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Il problema politico dei cattolici tra Italia e Germania

Recensioni librarie01 Settembre 2020
Testo dell'audio

Giovanni Turco
Solfanelli 2020, p. 157

(Carlo Manetti) Massimo d’Azeglio (1798-1866) scrisse nell’introduzione del suo libro di memorie «I miei ricordi» (1863): «il primo bisogno d’Italia è che si formino gli Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani», frase divenuta proverbiale nella sua volgarizzazione di «una volta fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani». È questa sicuramente una delle più brillanti sintesi dell’idea illuministico-risorgimentale di Nazione, già presente nell’incipit della seconda strofa dell’inno di Mameli. «Noi siamo da secoli / Calpesti, derisi / Perché non siam Popolo, / Perché siam divisi».

Il presupposto di questa concezione è il principio secondo il quale è lo Stato che crea la Nazione e non viceversa. Questo concetto, già presente nelle citate parole dell’inno, viene meglio specificato, nella sua portata volontaristica, da Massimo d’Azeglio, che attribuisce allo Stato, prima, ed alla Nazione, poi, il carattere di frutto dell’azione di alcune minoranze, che attuano un loro disegno. Tale realizzazione della propria volontà (politica) non richiede alcun ancoraggio con il reale, che, anzi, deve essere piegato all’idea pregiudizialmente posta come assoluta in se stessa. La realtà, quindi, deve essere adeguata al progetto e/o eliminata, quando ad esso si opponga. Non ci si cura, ovviamente, dell’intrinseca irrazionalità delle affermazioni, in perfetta coerenza con l’irrazionalismo illuminista. La giustificazione non risiede in ciò che è, ma nel proprio atto volitivo in quanto tale.

Per quanto concerne il Risorgimento italiano, in specie, non si afferma che l’unità politica della Penisola deriva dall’esistenza di un popolo, che, in quanto spiritualmente tale, necessita anche di un’unificazione politica, ma è proprio la creazione dello Stato italiano che postula il “fare” il suo popolo. Ne consegue che ogni identità specifica di ogni popolazione italiana deve essere spazzata via, in quanto ostacolo alla realizzazione della propria volontà. La contraddizione logica è palese: o il p opolo italiano preesiste all’unificazione e, quindi, la giustifica oppure essa è una violenza, di cui la “creazione” del “nuovo popolo italiano” è la logica continuazione.

Questo è, a mio modesto modo di vedere, uno dei punti più interessanti del mirabile saggio del professor Giovanni Turco «Il problema politico dei cattolici tra Italia e Germania», edito da Solfanelli (2020, p. 157, euro 13), nel quale la suddetta contraddizione viene risolta nel riconoscimento dell’identità plurale che ci contraddistingue. «L’Italia delle patrie che hanno avuto consistenza (plurisecolari) nella Penisola. La loro unione (tradizionale) non è la loro unità (rivoluzionaria [e illuminista]). Ciò che li accomuna è un dato naturale e storico […]. L’unità che le ha surrogate è un presupposto ideologico […]. Esse, pur private delle rispettive fisionomie politiche ed assimilate artificialmente – dalla “nuova Italia” risorgimentale – restano nondimeno una realtà. Ciò che connota l’Italia della tradizione è al tempo stesso l’universalità della particolarità» (p. 25).

«Elías de Tejada sintetizza incisivamente tale rapporto essenziale (tra universale particolare): “differenziazione realistica dell’universalità cattolica: questa è la Tradizione delle Spagne così come la Tradizione delle Italie”» (p. 25 nota 15). Il saggio del professor Turco, piccolo solo per numero di pagine, è, di fatto, un trattato di politica e dei principi naturali e cristiani che vi debbono presiedere, nel quale la sintesi nulla toglie alla profondità filosofica delle tesi esposte e di cui, a mio modesto avviso, il pregio maggiore, per il lettore, è la capacità di inserire gli eventi storici nel contesto dei concetti filosofici generali, facendo delle vicende trattate un efficacissimo paradigma di ciò che sempre avviene quando alla Politica si sostituisce l’utilitarismo politico, conseguenza della sostituzione dell’ideologia alla realtà metafisica.

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