< Torna alla categoria

In praeclara Summorum

Arte e Cultura10 Marzo 2018
In praeclara Summorum - Radio Roma Libera
Testo dell'audio

«Dante Alighieri, della cui morte ricorrerà tra poco il sesto centenario, occupa un posto veramente particolare nella gloriosa schiera degli uomini illustri, che con la loro splendente fama fanno onore al Cattolicesimo e che, in tutti i campi, ma particolarmente in quello delle lettere e delle belle arti, hanno magnificamente servito sia la società che la Chiesa con gli immortali frutti del loro genio». Così inizia l’enciclica In praeclara summorum (1921), che Benedetto XV dedicò alla memoria di Dante.

Figlio della Chiesa

Correttamente – e contro le tante voci che, falsificando la realtà, volevano un Dante eretico, massone, anticlericale, filoislamico, esoterico, addirittura precursore della riforma luterana! – il Papa ribadì che la Chiesa aveva «il pieno diritto di reclamare, per prima, l’Alighieri come suo figlio» ed invitava gli studiosi di letteratura a considerare «quale sia la stretta comunione fra Dante e questa Cattedra di Pietro, e come sia di somma giustizia l’attribuire in gran parte al Cattolicesimo gli elogi tributati ad un nome così grande». Infatti, «in primo luogo durante tutta la sua vita, il nostro Dante ha professato la religione cattolica in maniera esemplare» e, «in mezzo alla grande varietà di opinioni, seguì soprattutto Tommaso d’Aquino, principe della Scolastica. È a questo maestro che egli deve tutto ciò che gli rivelarono la filosofia e la speculazione teologica, senza che d’altronde egli trascurasse alcun ramo della conoscenza o della scienza, né abbreviasse le lunghe ore consacrate alla meditazione delle sacre Scritture e degli scritti dei Padri». Postosi a scrivere di religione, trovò materia quasi infinita. «Senza dubbio, conviene ammirare l’incredibile vastità e la potenza del suo genio; ma è anche palese che gran parte della sua forza gli fu ispirata dal soffio della fede divina: e ciò spiega come l’opera di Dante debba la sua bellezza sia al molteplice splendore della verità divina rivelata, quanto a tutte le risorse dell’arte. Infatti tutta la sua Commedia – che a giusto merito fu chiamata “divina” – non ha altro scopo, anche negli elementi di finzione e d’immaginazione e nelle reminiscenze profane che racchiude in parecchi punti, se non quello di esaltare la giustizia e la provvidenza di Dio, governatore del mondo nel corso dei tempi e per l’eternità, che assegna agli uomini, come individui e come società, ricompense o castighi, secondo i loro meriti».

Dante riabilitato

Di particolare interesse il fatto che Benedetto XV citi il testo di un lavoro minore di Dante, il De Monarchia, che era stato messo all’Indice, per riabilitare pienamente la figura del Poeta agli occhi dei fedeli e per fugare ipotesi fantasiose su un preteso odio di Dante verso la Chiesa: «E quindi pensiamo che sia dalle sue altre opere, sia soprattutto dalla Divina Commedia possa essere di insegnamento ai nostri contemporanei in particolar modo ciò. In primo luogo i cristiani devono il massimo rispetto alla Santa Scrittura e bisogna accettare con il sommo ossequio rispetto tutto il suo contenuto, come lo stesso Dante conferma, dicendo che “benché vi siano molti scribi della parola divina, tuttavia l’unico che detta è Dio, il quale si è degnato di servirsi di molte penne per comunicarci il suo messaggio di bontà” (III, 4). Formula davvero felice e di una esattezza perfetta. E così quest’altra: “L’Antico e il Nuovo Testamento, emessi per l’eternità, come dice il profeta”, contengono “insegnamenti spirituali che trascendono l’umano intelletto”, datici “dallo Spirito santo, il quale, attraverso i profeti e gli scrittori di cose sacre, attraverso Gesù Cristo Figlio di Dio e coeterno a lui, e parimenti attraverso i suoi discepoli, ha rivelato la verità soprannaturale e necessaria alle nostre anime”» (III, 3, 15).

Va però ricordato che l’Indice non condannava necessariamente un autore, ma poteva anche semplicemente indicare la pericolosità potenziale di alcuni suoi scritti, che potevano quindi essere letti solo dopo una richiesta alle autorità ecclesiastiche, le quali concedevano tale permesso agli studiosi e lo negavano a persone senza preparazione, che avrebbero potuto interpretare in maniera distorta il contenuto dell’opera.

Benedetto XV ricorda quindi il passaggio riguardante «quei venerabili Concili principali ai quali nessun fedele dubita che Cristo abbia partecipato». Per Dante sono anche di grande importanza «gli scritti dei dotti, di Agostino e di altri» e aggiunge che «chi dubita che essi siano stati assistiti dallo Spirito Santo o non ha scoperto i loro frutti, o se lo ha fatto, non ha saputo minimamente gustarli» (De Monarchia, III, 3).

Il monito di Beatrice

Ma il Papa sottolinea soprattutto il monito di Beatrice nel Paradiso (V, 76-78): «Avete il vecchio e il nuovo Testamento, | e il Pastor de la chiesa che vi guida: | questo vi basti a vostro salvamento». E spiega: «Poiché dunque Dante eresse su tali fondamenti l’intera – per così dire – costruzione del suo poema, non è da meravigliarsi che in esso si trovi un vero e proprio tesoro della dottrina cattolica, vale a dire l’essenza della filosofia e della teologia cristiane».

Grazie dunque alla «perenne validità del messaggio cristiano trasmesso dal grande poeta fiorentino soprattutto attraverso la Divina Commedia – conclude il Pontefice – Dante, nonostante sia separato da noi da uno spazio di tanti secoli, può essere considerato quasi un nostro contemporaneo, certamente molto più vicino a noi di quanto non siano gli attuali cantori di quell’antichità che Cristo, col suo trionfo sulla Croce, ha tolto di scena».

Questo testo di Luigi Vinciguerra è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it .

Da Facebook