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Il terrorismo islamico sparisce dai media, ma non dalla realtà

SVelata19 Ottobre 2021
Testo dell'audio

Sono più o meno le sei del pomeriggio a Kongsberg, a sud ovest di Oslo, in Norvegia, quando un uomo munito di arco e frecce, ma anche di un coltellaccio da cucina e una pistola nello zaino, entra in un supermercato e uccide cinque persone. I due feriti – tra cui un agente di polizia non in servizio – finiranno di lì a breve in terapia intensiva. A TV2 – emittente televisiva norvegese – una donna ha raccontato di aver visto “un uomo dietro l’angolo, con frecce nella faretra e un arco in mano, camminare spedito mentre la gente iniziava a scappare”.

È terrorismo islamico.

Per la stampa occidentale solo Le Figaro si occupa della notizia. Per il resto nessuno dà i dettagli di quanto è successo, né sono stati diffusi il motivo dell’attacco o l’identità dell’arrestato. Qualche giornale italiano è invece preoccupato della storia clinica di Espen Andersen Brathen: è questa l’identità dell’uomo da poco rivelata dall’intelligence norvegese (Pst).

L’attentato, con un modus operandi inusuale, è avvenuto nell’ultimo giorno del mandato del primo ministro conservatore Erna Solberg, che giovedì ha consegnato le redini al nuovo governo di centrosinistra guidato da Jonas Gahr Støre, vincitore del elezioni parlamentari del 13 settembre. E subito ha definito l’aggressione “un atto crudele e brutale”. L’arciere ha colpito in diverse zone della cittadina fino a quando la polizia, intervenuta in forze, lo ha arrestato dopo un breve scontro. Ora è in carcere nella cittadina di Drammen. Ma c’è una domanda che resiste dopo le ricostruzioni: le prime segnalazioni alla polizia sono arrivate intorno alle 18.15, ma solo alle 18.47 le forze dell’ordine sono intervenute. Perché?

La Norvegia è da sempre considerata un piccolo Paradiso in Terra. Eppure le cose non stanno esattamente così.

L’arciere di Kongsberg è erede di quella “jihad dei fiordi”, come è stata ribattezzata, che ha avuto in Faraj Ahmad una delle sue figure apicali. Era il 2015 quando,il “mullah Krekar”, come veniva chiamato, veniva fermato in Norvegia ed estradato nel 2020 in Italia dove la Corte di Bolzano lo ha condannato a 12 anni di carcere. Fuggito dall’Iraq, aveva ottenuto asilo politico in Norvegia, da lì aveva creato una rete europea al fine di educare le nuove generazioni alla rivolta violenta contro i regimi di infedeli. Per anni ha girato a piede libero nel Paese scandinavo dove, dal 1991 al 2015, ha continuato a godere del diritto di asilo per i rifugiati politici, sebbene avesse ammesso di essere l’anello di congiunzione tra Al Qaeda e il regime di Saddam Hussein.

Pochi giorni dopo, un parlamentare conservatore e cattolico britannico, Sir David Amess, è stato assassinato a Leigh-on-Sea, vicino a Londra, di fronte a una chiesa metodista, dove stava incontrando la sua comunità di elettori. L’omicida è un 25enne di origine somala, Ali Harbi Ali. Il movente è il radicalismo islamico.

Se ciascun singolo attentato è visto come un fatto isolato e il jihadismo viene considerato come uno dei tanti possibili moventi (lo stragista arciere di Kongsberg, ad esempio, è stato subito affidato ai servizi sanitari: malato di mente, dunque?) il jihadismo sparisce dal radar. Però sparisce da quello dei media, non dalla realtà.

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