IV domenica dopo Pentecoste

L’attesa del creato si rivolge tutta alla rivelazione dei figli di Dio
San Paolo oggi ci dice che la creazione è stata assoggettata alla vanità. “Vanità”, qui, ha il senso di “futilità”. La creatura, dice, cioè la creazione, è stata assoggettata alla vanità, non per suo volere, ma a motivo di colui che l’ha assoggettata, nella speranza. Cosa significa? Possiamo confrontare queste parole con ciò che leggiamo proprio all’inizio della Scrittura. Lì vediamo che dopo che Dio ebbe fatto tutte le cose, non trovò alcun difetto in esse. Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone. Ma se a quel tempo erano molto buone, significa che allora non erano ancora soggette alla vanità. Chiaramente, qualcosa deve essere successo – dopo che Dio ha fatto tutte le cose – che le hanno assoggettate alla vanità: ma cosa?
Ci sembra di trovare una risposta a questa domanda in un’altra parte dell’Antico Testamento, nel Libro della Sapienza. Cosa vi leggiamo? Dio non ha creato la morte, né si compiace della distruzione dei viventi. Perché ha creato tutte le cose perché fossero […] Ma per invidia del diavolo, la morte è entrata nel mondo (Sap 1,13-14; 2,24). La morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo, perché il diavolo invidiò la felicità dei nostri progenitori e la loro intimità con Dio, e perciò li indusse a disubbidirGli. Quando Adamo rifiutò di sottomettersi al suo Creatore, allora, per giusta sentenza di Dio, perse il dominio sul proprio corpo; Adamo mise in atto il lungo processo che si sarebbe concluso con la perdita del suo corpo attraverso la morte. In questo senso si adempì la profezia: In qualunque giorno mangerai del frutto, morirai.
Ma quello che ci sembra di apprendere da san Paolo e dal libro della Sapienza è che il peccato di Adamo e della prima donna, Eva, non ha toccato solo loro, né solo l’intera stirpe che ne è discesa, ma ha avuto anche un effetto deleterio sulla creazione nel suo insieme. È stata assoggettata alla vanità, non per suo volere: ciò significa che ciò non faceva parte del piano originale di Dio per la Sua creazione, ma a motivo di colui che l’ha resa soggetta, cioè a causa del peccato di Adamo. Con la caduta, la morte è entrata in tutto il mondo.
Quando ci guardiamo intorno, non è difficile vedere cosa intenda san Paolo per “assoggettato alla vanità”. Tutto ciò che vive sulla terra muore e alla fine si decompone. Molti animali mangiano altri animali. Le rocce, le colline e le montagne si corrompono col passare degli anni. Sebbene niente di tutto questo sia malvagio come il peccato, getta tuttavia un’ombra di malinconia sulla creazione. San Basilio Magno, la cui festa ricorreva la scorsa settimana, una volta disse che non possiamo vedere la luna iniziare a calare senza provare un senso di tristezza.
Ciò che le Scritture sembrano insegnarci è che tutta questa morte e decadimento non avrebbero dominato la terra, se non fosse stato per il peccato di Adamo, che Dio aveva fatto re della creazione. Questo, ovviamente, non è qualcosa che possiamo provare o smentire con la scienza e l’osservazione umane. La scienza umana studia il mondo così com’è adesso: la Scrittura ci parla del mondo come sarebbe stato senza il peccato, e per noi è difficile immaginarlo. Ma possiamo dire che, senza il peccato, il nostro mondo non sarebbe stato soggetto alla vanità, come lo troviamo ora, a causa dell’invidia del diavolo.
Gesù Cristo, come dice l’apostolo prediletto san Giovanni, è apparso per distruggere le opere del diavolo (1 Gv 3,8), comprese, quindi, la morte e la corruzione. Nostro Signore le ha distrutte prima di tutto nella Sua Persona. Sebbene sia morto per togliere i nostri peccati, non era possibile che fosse trattenuto dalla morte, poiché era innocente. Allo stesso modo, era impossibile che il Suo corpo sperimentasse la corruzione del sepolcro. Per questo è risorto glorioso il terzo giorno.
Lo stesso vale per la beata Vergine. La grazia di Dio l’ha preservata da ogni peccato, incluso il peccato che il resto di noi eredita da Adamo. Pertanto, non fu soggetta agli effetti del peccato. Maria era come un nuovo giardino dell’Eden, contro il quale la morte e la corruzione non avevano potere. Per questo il suo divin Figlio l’ha innalzata, corpo e anima, nella gloria.
Ma che dire del resto di noi? Qual è la nostra situazione? In un certo senso, siamo parte di questa creazione assoggettata alla vanità, in quanto i nostri corpi devono invecchiare e logorarsi. Se fosse tutto qui, allora la nostra situazione sarebbe davvero triste. Ecco perché il motto dei pagani, antichi e moderni, è: “Mangiamo e beviamo perché domani moriremo”. Ma ci sono due cose che trasfigurano tutto, per noi che non siamo pagani ma cristiani.
La prima è che anche in questa vita abbiamo in noi il seme dell’immortalità. La grazia divina, che abbiamo ricevuto nel battesimo, è come un seme che fiorirà nella gloria. San Paolo la chiama la primizia dello Spirito. La nostra vita di fede è già un inizio della vita eterna. Ecco perché diciamo nel prefazio della Messa dei defunti: «Per i tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno – il nostro corpo –, ci viene preparata un’abitazione eterna nel Cielo». Ecco perché talvolta Dio, con un miracolo, preserva incorrotto il corpo di questo o di quel santo, anche dopo molti secoli. È un segno per noi sulla terra che non solo quel santo, ma tutti i santi, sono vivi ora in Cielo, molto più vivi, in realtà, di noi sulla terra. Ecco anche perché sant’Atanasio poteva dire che per il cristiano la morte non è più qualcosa di terribile, e san Francesco d’Assisi poteva addirittura chiamarla “sorella mia”.
La seconda cosa che trasfigura la nostra situazione sulla terra è che i nostri corpi non sono condannati a una decomposizione perpetua. Ricordate le parole di san Paolo. Non dice semplicemente che Dio ha assoggettato la creazione alla vanità, ma che l’ha assoggettata alla vanità nella speranza. Perché nella speranza? Perché Gesù Cristo, il nostro fratello maggiore, ha promesso di condividere con noi la Sua risurrezione. Avvicinandosi alla tomba dell’amico Lazzaro, disse a santa Marta: Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, benché morto, vivrà. Lazzaro era nella tomba già da quattro giorni, e per il corso naturale delle cose il suo corpo doveva essere già in decomposizione. Risuscitando Lazzaro, Cristo ha mostrato cosa farà per tutti noi nell’ultimo giorno.
E poi, superando la nostra immaginazione, Dio Padre attraverso il Suo Figlio farà rivivere l’intera creazione. Tutta la creazione sarà liberata dalla servitù della corruzione. In altre parole, la morte e la corruzione finiranno, e ciò che san Paolo chiama la gloria dei figli di Dio trasfigurerà il mondo. E anche se la chiamiamo “la fine del mondo”, ci renderemo conto che in realtà è solo un inizio.