La formula di Consacrazione

a) La formula è ora dichiaratamente “narrativa” – narratio institutionis[1]. Il passaggio dalla modalità narrativa a quella sacramentale ed affermativa non è più segnalato da punto e lettera maiuscola, né dalle parole sacramentali in caratteri più grandi in centro pagina[2] e in un colore diverso.
Vari cambiamenti al testo della consacrazione favoriscono il suo carattere putativamente narrativo
I) l’inserimento della frase quod pro vobis tradetur
II) lo spostamento dell’inciso mysterium fidei (cfr. (d) infra), che interrompe il testo scritturale nel Rito antico;
III) la riduzione delle parole: hunc praeclarum calicem (questo eccellente calice) semplicemente a calicem (il calice), il che favorisce ancora l’eresia per la quale la consacrazione è soltanto una narrazione, poiché sopprime il riferimento all’unico sacrificio del Calvario, che viene reso presente atemporalmente sull’altare.
b) “L’Anamnesi” Paolina con la quale la consacrazione termina ora: «hoc facite in meam commemorationem: fate questo in memoria di me» sposta l’accento dall’azione sacrificale (espressa più chiaramente nelle parole originali) a Cristo stesso, cosicché la comprensione dell’intera consacrazione da parte dell’assemblea viene influenzata dal concetto della commemorazione di Cristo, con cui si conclude.
c) La frase Paolina «quod pro vobis tradetur», che è stata aggiunta alla formula della consacrazione del pane, tende al protestantesimo per i motivi seguenti:
I) manifesta una preferenza per la biblicità rispetto alla Tradizione apostolica;
II) può essere interpretata meramente in modo soggettivo, come fa notare Lutero nel “Catechismo minore” (MD p. 339): «Le parole “per voi” richiedono soltanto cuori credenti»;
III) è proprio la frase adottata da Lutero e Cranmer al fine di rompere con il Rito romano.
Michael Davies nota che questa frase non solo è presente nelle tre nuove preghiere eucaristiche, ma è stata anche inserita nel canone romano e dichiara: «No, c’è solo una spiegazione credibile. Le parole di consacrazione nel venerabile canone romano sono state conformate nella versione cranmeriana per ragioni ecumeniche. Questo costituisce uno scandalo, un oltraggio senza precedenti nella storia della Chiesa romana […], così vicina alla bestemmia in quanto suggerisce che il canone romano avesse bisogno di miglioramenti» (MD p. 355). Di fatto, monsignor Bugnini parla esplicitamente di mancanze del canone).
Per quanto concerne la preferenza per la biblicità rispetto alla Tradizione apostolica, san Tommaso d’Aquino osserva, nel suo commentario ai Corinzi I.11.vv.25-26, come alcuni dicano che qualsiasi delle forme di consacrazione trovate nelle Sacre Scritture sia valida, ma sembra più probabile dire che sono valide soltanto quelle parole che tradizionalmente sono state usate dalla Chiesa.
Si dovrebbe dire a questo punto che non è possibile mettere in questione la validità della nuova formula di consacrazione, poiché la Chiesa ha approvato il Nuovo rito, ma è possibile mettere in questione la motivazione degli innovatori a riguardo.
d) La frase Mysterium Fidei, che è pronunciata nel Rito antico dopo la consacrazione del vino dal VI secolo[3] e che forse risale alla bocca di san Pietro stesso[4], è stata rimossa da tutti i canoni (compreso il canone romano) e da questo contesto spostata in una posizione, che segue immediatamente la consacrazione, dove serve ad introdurre l’“Acclamazione”.
Nel Rito antico, la frase era una professione di fede da parte del sacerdote nel mistero della consacrazione: la transustanziazione ed il sacrificio del Calvario, una professione che indica quel fulcro della Messa intera al quale lo stesso mistero viene reso presente; nel Nuovo rito, diventa una professione di fede da parte del popolo, in ciò che poi acclama: la Morte, Resurrezione e Parousia del Signore, la santa Comunione e la Redenzione (a seconda della forma di acclamazione usata tra le tre possibili); tutto questo distoglie l’attenzione dal mistero della consacrazione (vedi Esame Critico IV 4). Difatti era Papa Paolo stesso, che aveva proposto le nuove anafore, esplicitamente vietando le acclamazioni eucaristiche[5].
