualche tempo in espiazione dei falli della mia vita, che avrebbe potuto essere più fedele e più fervente. – Prendendo poi per mano la sua amica, soggiunse: – Vieni con me, e ti farò vedere cose meravigliose. – E postosi in cammino, arrivarono in un vasto campo tutto ripieno di bellissime viti, sulle cui foglie erano impressi dei caratteri. – Leggi – disse Cornelia alÍ’amica.

Si chinò allora la suora e con grandissima sorpresa avendo letto su quelle foglie i propri difetti ed imperfezioni quotidiane, domandò attonita che cosa volesse ciò significare. Nulla di strano, sorella mia – rispose la defunta non hai forse letto spesse volte quelle parole pronunziate da nostro Signore nell’ultima cena: «Io sono la vite e voi i tralci»? Ogni nostra azione buona o cattiva è una foglia di questa mistica vigna; per entrare in cielo è necessario che le foglie del male siano distrutte e consumate dal fuoco: ma, consolati, sorella mia, poiché guardando ben da vicino, vedrai che poco ti resta a distruggere, avendo tu fedelmente perseverato nelle tue promesse verginali, e servito con zelo il tuo buon maestro.

Sono è vero ancor numerose le tue mancanze, ma non tanto quanto le mie che percorsi sulla terra stati sì differenti e te ne voglio far convinta. – E avanzandosi di pochi passi si trovarono di nuovo in una località ripiena di viti serpeggianti e intrecciantesi da tutte le parti, in maniera che le foglie ricoprivano il suolo; ed appressandosi ansiosamente la suora per vedere che cosa fosse scritto su queste: – Fermati, le disse l’amica: il mio divin Salvatore non permette che tu conosca fin d’ora le offese che io gli feci, e vuol risparmiarmi tanta vergogna. Leggi soltanto quel che troverai scritto sulle foglie che vedi vicine a te. –

Allora ella posando lo sguardo su quelle che le erano più dappresso, vide registrate tutte le mancanze commesse dalla defunta nel luogo santo, le irriverenze, le distrazioni, i discorsi inutili fatti in chiesa. – O mio Gesù, gridò allora la religiosa, che s’avrà da fare per rimediare a tanti falli? Come mai dopo le tue confessioni e comunioni sì frequenti, dopo le indulgenze da te guadagnate ti resta ancor tanto da espiare? – Giusto è quanto dici, o sorella, ma sappi che per la mia tiepidezza e per l’abitudine presavi, io non trassi tutto quel frutto che avrei dovuto dalle mie comunioni e confessioni, e quanto alle indulgenze avendone guadagnate pochissime, tre o quattro al più, a motivo delle mie abituali distrazioni e della mancanza di fervore, bisogna che faccia ora quella penitenza che non feci quando pur mi sarebbe riuscito si facile.

Ragionerebbe quindi da insensato colui che dicesse di non pregare per un defunto, perché visse e morì da santo. Quante anime deploreranno amaramente in Purgatorio questi giudizi troppo favorevoli sulla loro sorte di oltretomba. Noi abbiamo visto che S. Agostino aveva tutt’altra idea del rigore dei divini giudizi, dal momento che dopo venti anni pregava tutti i giorni e scongiurava i suoi lettori pel riposo dell’anima della sua santa madre Monica.

A proposito dell’eccessiva facilità di giudicar santi alcuni defunti, riportiamo un esempio tratto dalla Cronaca dei Frati Minori. (Parte II, libro IV, cap. 7). Nel convento dei Frati Minori di Parigi, essendo morto un santo religioso, che per la sua eminente pietà veniva soprannominato l’Angelico, uno de’ suoi confratelli, dottore in teologia e uomo di molte virtù omise di celebrare le tre Messe solite a dirsi dai religiosi alla morte di ciascun confratello, sembrandogli di far quasi ingiuria alla misericordia e giustizia di Dio pregando per la salvezza di un uomo sì santo e che, secondo lui, doveva già trovarsi elevato al più alto grado di gloria. Ma ecco che in capo a pochi giorni, mentr’egli stava passeggiando assorto in meditazione per un viale del giardino, gli apparve il defunto tutto circondato di fiamme, gridando con voce lamentevole:

Caro maestro, ve ne scongiuro, abbiate pietà di me e soccorretemi. – E qual bisogno avete de’ miei poveri aiuti, o anima santa? rispose il religioso. – Ahimè! Ahimè! Io sono ancor trattenuto nel fuoco del Purgatorio, in attesa delle tre Messe che voi avreste dovuto celebrare per me. Se aveste esattamente soddisfatto all’obbligo che le nostre costituzioni c’impongono, a quest’ora sarei già nella celeste Gerusalemme. – E poiché il religioso allegava per iscusa la vita santa ch’egli aveva menato, le preghiere, le penitenze, l’esattezza scrupolosa da lui usata nell’osservanza della regola e tante altre sublimi virtù, il defunto esclamò: – Ahimè! Ahimè! Nessuno crede, nessuno comprende con quanta severità Iddio giudica e punisce le sue creature. L’infinita purezza di lui scopre difetti in tutte le nostre azioni. Se i cieli medesimi non vanno esenti da imperfezioni davanti ai suoi occhi purissimi, come l’uomo, creatura tanto miserabile, potrà comparire davanti a lui?

Occorre rendere conto a Dio fino all’ultimo centesimo, usque ad novissimum quadrantem. Se con tutta la scienza che possedete, voi aveste compreso un po’ meglio la santità infinita di Dio, oh! non mi avreste trattato con tanto rigore! – E ciò detto scomparve.

Affrettatosi il buon religioso a celebrare le tre Messe domandate, nel terzo giorno gli apparve di nuova quell’anima benedetta per ringraziarlo e per annunziargli che, finite le pene, se ne andava a ricevere la ricompensa delle sue virtù. Da tutto questo dobbiamo concludere che purtroppo non si pensa abbastanza ai rigori del Purgatorio e alla santità di Colui che non tollera la più lieve macchia nei suoi Santi. Se si meditassero un po’ più spesso queste verità si eviterebbero con maggior cura quei falli leggeri, di cui facciamo si poco conto, e si pregherebbe con più fervore per quelle povere anime martoriate, che mentre viviamo ci sarebbe tanto facile soccorrere.

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