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La differenza intima sostanziale tra peccato mortale e veniale

Teologia Morale01 Agosto 2023
Testo dell'audio

Oggi esamineremo la più importante distinzione tra i peccati che è quella in peccato mortale e veniale. Essa determina la cosiddetta specie teologica, mentre le altre distinzioni, dipendenti dagli oggetti e dai beni, determinano la specie morale.

 

Il fondamento teologico morale della distinzione.

 

Partiamo dall’essenza naturale della moralità e dell’ordine morale e procediamo in seguito verso i punti di vista soprannaturali.

 

Il peccato nella sua relazione a Dio, fine ultimo morale.

 

Ogni moralità è ordinare l’agire al bene sommo, infinitamente prezioso. S. Agostino e S. Tommaso paragonano il volere morale a un movimento verso il fine. Quindi il peccato grave rappresenta un allontanamento dal fine ultimo per la tendenza rivolta alla creatura (aversio a Deo, conversio ad creaturam), allontanamento dal bene riconosciuto incondizionatamente obbligante e con ciò stesso perdita dell’intima bontà morale. Poiché l’ordine morale ha un carattere di eternità (legge eterna, determinazione dell’uomo per l’eternità) la cosciente negazione di tale ordine, cioè il peccato mortale, varca i confini del temporale e tocca l’eternità.

Invece il peccato veniale non contiene in sé nessun allontanamento da Dio, nessuna soppressione della tendenza morale verso il fine. Sebbene in esso si verifichi una esagerata inclinazione verso la creatura e un uso disordinato di essa, il disordine però resta circoscritto alla sfera relativa dei beni e dei doveri conservando la tendenza essenziale al sommo fine (S. Tommaso: “Disordine riguardo ai mezzi, non al fine”). Per esprimere ciò con una immagine, il peccato veniale non è una deviazione dalla meta del cammino, ma un arresto del progresso, sosta o cammino per una via tortuosa. Soggettivamente parlando tale peccato non scende nelle profondità della personalità umana. Ma si ferma piuttosto alla periferia, al contenuto temporaneo e passeggero dell’azione.

 

Il peccato in relazione all’amore di Dio come massima virtù.

 

La moralità raggiunge la sua pienezza, elevatezza e la sua vitale approssimazione al bene sommo nell’amore di Dio al di sopra di tutte le cose. Questo viene concesso come abitudine virtuosa dallo Spirito Santo. Siccome comporta la dedizione di tutto l’uomo, l’amore tende a offrire a Dio ogni atto e così a progredire continuamente.

Il peccato mortale è, secondo la sua essenza morale, l’opposto dell’amore (contra caritatem), perché esso di fatto preferisce la creatura a Dio, non ama Dio al di sopra di tutto. Distrugge l’amore come abito morale e mistico e di conseguenza anche l’amicizia dell’uomo con Dio.

Il peccato veniale non è opposizione inconciliabile all’amore, perché continua a considerare Dio abitualmente come il Sommo Bene. Esso però è estraneo all’amore (praeter caritatem). Impedisce ogni impulso interiore della carità, a santificare tutto e a progredire costantemente; si oppone all’atto, all’aumento della carità, poiché anche il minimo disordine morale non può entrare vitalmente nell’amore di Dio.

 

L’espressione della Scolastica, che il peccato veniale non sia “contra legem”, ma “praeter legem” vale solo se per “legge” intendiamo la perseveranza della carità, della tendenza al sommo fine. Ma il peccato veniale urta contro le leggi particolari della moralità, così per esempio il furto di una cosa piccola o la piccola bugia si oppongono alla legge della giustizia e della veracità.

 

Il peccato in relazione alla vita soprannaturale della Grazia.

 

La piena unione morale con Dio conduce alla vita mistica dell’anima. Pertanto l’amore a Dio sarà chiamato principio di questa vita, la perdita dell’amore paragonata alla morte, l’impedimento dell’amore alla malattia.

L’espressione peccato mortale esprime questo reale contenuto e lo approfondisce per il fatto che nell’ordine soprannaturale all’amore è connessa la Grazia santificante e anche questa va perduta col peccato grave. Fin quando il peccato è morte dell’anima, non può essere guarito o perdonato da se stesso.

La sua reale remissione proviene dalla meravigliosa forza vitale della Grazia di redenzione. Nel peccato veniale invece perseverano la vita divina dell’anima e la sua indispensabile energia di vita, l’amore. Se questa mediante l’amore con nuova intensità si rivolge a Dio, gli impedimenti della vita spirituale, effetti del peccato veniale, sono superati e la colpa rimessa.

 

La terza osservazione secondo S. Tommaso non riguarda più la stretta essenza, ma già l’influsso dell’essenza di tutti e due i peccati. Un effetto ulteriore, lontano, sono le pene dell’aldilà. Anche queste corrispondono perfettamente all’essenza del peccato: l’allontanamento morale da Dio produce perpetua separazione da Dio nell’eternità; la sospensione della tendenza morale a Dio produce un doloroso ritardo del possesso di Dio nell’aldilà.

Secondo la concezione tomistica, col peccato veniale non si produce una vera diminuzione di Grazia e di amore, perché il peccato veniale per la sua natura temporanea e relativa non raggiunge nell’opera salutare il sommo e l’eterno. Ma la vita di Grazia è impedita, turbata nei suoi effetti e spesso esposta al pericolo della perdita completa.

 

Importanza ontologica del peccato.

 

L’essere dell’uomo, fatto a immagine di Dio, si sviluppa mediante il bene morale al fine della perfezione, come per questo alla nuova vita in Cristo viene garantita la possibilità di sviluppo e fecondità, così al contrario col peccato grave viene partecipata allo spirito una contraria attualità con cui anche la vita di Grazia nel cristiano viene annientata. Finché con l’atto di contrizione questa contraria attualità non viene superata per mezzo della corrispondente attualità, l’uomo si trova in stato di peccato mortale. Il peccato veniale invece impedisce lo sviluppo o rallenta il progresso della positiva attualità dell’anima.

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