Questa innovazione tende al protestantesimo perché:
I) fu introdotta originariamente da Martin Lutero[6];
II) distoglie l’attenzione dal mistero della consacrazione;
III) sposta la frase mysterium fidei in una posizione, in cui si riferisce a dottrine accettate dai protestanti;
IV) corrisponde alla dottrina protestante del sacerdozio non sacramentale. Per usare le parole del teologo luterano Ottfried Jordhan (MD p. 344): «In questa acclamazione la concelebrazione sacerdotale dell’intera congregazione alla Cena del Signore trova un’espressione particolarmente chiara».
Quanto alla consacrazione del pane in particolare, monsignor Bugnini si compiace di dichiarare, in opposizione al Concilio di Trento ed anche a san Tommaso d’Aquino[7], che è «per sé stessa notevolmente incompleta dal punto di vista della teologia della messa» (Riforma Liturgica 29.3 p. 448), dando come una delle ragioni per cambiarla il desiderio di evitare disappunto in molti vescovi, pastori, liturgisti e teologi[8].
Procederemo ora con il paragonare certe caratteristiche generali della Messa nel Rito antico ed in quello nuovo.
- La Presenza Reale
Abbiamo già citato il Concilio di Trento per quanto concerne il fatto che Cristo Stesso è offerto nella Messa. Nel IV canone della XIII sessione, la dottrina della Presenza reale è espressa nei più chiari termini:
«Se qualcuno dovesse negare che nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia vi è veramente ed in sostanza il corpo e il sangue assieme alla Divinità del Signore Nostro Gesù Cristo e quindi Cristo nella sua Interezza, sostenendo che Egli è presente solo come segno, figura o potere: Sia Anatema».
Nel Rito antico questo dogma è chiaramente espresso nel testo della Messa con frasi come quella che segue la consacrazione: «[…] la pura Vittima, la santa Vittima, la Vittima Immacolata, il santo pane della vita eterna ed il calice di salvezza perpetua» .
Il rispetto verso la Presenza reale viene espresso dalle molte genuflessioni, dalla purificazione delle dita del celebrante nel calice, dall’evitare il contatto con qualsiasi oggetto profano prima che siano purificate, dalla purificazione dei vasi sacri sul corporale immediatamente dopo il loro uso, dall’uso di una palla per proteggere il calice, dalla doratura interna dei vasi, dalla consacrazione dell’altare mobile, dall’uso della pietra sacra e delle reliquie nell’altare mobile e sulla mensa quando la Messa non venga celebrata in un luogo sacro, dalle tre tovaglie d’altare, dal ricevere la santa Comunione e il ringraziamento inginocchiati (in contrasto con il primo in piedi ed il secondo seduti), dal ricevere la santa Comunione sulla lingua, dalle indicazioni nel caso in cui un’Ostia consacrata cada a terra, dalla proibizione che i fedeli ed i chierichetti tocchino i vasi sacri (Esame Critico IV 2).
Il riformatore Martin Bucer, mentore di Thomas Cranmer, espresse la teoria protestante comune riguardo alla Presenza reale (che soltanto Martin Lutero non sottoscrisse in virtù della sua dottrina di consustanziazione) nella sua Censura quando disse: «Diviene nostro dovere abolire dalle chiese […] con tutta la purezza di dottrina, qualsiasi forma di adorazione-del-pane, che vogliono che gli anticristi utilizzino e conservino nei cuori della gente più semplice» (MD p. 463).
Atteggiamenti simili verso la Presenza Reale furono espressi e promossi da Zwingli e Calvino e i loro successori nell’imporre la comunione in piedi e sulla mano: “Era abitudine muoversi e stare in piedi per ricevere la Comunione. La gente stava in piedi davanti alla mensa e riceveva le specie con le sue proprie mani”. Alcuni sinodi della Chiesa calvinista dell’Olanda, nei secoli XVI e XVII hanno stabilito formali divieti di ricevere la Comunione in ginocchio: “Nei primi tempi la gente si inginocchiava durante la preghiera e riceveva la Comunione anche inginocchiata, ma numerosi sinodi lo hanno vietato per evitare ogni ipotesi che il pane potesse essere venerato[9]”.
Nel Nuovo rito la Presenza reale non è più chiaramente espressa. Le parole che denotano gli oblata, in contrasto con quelle citate sopra (“pura Vittima…” ecc., accompagnate da 5 segni della croce) diventano panem vitae et calicem salutis: il pane della vita ed il calice della salvezza (senza segno di croce) oppure, in un altro punto, panis vitae […] potus spiritualis: il pane della vita e la bevanda spirituale, che, come dice l’Esame Critico, «potrebbero significare qualsiasi cosa» (III 3) e suggeriscono una presenza meramente spirituale piuttosto che una presenza sostanziale.
