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Il Paramento Mazza

Arte e Cultura22 Marzo 2018
Testo dell'audio

La meditazione e la discussione del fatto artistico è d’attualità seppur, sovente, al traino delle mode. Recente è la discreta notizia del restauro di uno spettacolare capolavoro dell’arte serica veronese conosciuto come Paramento Mazza: un parato per la Messa solenne composto di pianeta, piviale, dalmatiche e velo omerale, stole e manipoli, velo per il calice e borsa, tutto ricamato in seta, oro e argento, di rara perfezione, altissimo livello tecnico e dal programma iconografico imponente. Lasciata la Sacrestia della Cappella Sistina per essere sottoposto a un intervento di recupero in un opificio fiorentino, il manufatto verrà poi esposto al Metropolitan Museum of Art di New York.

 

Nella liturgia, il Mistero

Qualche decennio fa un libro ne raccontò la storia con belle fotografie (Autori Vari, Il paramento di don Mazza. Un capolavoro dell’arte serica veronese, Verona 1989). Pur non essendo di veneranda antichità – ma la seta è pur sempre un materiale relativamente fragile –, l’opera ha sofferto per il grave degrado dell’inadatta musealizzazione. È sempre incombente il pericolo di una soffocazione morale e del logorio nevrastenico creato dalla sottomissione alle mode, dall’incessante distrazione verso tutto ciò che costituisca il groviglio delle necessità utilitarie. Privato dell’uso liturgico, al parato era rimasto la sola funzione di Biblia pauperum o di catechesi per immagini.

L’uso liturgico gli affidava un incarico più grande: nella Liturgia, attraverso il “velo”, le immagini mostrano il Mistero invisibile che si compie nel rito. Quando rivestiva i sacri ministri nella Messa, il paramento mostrava di fuori il Mistero che, attraverso il sacerdote, aiutato dal prete assistente, dal diacono e dal suddiacono, si compiva sull’altare. A Messa i paramenti non sono solo ornamenti, il nostro funzionava come una vera iconostasi, che dispiegava sulla seta la Salvezza del genere umano: dalla rovina alla Redenzione. Ogni iconostasi, antica o moderna, orientale e occidentale – simbolo dell’Incarnazione –, è posta tra il presbiterio e la navata non per separare, ma per distinguere e unire. Il parato Mazza nel rito svolgeva la medesima funzione: qualificava i ministri officianti distinguendoli dai fedeli e rendeva visibile, attraverso le immagini, l’Invisibile che accadeva sull’altare, favorendo l’unità nella santa assemblea e l’attiva partecipazione.

 

Una nuova crisi iconoclasta?

Mai come nell’odierna civiltà dell’immagine – secoli delle crisi iconoclasta (VIII) e protestante (XVI) a parte – la Chiesa sembra aver avuto problemi con le immagini nel suo ufficio più importante, la Liturgia. Per un verso essa si mostra attenta a veicolare una propria inedita “immagine laica” attraverso la televisione, le fotografie dei telefonini, i-pad e altri mezzi di comunicazione immediata, dall’altro sembra consegnarsi all’informale, all’astratto, al minimalismo proprio nel culto, proprio in quel sistema di segni e simboli che è la Liturgia. Edifici di culto difficili da riconoscere come chiese, inquietanti apparati iconografici per i nuovi Lezionari, la pochezza e la modestia di gran parte dei paramenti e delle suppellettili sacre, l’indigenza musicale di molte celebrazioni. Eppure fin dall’origine il culto cristiano si è alimentato di immagini e suoni qualificati: affreschi e sculture, tavole, oreficerie, avori, tessuti, papiri e pergamene, volumi e codici e libri, tele e musica potente ed evocativa come le immagini e poesia.

