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La chiesa di S. Maria degli Angeli, sintesi di storia, carità e fede

Tesori d'Italia14 Novembre 2020
Testo dell'audio

La chiesa di Santa Maria degli Angeli ha una storia antica. Inizia nel 1200, quando si chiamava chiesa di Sant’Angelo, nome tuttora conservato nell’uso milanese. Divenuta sede dell’Ordine Francescano nel 1400, nel successivo secolo fu abbattuta: accadde, quando la città di Milano, allora dominio spagnolo, diede inizio alla costruzione di quella cinta muraria, le Mura Spagnole per l’appunto, Mura di cui tuttora esistono tracce nella zona di Porta Romana. La chiesa di Sant’Angelo si trovava proprio a cavallo dell’erigenda cinta, sicché ne fu disposto l’abbattimento e la successiva ricostruzione, affidata a Domenico Giunti (1505-1560), architetto di don Ferrante Gonzaga, governatore  di Milano. Col nuovo tempio dedicato a s. Maria degli Angeli e con l’annesso convento venne data così la nuova sede all’Ordine dei Frati Minori osservanti di san Francesco. La facciata della Chiesa, così come oggi la conosciamo, fu completata nel  XVII secolo.

Giova qui ricordare la grande figura di san Bernardino da Siena (1380–1444), frate minore, grande predicatore, sostenitore della devozione al Santissimo Nome di Gesù, che con la sua limpida fede fu di sprone alla spiritualità francescana dopo il periodo delle dispute interne all’Ordine, incentrate soprattutto sul concetto e l’applicazione della povertà predicata da san Francesco. San Bernardino seppe indirizzare la sua attenzione anche agli aspetti pratici della vita dei fedeli e fu tra i primi teologi a occuparsi anche di economia, dettando regole ispirate alla carità evangelica per il lavoro, gli imprenditori e i mercanti e lottando senza timore contro l’usura. La figura di san Bernardino è importante perché la sua predicazione in materia, raccolta nell’opera intitolata «Sui contratti e l’usura», fornì le linee di comportamento quotidiano nel lavoro e nella gestione dei beni per il fedele cattolico e per i religiosi e l’Ordine francescano ne seppe far tesoro, unendo alla pratica devozionale e all’apostolato il costante intervento a favore delle classi più umili, che a tutt’oggi caratterizza il Frate Minore, che vive in povertà ma sa gestire i beni materiali, aiutando i bisognosi a maggior gloria di Dio.

La devozione del popolo milanese e il grande fervore francescano conobbero però la tempesta che colpì tutta l’Europa nel periodo napoleonico. Il Convento dei Frati Minori venne chiuso d’autorità nel 1810, mentre la chiesa aveva già subito i saccheggi di opere d’arte, seppur in modo più limitato rispetto ad altri luoghi di culto. Solo nel 1922 i Frati Minori poterono tornare in possesso dell’edificio del convento. Tuttavia era tale lo stato di degrado del vecchio monastero, articolato su tre chiostri ornati da cicli di affreschi del Procaccini e del Morazzone, che lo si dovette abbattere e al suo posto venne costruito il nuovo monastero in forme contemporanee. A questo si sarebbe aggiunto il complesso dell’Angelicum con il grande auditorium, cinema, teatro, biblioteca e sala per esposizioni, sede di attività culturali e caritative.

Oggi fanno capo all’Angelicum la Scuola di Spiritualità francescana, l’Ordine Francescano Secolare (Terz’Ordine), formato da laici impegnati nella promessa di vivere la spiritualità francescana secondo la Regola approvata dalla Chiesa, e l’associazione-Onlus dei Fratelli di san Francesco, con l’omonima Fondazione. L’associazione è il motore principale delle molte attività caritative, che instancabilmente i Frati Minori, coadiuvati dai fedeli del Terz’Ordine e dai volontari, svolgono a favore dei bisognosi, dei malati, dei vecchi, di chiunque si trovi in stato di bisogno o di abbandono materiale e spirituale.

I fratelli di san Francesco gestiscono case di accoglienza, guardaroba, servizio docce e servizi di assistenza sanitaria. Inoltre sono attive le mense per i bisognosi, la scuola di italiano, i servizi per gli anziani e il servizio svolto dalla unità mobile del Buon Samaritano, attrezzata per dare bevande calde e coperte ai molti clochard di Milano e per accompagnare quanti lo desiderino nei centri di accoglienza. Il linguaggio delle cifre per una volta non è arido, perché indica quanto sia grande e importante l’attività caritativa che fa capo ai Frati Minori e all’Associazione dei Fratelli di san Francesco. Gli ultimi dati sono quelli del 2011: 620.500 pasti distribuiti in mensa, 12.440 pasti distribuiti agli anziani soli. E poi, 40.000 prestazioni sanitaria fornite dal Poliambulatorio, 273.750 servizi doccia e cambio indumenti, oltre 3.200 persone che hanno trovato un letto nelle case di accoglienza.