Inoltre, tutti i segni di rispetto verso la Presenza reale elencati sopra sono stati aboliti. Osserviamo in special modo l’abolizione delle genuflessioni immediatamente dopo la consacrazione del pane e del vino[10].
Negli anni seguenti la promulgazione del Nuovo rito, ulteriori segni di rispetto non furono più osservati né obbligatori[11], come la Comunione sulla lingua distribuita dal sacerdote o dal diacono; l’inginocchiarsi per la consacrazione; il genuflettersi e rimanere in silenzio nella chiesa. Invece, la santa Comunione viene di solito ricevuta sulle mani (una pratica che Bucer prescrisse esplicitamente al fine di negare la fede nella Presenza reale e che divenne una delle pietre miliari della negazione dell’insegnamento eucaristico cattolico[12]); ed è spesso distribuita non solo a comunicandi in piedi, ma anche da ministri laici – in questo caso il Nuovo rito ha persino superato Cranmer[13].
In breve, si vede come «si manduchi il Sacramento senza espressamente adorarlo»[14] e senza preparazione spirituale prima, né ringraziamento dopo[15], sia da parte del sacerdote che da parte dei fedeli e, peggio ancora, come i fedeli, ai quali non viene più insegnato di non comunicarsi dopo aver commesso un peccato mortale, ricevano la Comunione in numero crescente[16]. Anzi, questa ignoranza è stata incrementata dai creatori del Nuovo rito, che hanno tolto le ammonizioni di san Paolo relative al non ricevere la santa Comunione in stato di peccato mortale dalla Messa del Giovedì santo e dalla festa del Corpus Domini.
Inoltre, «il culto del Santissimo, le visite, le esposizioni solenni, le Quarantore, le devozioni riparatrici sono oggi caduti in disuso e quasi evitati come deviazioni»[17]. Piuttosto i fedeli in chiesa, fuori l’orario della Messa e persino durante la Messa, agiscono sempre più come se fossero in un luogo di incontro pubblico: parlando ad alta voce tra di loro o ai carissimi assenti al telefono, stringendosi la mano, applaudendo e ridendo.
Osserviamo che la perdita di questi segni di rispetto e lo sviluppo di questi abusi dopo la promulgazione del Nuovo rito vengono tipicamente promossi proprio dalla persona stessa, che è stata ordinata per custodire il sacro: il sacerdote. Osserviamo inoltre come tutti gli abusi elencati in questa sezione costituiscano una negazione della Presenza reale, se non sul piano teorico, sicuramente su quello pratico. Miserere nostri Domine, miserere nostri.
Se la Presenza reale viene messa in dubbio dall’eresia eucaristica protestante[18], viene relativizzata da teorie moderne su altri modi in cui il Signore sia presente alla santa Messa.
L’articolo 7 dell’Instructio parla della presenza del Signore nella congregazione secondo le parole del Signore “Dove due o tre (o) persone sono riunite nel mio nome […]”. Padre Joseph Lécuyer del Consilium commenta, in opposizione al dogma eucaristico cattolico: «Questa presenza di Cristo non è una presenza meno reale di quella che avviene tramite la transustanziazione: dobbiamo dare la sua piena importanza a questa presenza spirituale di Cristo nell’assemblea».[19]
Similmente, la presenza del Signore nella Sua Parola viene valorizzata nell’Instructio, soprattutto nell’articolo 8: «La Messa consiste in un certo modo in due parti: la liturgia della Parola e l’Eucaristia, che sono così strettamente congiunte da formare un solo atto di culto. Poiché nella Messa la tavola della Parola di Dio e del Corpo di Cristo è preparata, la tavola per la quale i fedeli vengano istruiti e nutriti»[20].
Riguardo alla presenza del Signore nell’assemblea e nella Parola, bisogna constatare con don Cekada (WHH p. 110-15) che questa presenza è solo virtuale ossia una presenza per mezzo dell’operazione di Dio con la Sua grazia. La Presenza reale, invece, è la presenza sostanziale del Signore che non può essere messa dunque sullo stesso livello dell’altra.
