Il peccato come stato (abito). I peccati capitali e i peccati contro lo Spirito Santo

Con questo podcast parleremo più approfonditamente di cosa si intenda per “stato di peccato”, quali sono le sue diverse forme, per poi vedere insieme i peccati capitali e quelli contro lo Spirito Santo. Come l’azione buona ha relazione alla virtù così l’azione peccaminosa ha relazione con lo stato di peccato. L’espressione comune per indicare questo stato è: “abitudine peccaminosa” o “peccato abituale”. La parola “vizio” ha un significato più stretto, in quanto si oppone ugualmente al peccato attuale.
Le diverse forme dello stato di peccato.
Uno stato moralmente illegale di peccato, dopo un atto compiuto, si ha nella corrotta tendenza della volontà riflessa, con cui il peccatore si oppone all’ordine morale e provoca l’azione punitiva di tale ordine contro di sé (stato di peccato). Ciò, come già visto, rappresenta una disposizione colpevole (reato di colpa), contemporaneamente una responsabilità e una reità di fronte a Dio e alla legge (reato di pena). Tale disordinata tendenza della volontà dura fintanto che il peccatore non si pente sinceramente della sua azione. Anche in seguito al peccato veniale si verifica una simile tendenza della volontà e una corrispondente colpa, certamente essenzialmente minore di quella del peccato mortale.
Anche dopo che la volontà si è pentita del peccato, rimane in essa una disposizione di peccato di diversa specie, il peccato abituale nel senso mistico-soprannaturale (secondo S. Tommaso “macchia del peccato”). È la perdita della Grazia santificante e della virtù infusa e la separazione della più intima essenza dell’anima da Dio, sorgente di luce e di vita. Questo stato di peccato si ha solo in seguito al peccato grave, non a quello veniale; viene soppresso mediante la giustificazione data dalla confessione sacramentale.
Per peccati spesso ripetuti resta, in fine, un sensibile strascico psicologico nell’abitudine peccaminosa, nella tendenza persistente e crescente al peccato. Tale stato di peccato non si ferma al campo soprannaturale, neanche al campo spirituale, ma invade persino la sensibilità, diffondendosi dalla volontà. Il fondamento originario comune di questa perversione è la concupiscenza.
Ad essa si aggiungono non raramente le conseguenze dei peccati personali. L’abitudine peccaminosa diventa però vero peccato solo per mezzo del libero agire morale in una determinata azione. I Teologi chiamano la tendenza acquisita del peccato “vizio”. Esso comprende, oltre la tendenza sensibile al peccato, anche la corrispondente perversione della volontà e ciò come disposizione abituale. Anche il peccato veniale ripetuto può produrre una rilevante tendenza sensibile alla rinunzia morale.
Se confrontiamo questo effetto del peccato con quello del bene morale, ci appare che il cosiddetto vizio è il corrispettivo nel male della virtù naturale, o virtù acquisita. Il peccato abituale nel senso mistico soprannaturale è l’opposto della virtù infusa e della Grazia abituale. Alla colpa etico-giuridica e alla reità si oppone, come frutto del bene, il merito, diritto morale alla ricompensa naturale e soprannaturale.
I peccati capitali come forme speciali dello stato di peccato
I peccati o vizi capitali appartengono ai disordini dell’istinto e delle tendenze, che causano una inclinazione dell’anima al peccato; e in realtà nell’uso linguistico è presupposto che la cattiva tendenza non è innata, ma prodotta dai peccati personali.
Si chiamano “peccati capitali” perché rappresentano le principali tendenze del desiderio e della volontà peccaminosa, e perché da esse, quando prendono possesso dell’uomo, sono originati molti altri peccati. L’espressione “vizi capitali” non esprime però in questo caso la gravità del peccato, che cioè i peccati capitali siano necessariamente peccati mortali, ma piuttosto la misura e ampiezza del loro influsso; il peccato capitale è una sorgente di peccati.
La caratteristica di questi vizi è che essi non conducono solo a determinati atti peccaminosi, ma a peccati di diversa specie. Ciò riguarda il fatto che essi si dirigono verso gli interessi e i piaceri della vita che, intimamente connessi alla natura dell’uomo, sono straordinariamente accresciuti.
Vediamoli nel dettaglio.