Sono cifre che ci dicono, senza alcuna possibilità di discussione, come la carità ispirata dalla Fede non conosca limiti e come sia assistita dallo Spirito Santo, laddove si considerino i costi relativi alla massa di prestazioni erogate. Ma qui vogliamo ricordare un episodio storico che ormai è dimenticato da molti e – con esso – anche un uomo di grande Fede, personalità e spirito di iniziativa, padre Enrico Zucca. Fu lui, Superiore Generale dei Frati Minori, che diede inizio alla costruzione dell’Angelicum, disponendo di pochissimi fondi e confidando nella Provvidenza, ed ebbe ragione. I fondi arrivarono e il grande complesso fu ultimato.

Il fatto di cui vogliamo parlare risale al maggio 1946. Erano ancora tempi duri in Italia e a Milano in particolare. Il conflitto bellico era finito da oltre un anno, ma la guerra civile avvelenava ancora gli animi. A Milano la formazione armata comunista della Volante Rossa commetteva crimini, uccidendo, sequestrando, ferendo chi, a loro giudizio, fosse fascista o in qualche modo simpatizzante. D’altra parte i pochi fascisti ancor rimasti tali non avevano ancora una loro organizzazione politica e in verità dovevano mettersi in luce il meno possibile, proprio per non incorrere nelle rappresaglie dei “giustizieri”. Fra questi c’era un giovane ex-combattente della Repubblica sociale Italiana, Domenico Leccisi, che amava autodefinirsi «l’ultima raffica di Salò».

Nella notte tra il 22 e il 23 aprile del 1946 Leccisi, aiutato da un amico, trafugò al cimitero milanese di Musocco la salma di Benito Mussolini, sepolta, come quelle degli altri fucilati di Dongo e dopo l’osceno spettacolo dell’esposizione dei corpi in piazza Loreto, in una fossa anonima. Le autorità avevano fatto questa scelta nella preoccupazione che potessero esserci manifestazioni di neofascisti. Leccisi, non si scoprì come, era venuto a conoscenza dell’esatta ubicazione nel cimitero e si impadronì della salma, volendo dare al Duce del Fascismo una sepoltura degna. Le autorità di Polizia disponevano di un unico indizio: un biglietto lasciato nella fossa con la scritta Partito Fascista Democratico. Era questo il nome del partito, di fatto semi-clandestino, fondato da Domenico Leccisi, né le autorità lo ignoravano, sicché Leccisi sapeva di essere nel mirino. Il suo clamoroso gesto di sfida era abbastanza scoperto e, dato il personaggio, di certo non lo spaventava la prospettiva di un arresto quanto l’incertezza sul da farsi per la salma del Duce.

Fu così che qualcuno, giorni dopo, bussò una notte alla porta del convento dei Frati Minori. Padre Enrico Zucca e padre Alberto Parini si trovarono così davanti Leccisi che, con l’aiuto di un amico, aveva portato ai Frati un grosso involto, che conteneva la salma di Mussolini, pregando di custodirla. I due religiosi accettarono e il giorno seguente il corpo fu murato provvisoriamente nella Chiesa, per essere poi trasferito al Convento di Cerro Maggiore, dove rimase fino al 1957, quando finalmente il governo, presieduto da Adone Zoli, autorizzò la traslazione nella tomba di famiglia a Predappio. Dopo qualche mese la Polizia individuò tutte le persone che avevano partecipato direttamente o indirettamente al trafugamento della salma e all’occultazione. Leccisi fu arrestato e con lui anche padre Zucca e padre Parini restarono in carcere per un mese. Il reato commesso non giustificava nemmeno l’arresto preventivo, ma il clima politico dell’epoca era rovente e lo stesso questore Agnesina disse a Leccisi: «Ringrazi il Cielo che l’arrestiamo noi, perché la Volante Rossa era già sulle sue tracce per farle la pelle».

Quanto a padre Zucca e al suo confratello, quando uscirono dal carcere furono festeggiati da numerosi amici e subito ripresero la loro attività. Ai giornalisti che ovviamente vollero conoscere e intervistare padre Zucca, questi si limitò a dire che aveva agito secondo i dettami della carità cristiana. «Durante la guerra abbiamo assistito e protetto ebrei e antifascisti. Ora un fascista ci ha chiesto aiuto e glielo abbiamo dato, e abbiamo dato sepoltura cristiana a un morto». Stop. Padre Enrico Zucca, dopo la breve e indesiderata notorietà, continuò la sua vita quotidiana di religioso e fece molto bene per la Chiesa, per i poveri  e per la gloria di Dio. Ma per molti giornalisti rimase sempre e solo «il frate che nascose la salma di Mussolini».

 

Questo testo di Paolo Deotto è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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