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[1] Anche nell’Instructio Generalis i termini “consacrazione” e “parole di consacrazione” erano scomparsi in favore dei termini “narratio institutionis” e “verba Domini”. Similmente papa Paolo VI, nella costituzione Missale Romanum, si riferisce a “verba dominica”. Come don Cekada spiega (WHH p. 338-9), i nuovi termini sono precisamente quelli utilizzati dai protestanti per dissociarsi dal dogma cattolico della transustanziazione.
[2] Anche se in edizioni più recenti questo uso viene talvolta reintrodotto.
[3] cfr. monsignor Gamber zur Reform des Ordo Missae in der Reform der Roemischen Liturgie (op. cit.).
[4] Sarebbe del tutto conforme alla sua spontaneità affettuosa verso il Signore.
[5] «Il papa dispose […] “si prepari una serie di acclamazioni (5 o 6) dopo la consacrazione per le anafore”. Lasciando l’iniziativa alle Conferenze episcopali, temeva che venissero introdotte acclamazioni non adatte, come “Dominus meus et Deus meus”…» (La riforma liturgica p. 456 n.12).
[6] Vedi Léon Christiani op. cit. (p. 317)
[7] Vedi il suo Commentario ai Corinzi I sopracitato.
[8] Un esempio di quel soggettivismo radicale caratteristico dell’epoca moderna: staccandosi dall’ordine oggettivo, l’uomo si attacca all’ordine soggettivo: abbandonando la Verità, si occupa solo dei sentimenti.
[9] Luth J.R. Communion in the Churches of the Dutch Reformation to the Present Day in: Ch. Caspers (ed.), Bread of Heaven, Customs and Practices Surrounding Holy Communion, Kampen 1995, p.101, quoted in Dominus Est, monsignor Athanasius Schneider, Libreria Editrice Vaticana, 2008.
[10] In questo contesto osserviamo anche la soppressione della Festa del Preziosissimo Sangue di Gesù, che non fa più parte della liturgia della Chiesa.
[11] Mentre qualsiasi persona abbastanza avventata da negare che l’adorazione è dovuta al Santissimo Sacramento incorre nell’Anathema (Trento s.13, can. 6).
[12] Osserviamo a questo punto che la Comunione nelle mani effettivamente diminuisce la fede nella Presenza reale tra i cattolici. Il male maggiore di questa pratica, comunque, è che disonora il Signore Eucaristico, posandoLo in mani non consacrate; facilitando la sottrazione di Ostie dalla chiesa per scopi sacrileghi, per puro capriccio od ignoranza; e permettendo a frammenti del Santissimo Sacramento di cadere o di essere spolverati dalle dita, nei quali Cristo esiste totalmente ed integralmente: “Totus enim et integer Christus sub panis specie et sub quavis ipsius parte… exsistit.”(Concilio di Trento s.13, cap.3) – vedi l’ultima delle manchevolezze del Nuovo rito elencate alla fine di questo saggio.
[13] «out-Cranmered Cranmer» MD p.518.
[14] Iota Unum 269, p.500
[15] Questa pratica è spesso resa impossibile dal chiudere la chiesa subito dopo la santa Messa.
[16] Il che riflette da uno a tre distinti errori: che la Messa sia una cena; che sia poco probabile che un peccato mortale venga commesso nella vita quotidiana; che, se avviene, un atto di contrizione non sacramentale sarà sempre sufficiente a cancellarlo.
[17] Iota Unum 269, p.500. Osserviamo, comunque, che sin dalla pubblicazione del lavoro citato, c’è un qualche ritorno a tali pratiche.
[18] Ci riferiamo anche alle teorie protestantizzanti di don Louis Bouyer, che parla della «sopravvalutazione della Presenza reale: overemphasis on the Real Presence» p. 80 (WHH p. 36). Pretendere che il Signore venga “sopravvalutato” nella santa Messa è come pretendere che venga sopravvalutato nel vangelo.
[19] Liturgical Assembly: Biblical and Patristic Foundations, The Church Worships, Concilium series, vol.12 New York: Paulist Press 1966. Don Cekada traccia il concetto di varie presenze reali all’enciclica Mysterium Fidei (1965) di papa Paolo VI, che ne parla di 6, e che distingue la Presenza sostanziale del Signore nei termini della presenza reale ‘per eccellenza’ (AAS 57, 764, cfr. WHH p. 111).
[20] In Messa mensa tam verbi Dei quam Corporis Christi paratur e qua fideles instituantur et reficiantur. Osserviamo un accenno alla teoria protestante di parola e sacramento.