Il seminarista martire Rolando Rivi ucciso dai partigiani comunisti in odium fidei

«Domani un prete di meno», questa la motivazione che venne data dal commissario politico della formazione partigiana garibaldina che uccise nel 1945 il seminarista, martire e beato Rolando Rivi di 14 anni. La sua ricorrenza liturgica cade il 13 aprile, mentre per le diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e di Modena-Nonantola è stata fissata al 29 maggio.
Ci furono molte vittime fra il clero italiano durante la Seconda guerra mondiale e la guerra civile. Vittime dei nazisti, come don Giuseppe Morosini (1913-1944), accompagnato al supplizio dal Vescovo che lo aveva ordinato sacerdote, il futuro Cardinale Luigi Traglia (1895-1977), oppure come tanti sacerdoti e parroci assassinati dai partigiani e militanti comunisti, anche oltre il 25 aprile, come don Umberto Pessina (1902-1946).
Scrisse il Vescovo di Reggio Emilia, Beniamino Socche (1890-1965), nel suo diario: «…la salma di don Pessina era ancora per terra; la baciai, mi inginocchiai e domandai aiuto (…). Parlai al funerale (…) presi la Sacra Scrittura e lessi le maledizioni di Dio per coloro che toccano i consacrati del Signore. (…) Il giorno dopo era la festa del Corpus Domini; alla processione in città partecipò una moltitudine e tenni il mio discorso, quello che fece cessare tutti gli assassinii. Io ̶ dissi ̶ farò noto a tutti i Vescovi del mondo il regime di terrore che il comunismo ha creato in Italia». In Emilia Romagna e soprattutto nel «Triangolo della morte» (Bologna, Modena, Reggio Emilia) perirono barbaramente 93 sacerdoti e religiosi; la maggior parte a seguito delle vendette dei «rossi». Fra le vittime anche Rolando Rivi, colpevole di indossare la talare.
Rolando Maria nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, borgo rurale del Comune di Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, in una famiglia profondamente cattolica. Brillante e vivace, di lui si diceva: «O diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo». Con la prima Comunione e con la Cresima divenne maturo e responsabile. Rolando, ogni mattina, si alzava presto per servire la Santa Messa e ricevere la Comunione. All’inizio di ottobre del 1942, terminate le scuole elementari, entrò nel Seminario di Marola, frazione del comune di Carpineti, in provincia di Reggio Emilia. Si distinse subito per la sua profonda fede. Amante della musica, entrò a far parte della corale e suonava l’armonium e l’organo.
Quando stava per terminare la seconda media, i tedeschi occuparono il Seminario e i frequentanti furono mandati alle loro dimore. Rolando continuò a sentirsi seminarista: la chiesa e la casa parrocchiale furono i suoi luoghi prediletti. Sue occupazioni quotidiane, oltre allo studio, la Santa Messa, il Tabernacolo, il Santo Rosario. I genitori, spaventati dall’odio partigiano, invitarono il figlio a togliersi la talare; tuttavia, egli rispose: «Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù».
Il desiderio di diventare “sacerdote e missionario” cresce guardando alla figura del suo parroco, don Olinto Marzocchini (1888-1972), sacerdote di ricchissima vita interiore, attento alle realtà essenziali della vita e della fede, che fu per il ragazzo una guida ed un grande maestro. Nell’estate del 1944 il seminario di Marola venne occupato dai soldati tedeschi. Rolando, tornato a casa, continuò gli studi da seminarista sotto la guida del parroco, portando nel suo paese un’ardente testimonianza di fede e di carità, e vestendo sempre l’abito talare.
Per questa sua alta e pura testimonianza per Gesù, così forte da attirare gli altri coetanei verso la vocazione, Rolando, nel clima di odio contro i sacerdoti diffusosi in quel periodo, finì nelle grinfie malefiche di un gruppo di partigiani comunisti. Il 10 aprile 1945, mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, il martire Rolando prese i libri e si allontanò, come al solito, per studiare in un boschetto. Arrivarono i partigiani, lo sequestrarono, gli tolsero la talare e lo torturarono. Rimase tre giorni loro prigioniero, subendo offese e violenze; poi lo condannarono a morte. Quando Rolando comprese che i carnefici non avrebbero avuto pietà, chiese solo di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Anche in quest’ultimo istante, nella preghiera, Rolando riaffermò la sua appartenenza e il suo amore per Gesù, appartenenza e amore che gli furono fatali. Lo condussero in un bosco, presso Piane di Monchio, in provincia di Modena; gli fecero scavare la sua fossa, fu fatto inginocchiare sul bordo e gli spararono due colpi di rivoltella, uno al cuore e uno alla fronte. In seguito, della sua nera e immacolata talare, ne fecero un pallone da prendere a calci. Era venerdì 13 aprile 1945.
Dopo una serie di guarigioni riconosciute come miracolose, in quanto ottenute con la sua intercessione, il 7 gennaio 2006 venne aperta dall’arcidiocesi di Modena la sua causa di canonizzazione. Nel maggio 2012, la competente commissione vaticana dei teologi “censori” approvò la validità del suo martirio in odium fidei. Papa Francesco, nel marzo 2013, autorizzò la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti 63 nuovi Beati e 7 nuovi Venerabili: molti erano martiri della guerra civile spagnola, dei regimi comunisti dell’Europa Orientale e del nazismo. Fra di loro c’era anche il giovane seminarista, del quale libri di storia e mass media tacciono ancora… per non sporcare l’ “eroica” memoria della Resistenza rossa. Il 5 ottobre di quello stesso anno venne beatificato a Modena.
Don Alberto Camellini (1920 – 1989) nel 1944, novello sacerdote, sostituì a San Valentino di Castellarano (RE) il parroco Don Olinto Marzocchini – come si è detto maestro, ma anche direttore spirituale di Rolando – il quale, una notte del luglio 1944, aveva subito un’aggressione da parte di partigiani comunisti. E fu proprio don Camellini a ritrovare la salma del seminarista Rolando Rivi e a salvaguardare la memoria storica del suo martirio.