La Madonna Nera

La leggenda vorrebbe addirittura che l’immagine originale fosse stata dipinta da san Luca a Gerusalemme (all’Evangelista sono attribuite una ventina di icone tuttora esistenti): si tratta dell’icona conservata a Montevergine, detta anche Madonna Nera o “Mamma Schiavona”, una tavola lignea raffigurante la Vergine Maria, seduta su un trono e ricoperta da un mantello scuro, con in braccio il Bambin Gesù. In ogni caso il quadro ebbe notevoli vicissitudini: trasportato prima ad Antiochia e poi a Costantinopoli, nel XIII secolo fu portato in Occidente dal fuggitivo re Baldovino II, ultimo imperatore latino di Costantinopoli, che però, per occultare e trasportare meglio l’opera, decise di salvarne solo una parte. Tagliò quindi la sezione in cui c’era il volto della Madonna e riuscì a metterla in salvo.
Baldovino II era bisnonno di Caterina II di Valois (1301-1346), imperatrice titolare di Costantinopoli e cognata di Roberto, re di Napoli; Caterina ricevette in eredità la tavola, che fece completare e poi donò nel 1310 ai monaci di Montevergine, affinché la esponessero nella cappella gentilizia dei d’Angiò, ov’ella stessa sarebbe stata inumata.
Culto mariano
Il culto della Madonna di Montevergine, quindi, non è legato ad alcuna apparizione, ma da un lato alla fede mariana del fondatore del monastero, l’eremita Guglielmo da Vercelli, che dedicò la propria vita alla preghiera tramite il culto di Maria, dall’altro alla presenza di questo quadro dalle origini leggendarie.
Troppo leggendarie, secondo gli storici, che fanno notare come Caterina avesse solo nove anni al tempo indicato della donazione e come esso risultasse presente nel monastero fin dalla fine del Duecento. Si pensa che l’autore sia potuto essere Pietro Cavallini, tra i più importanti esponenti della scuola romana del XIII secolo. La famiglia reale angioina gli commissionò varie altre opere; i recenti interventi hanno evidenziato numerosi rimaneggiamenti nel corso dei secoli dovuti sia a “restauri” che coprivano gli elementi preesistenti, sia ad abbellimenti, sia ad aggiunte in riparazione di un furto sacrilego (avvenuto nel periodo della Repubblica napoletana del 1799).
Altra leggenda, anch’essa dal bel sapore popolare, vuole invece che il quadro sia giunto a Montevergine, in quanto il mulo che lo trasportava non avrebbe eseguito gli ordini del padrone e si sarebbe incamminato per la montagna giungendo fino al Santuario.
«La vera protagonista»
L’immagine della Madonna di Montevergine è maestosa: realizzata su due tavole di pino, supera i 4 metri d’altezza (e con i suoi 2 metri di larghezza risulta particolarmente slanciata). Il Bambin Gesù tiene nella mano destra il manto della Madre; ambedue le teste sono aureolate: nel 1712 il Capitolo di San Pietro in Vaticano donò due corone d’oro, ma quella del Bambino fu rubata nel 1799. Il volto della Vergine è di forma ovale e con gli occhi neri. Nella parte superiore del quadro sono presenti due angeli che volano sul bordo del trono, mentre altri sei si trovano ai piedi in segno di venerazione e di preghiera; infine, ai due lati del trono sono disposti due medaglioni, che conservavano come reliquia un pezzetto del mantello della Vergine.
Ha scritto un frate del monastero: «Osservando il quadro appare subito chiara ai nostri occhi la differenza tra le figure del Bambino e degli angeli, e quella della Madonna. La sua regale rappresentazione sembra volerne riconoscere a pieno titolo l’importanza, attorno alla quale ruota lo spirito di devozione che anima i monaci e in particolar modo i pellegrini che giungono al santuario. È Lei la vera protagonista, il suo sguardo dolce rapisce e dona un indicibile senso di pace».
Stante l’evidente differenza tra la sezione originale (di circa 1 metro per 80 centimetri) contenente il volto della Vergine ed il resto della tavola, non si riesce a dimenticare la leggenda iniziale, quella che vorrebbe l’icona come un ritratto dipinto dal vero da san Luca, quasi un quinto Vangelo pittorico.
Questo testo di Attilio Conte è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it