La Chiesa e la trappola cinese

Voci insistenti parlano di un possibile incontro a Roma tra una delegazione vaticana e una cinese per il rinnovo dell’accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi, firmato dalle due parti il 22 settembre 2018 e in scadenza fra due mesi. In attesa di sapere se l’incontro effettivamente ci sarà, AsiaNews pubblica una testimonianza che va letta con attenzione. Arriva da uno studioso del Nord della Cina che si firma con uno pseudonimo, Li Ruohan, e che mette in rilievo tutta la negatività dell’accordo, da lui definito una vera e propria trappola. E non potrebbe essere diversamente visto che il Partito comunista cinese è espressione di un’ideologia che vuole distruggere la dimensione religiosa dell’uomo.
Ma la Chiesa, si chiede lo studioso, conosce davvero il suo interlocutore nel negoziato?
Ora, è fuori discussione che secondo Karl Marx, fondatore del Partito comunista, “la religione è il sospiro della creatura oppressa, è l’anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo”.
Anche Lenin ricorda ai comunisti che “l’ateismo è una parte naturale e inseparabile del marxismo, della teoria e della pratica del socialismo scientifico”.
È bene allora aver sempre presente che “il Partito comunista cinese, come fedele successore e discepolo del marxismo-leninismo, accetta in modo totale la visione marx-leninista sulla religione”, tanto che “fin dal 1949 la persecuzione non si è mai fermata”. E come dimenticare che “il regime comunista ha organizzato e promosso un gran numero di movimenti contro tutte le religioni in Cina, specie contro i cristiani”?
Basti ricordare che nel 1958 il cosiddetto “movimento delle offerte di templi e santuari” intimò alle chiese di offrire le loro proprietà per sostenere la costruzione e lo sviluppo del Paese. Centinaia di chiese furono così confiscate o demolite per far posto a industrie e fabbriche. E in seguito, durante la Rivoluzione culturale (1966 -1976) tutte le religioni furono bandite.
Anche nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, quella che fu presentata come la “politica dell’apertura” fu utilizzata in realtà dal governo cinese per ingannare gli stranieri. La libertà religiosa, infatti, sulla carta è garantita dalla Costituzione, ma tutto ciò fa parte della trappola.
“Nella storia della Chiesa cinese – ricorda lo studioso – migliaia di missionari stranieri, di differenti congregazioni, hanno lavorato in Cina e hanno offerto il loro amore appassionato e i loro sacrifici per il popolo cinese e per la Chiesa. I loro contributi rimarranno sempre presenti nella memoria dei cristiani cinesi. Purtroppo, però, al presente alcuni missionari stranieri sono stati presi all’amo della propaganda politica” e in questo modo offrono “una base a coloro che desiderano approntare una Chiesa cinese indipendente”. In una parola, “questi missionari sono divenuti uno strumento della strategia del Fronte Unito”.
“Il Fronte Unito opera per unire e per dividere. Dividere i nemici significa indebolirli e distruggerli, e allo stesso tempo guadagnare alleati. La strategia del Fronte Unito per la libertà religiosa è diversa dal concetto che si ha di essa nelle altre nazioni. Lo scopo finale del Fronte Unito non è il rispetto e la protezione della libertà di religione, ma la distruzione di tutte le religioni. Proprio come Mao Zedong disse una volta al Dalai Lama: ‘La religione è veleno’.”
Il dialogo resta uno strumento di confronto e conoscenza, ma a patto che dall’altra parte ci sia sincerità e trasparenza. Non va dimenticato l’insegnamento della Chiesa. Pio XI disse: “Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come l’oppio del popolo perché i princìpi religiosi, che parlano della vita d’oltre tomba, distolgono il proletario dal mirare al conseguimento del paradiso sovietico, che è di questa terra” (Divini Redemptoris, n. 22).
Anche san Giovanni Paolo II ammonì i cristiani, quando raccomandò: “Non abbiate alcuna illusione sul comunismo” [Giovanni Paolo II e la Cina, in Tripod, Summer 2005, n. 137, editoriale, edizione in cinese].
Commenta Li Ruohan: “Se vogliamo rimanere ancora eccitati sui cosiddetti risultati del dialogo, per favore, stiamo almeno attenti! Ci è posta davanti una trappola e, se vi cadiamo, il disastro è vicino!”.
Parole quanto mai chiare e sensate.