La conditio sine qua non della moralità: il libero arbitrio

Nell’ultima puntata ci eravamo lasciati con una definizione rigorosa della scienza morale e avevamo affermato che questa ha come oggetto solo quegli atti umani che vengono compiuti dall’uomo utilizzando la propria libertà. In questo podcast voglio chiarire da subito che cosa si intenderà d’ora in avanti per libertà o libero arbitrio, dal momento che nella nostra cultura vige una notevole confusione in merito. Da una parte vi sono dottrine che sopprimono totalmente il libero arbitrio nell’uomo, dall’altra si crede che la libertà consista nell’essere svincolati da qualunque ordine o legge, finanche quanto stabilito da Dio. Più avanti nella nostra trattazione capiremo assieme che così non è, ma intanto desidero riportare quanto si afferma nel Dizionario di Teologia Morale Roberti-Palazzini e nel manuale di teologia morale di Joseph Mausbach in merito a questo tema.
La libertà, in senso psicologico, è detta libero arbitrio, ossia la facoltà di determinarsi ad agire e di scegliere l’atto da compiere. Afferma il Mausbach, in maniera cioè da poter scegliere tra volere e non volere e tra due diversi oggetti.
Tale libertà, suppone che il soggetto non sia ancora determinato né da causa esterna né da causa interna. È la base od il postulato psicologico della vita morale, in quanto l’atto posto da un soggetto privo di libero arbitrio non è moralmente valutabile.
Che l’uomo sia dotato di libero arbitrio è avvertito dalla coscienza di ognuno, che si sente padrone dei suoi atti e quindi si ascrive a merito od a colpa l’agire o l’astenersi dall’azione, l’agire in un modo piuttosto che in un altro. Il testimonio della coscienza è rafforzato dalle attestazioni della storia, che ci mostra come i popoli abbiano sempre attribuita all’individuo umano normale la responsabilità dei suoi atti ed in base a tale persuasione abbiano emanate leggi ed inflitto pene.
I filosofi confermano questa comune convinzione, indicando la radice metafisica del libero arbitrio nell’uomo. Essi notano che l’oggetto della nostra volontà è il bene; e quindi è vero che noi vogliamo necessariamente ciò che ci appare bene e fuggiamo necessariamente ciò che ci appare male. Questa però è una necessità formale, che non lega la volontà ad un particolare oggetto concreto, se non quando le appaia come puro bene o puro male. Ora, tutti i beni creati, compresi gli atti che l’uomo può compiere, sono beni imperfetti; e nessun male è tanto male che non contenga qualche elemento di bene. Per questo loro aspetto misto ed impuro è sempre possibile per la volontà accettarli come beni o respingerli come mali. Dio sarebbe l’unico oggetto concreto in cui è attuato il bene allo stato puro, e quindi capace di legare a sé la nostra volontà con vincolo necessario; ma noi (in questa vita) Lo conosciamo solo così imperfettamente che restiamo liberi anche da questa necessità. In seguito capiremo meglio quest’ultimo concetto.
Quanto alla libertà in senso etico essa è la liceità di un dato atto o comportamento di fronte all’ordine etico. Può anche dirsi quella porzione di libertà psicologica, che non è legata da legge. Si avranno così tante specie di libertà etica, quante sono le specie di leggi etiche capaci di vincolare la libertà psicologica; e siccome queste leggi possono ridursi a due tipi (morale e giuridico) così avremo due specie di libertà etica: morale e giuridica. La prima appartiene agli atti, che non sono né comandati né vietati dalla legge morale; la seconda a quelli né comandati né vietati in un determinato sistema giuridico. Queste due specie di libertà molte volte coincidono, ma non sempre: possono cioè esistere atti moralmente liberi e giuridicamente vincolanti o viceversa.