- L’orgoglio o superbia è il desiderio disordinato di preminenza sugli altri. La superbia, quella per cui l’uomo non conserva né verso Dio, né verso i legittimi superiori il doveroso atteggiamento di ubbidienza, per la sua tendenza di preminenza sugli altri, è peccato grave “ex toto genere”.
- L’avarizia o avidità è il disordinato amore dei beni temporali. Se riguarda il possesso acquisito è avarizia, se riguarda le cose da possedere è avidità, l’una e l’altra con attacco disordinato ai beni terreni. L’avarizia è peccato leggero “ex toto genere”, ma facilmente può portare a peccati gravi.
- La lussuria (concupiscenza della carne) è la disordinata tendenza al piacere sensibile nel campo della sessualità. La lussuria è peccato grave “ex toto genere”.
- L’invidia è il dispiacere per il bene del prossimo, in quanto questo è considerato come una diminuzione della propria preminenza. È un peccato contro l’amore del prossimo, un peccato grave “ex genere”, poiché ammette parvità di materia. Perché l’invidia sia gravemente peccaminosa è necessario:
- Che riguardi un bene importante del prossimo;
- Che si abbia contemporaneamente il serio desiderio che il prossimo non acquisti il bene o lo perda.
- L’intemperanza nel mangiare e nel bere (rispetto al cibo è gola, alle bevande è ebrietà) è il desiderio disordinato di cibi e bevande.
- La gola è in sé peccato leggero “ex toto genere”. Si pecca riguardo al cibo: per fretta, sfoggio, eccesso, attaccamento, passione. Per accidens si può commettere peccato grave per il pericolo prossimo per il corpo e lo spirito, per i doveri di ufficio e altro.
- L’ebrietà è l’eccesso nel bere per il solo piacere con perdita della conoscenza.
- L’ira è soggettivamente la tendenza disordinata della facoltà irascibile, oggettivamente del desiderio disordinato di vendetta. È la tendenza disordinata della facoltà irascibile e peccato leggero “ex toto genere”. In quanto disordinato desiderio di vendetta è peccato grave “ex genere”. Peccato grave si ha quando ci sono motivi gravemente peccaminosi o quando uno si lascia trasportare dal desiderio di vendetta al di là della giusta misura.
- L’accidia è la ripugnanza dell’anima contro le fatiche, gli sforzi e le difficoltà che bisogna superare per il raggiungimento e la conservazione della virtù e dell’amore di Dio, per l’adempimento dei doveri morali. In sé è peccato grave “ex toto genere” ma per lo più, “ex imperfectione actus”, è peccato leggero.
L’indurimento del male. I peccati contro lo Spirito Santo.
La virtù del cristiano, con l’aumento dell’amore e la tendenza alla perfezione, mira ad avvicinarsi all’ideale morale. In ciò viene soprattutto sorretta con i doni dello Spirito Santo.
Certo il cristiano rimane sempre, in questo mondo, lontano dalla vera impeccabilità e dalla perfezione celeste. Il vizio però rappresenta un regresso. L’aumento della perversa inclinazione sensuale, l’ostinazione della volontà nel male, l’allontanamento da Dio e dalla sua Grazia producono sempre più l’abbandono dell’anima al peccato. Tuttavia anche tale indurimento nel male non ha mai un carattere assoluto, finché siamo sulla terra. Esso può essere sempre annullato con la Grazia e con la conversione. Una particolare difficoltà per la conversione rappresenta il peccato contro lo Spirito Santo, che ci viene presentato dal Salvatore per premunirci, e di fatto rappresenta il più alto grado dell’abitudine del peccato.
La Scolastica li chiama peccati di malizia perché essi provengono direttamente dal perverso attaccamento al peccato.
Si contano sei peccati contro lo Spirito Santo: 1) peccato di presunzione nella misericordia di Dio; 2) disperazione della Grazia di Dio; 3) impugnare la verità cristiana conosciuta; 4) invidiare al prossimo la Grazia di Dio; 5) ostinazione di cuore contro gli avvertimenti salutari; 6) perseveranza volontaria nella impenitenza.
- Agostino, dopo matura riflessione, afferma che c’è un solo peccato imperdonabile in senso stretto; l’impenitenza sino alla fine. Degli altri peccati si deve dire soltanto che sono particolarmente inescusabili e che secondo la loro concezione ed essenza si oppongono al perdono perché rendono vani, per quanto è nell’uomo, i mezzi e le vie del perdono. Tuttavia rimane la possibilità di conversione, considerata la misericordia di Dio.