Per libertà in senso ascetico, si intende una libertà morale che corrisponde ad una forma superiore di libertà psicologica, per cui l’uomo, fortificando le sue tendenze migliori, assicura a queste la costante vittoria su quelle inferiori o peccaminose, in modo da non avere solo la facoltà di fare il bene od il male (primo grado di libertà psicologica, o libertà di contraddizione) ma di giungere a garantirsi la facilità di operare il bene ed il meglio. È questa la libertà celebrata da San Paolo, come la libertà propria del cristiano, il quale si è liberato dal peccato e si è fatto nervo della giustizia, cioè, si è talmente connaturato con la virtù che non saprebbe più abbandonarsi al vizio.
In senso sociale, si parla anche di libertà esterna, che è la semplice assenza di coercizione; per cui si dice libero chi agisce a suo arbitrio (sia questo internamente libero o necessitato) purché non costretto o impedito da violenza altrui. Questa forma di libertà ha il suo maggior peso in diritto; in morale essa non rappresenta quasi altro che un criterio negativo di valutazione, in quanto le responsabilità dell’atto posto od omesso per violenza ricadono direttamente sull’autore della violenza, e solo indirettamente ed ipoteticamente sopra chi l’ha subita, se ed in quanto egli l’abbia accettata (ma allora, sotto tale aspetto, scomparirebbe la violenza).
Il Mausbach riporta altre interessanti considerazioni in merito. In particolare afferma che la libertà implica anzitutto una perfezione dell’essere. Quanto più questo è perfetto, tanto più grande è la sua libertà. Perciò Dio è dotato della libertà somma, e l’uomo è tanto più libero, quanto più assomiglia a Dio. Una libertà senza un orientamento preciso ad un fine o ad un valore si sopprime da sé. Aggiunge inoltre che il libero arbitrio non è diverso dalla volontà stessa, ma indica solo un suo aspetto, precisamente quello dell’auto-dominio della volontà. La divisione più importante del libero arbitrio è la distinzione tra libertà di specificazione e libertà d’esercizio:
- a) Libertà di specificazione significa la possibilità di scelta tra beni ed oggetti di diversa specie. Oggetti per il volere interiore sono anche le proprie azioni esteriori.
- b) Libertà d’esercizio indica il dominio della volontà su se stessa e sui propri atti, il potere di scegliere tra volere e non volere, tra volere ora o più tardi. L’aggiunta di una terza specie, la libertà di contraddizione (o di contrarietà) consiste nella libertà di scegliere tra il bene e il male, una contrarietà che si riferisce specialmente al campo morale. Questa specie di libertà però, osserva Mausbach, non è essenziale. Ciò è dimostrato già dal fatto che nella forma più alta della libertà, quella cioè che è in Dio, manca la libera scelta del male.
Prima di concludere vorrei sottolineare un punto importante: il fatto che l’uomo possa effettivamente scegliere e compiere il male, a causa della libertà di contraddizione (che, come abbiamo detto, non è una libertà in senso stretto) non vuol dire che allora compiere un atto malvagio sia lecito. Sono piuttosto i gradi superiori di libertà, quella etica e quella ascetica, che essendo orientate al bene perfezionano l’uomo e lo conducono al raggiungimento del proprio fine. Perciò, propriamente parlando, libero non è chi “sceglie” il male ma solo chi si determina per il bene e lo compie. È per questo che, per esempio, quando si parla di aborto o eutanasia, dobbiamo ben capire in che senso si usa il termine “scelta”: ad ogni uomo è possibile uccidere o uccidersi, ma non per questo l’atto compiuto è espressione di una vera libertà. Sarà espressione della libertà di contraddizione, ma non certo di libertà etica e men che meno ascetica. L’uomo che compie il male è in realtà schiavo del male e si accorge di questa schiavitù nel momento in cui tenta di compiere il bene e questo gli risulta ostico e difficile. L’uomo virtuoso d’altra parte è pienamente libero, perché è abituato a compiere il bene e a farlo con prontezza e facilità. Avremo modo di approfondire questi aspetti.
Per il momento quanto detto è sufficiente e confido si chiarifichi sempre più man mano che procederemo con il nostro studio della teologia morale.