Il sacrificio del Calvario, al pari di nessun altro avvenimento storico, ha influenzato in modo così importante gli artisti. La Messa, l’azione sacra che attualizza “qui ed ora” l’unico ed eterno Sacrificio della Croce, ha prodotto raffigurazioni imponenti non solo per numero, ma anche per le differenti maniere, momenti e situazioni di rappresentazione: anche la gamma di tipi raffigurativi sembra non aver paragoni. Innumerevoli e incomparabili composizioni musicali sono per la Liturgia: “Messe” in senso tecnico. Per più di un millennio i differenti libri liturgici per dir Messa furono decorati e corredati d’immagini e quando dai tanti libri e messali parziali risultò il Missale Romanum, dopo il Concilio di Trento, anche questo fu sontuosamente decorato.

Oggi possediamo uno sterminato patrimonio iconografico e artistico, quasi del tutto pertinente all’antica Messa: la nuova Messa non sembra ancora aver originato esempi e modelli convincenti. Poiché la riflessione è sempre posteriore all’esperienza, è questo un elemento che occorrerà tener presente e cominciare a considerare. Un’esperienza quanto più è ricca, esauriente e vera tanto più è capace di generare una riflessione matura e feconda.

 

La salvezza del genere umano

Il paramento Mazza attesta l’inscindibile rapporto sussistente tra immagini e Liturgia. Un po’ di storia. La Provvidenza aveva posto il Servo di Dio don Nicola Mazza (1790-1865), figlio di un mercante veronese di seta, a vivere il proprio sacerdozio a Verona. La città del grande Impero Asburgico, soprattutto intorno alla metà del secolo XIX, pativa le conseguenze delle prime due guerre d’indipendenza, le angustie di una spietata crisi economica e le turbolenze di un futuro incerto. Molti i bisogni e le emergenze sociali; lo zelo per la salus animarum spinse don Nicola a rispondere a uno di questi bisogni: desiderò sottrarre le fanciulle dalla strada e dai pericoli dell’abbandono, della trascuratezza e dell’indigenza delle famiglie.

Nel 1828 per dare a queste giovani la possibilità di diventare buone madri di famiglia, don Mazza le raccolse in piccoli gruppi familiari organizzati attorno a educatrici. Ebbe così origine l’Istituto Femminile. In esso si svilupparono una scuola, un laboratorio di fiori artificiali e una grande filanda per la lavorazione della seta partendo dalla coltivazione dei bachi, passando per le tecniche di tintura dei filati fino al laboratorio di ricamo (1832). Insegnando un lavoro alle future custodi del focolare domestico, don Mazza preparava, attraverso la famiglia, il futuro della Chiesa e della società. Nel giro di pochi anni le ragazze divennero così brave e il laboratorio di ricamo così specializzato che don Nicola pensò, il 25 giugno 1845, di recapitare alcuni fiori di seta e un velo omerale all’imperatrice d’Austria, Maria Anna Carolina Pia di Savoia.

I lavori furono apprezzati e don Mazza ricevette in cambio apprezzamenti e aiuti economici per la sua Opera. Il sacerdote pensò, allora, alla confezione di un paramento “in quarto” per la maggior gloria di Dio e per mostrare con più esattezza le capacità artistiche e la sagacia imprenditoriale dell’Istituto. La difficoltà dei tempi non aveva fiaccato la vivacità del mondo culturale e artistico veronese; il sacerdote, uomo di preghiera, professore in seminario, esaminatore di preti che ambivano alla cura d’anime, compose il programma iconografico e incaricò i pittori Giovanni Caliari (1802-1850), Giacomo Fiamminghi (1815-1895) e Pelesina di copiare alcuni soggetti d’importanti dipinti di Raffaello Sanzio, Jacopo Robusti detto Tintoretto, Antonio Allegri detto il Correggio, Paolo Morando detto il Cavazzola, Paolo Caliari detto il Veronese e Alessandro Turchi detto l’Orbetto per ricavarne cartoni per le ricamatrici.

Nell’ambito ecclesiastico si dibatteva intorno alla scelta dei modelli per la pittura sacra: si discuteva se fosse conveniente rifarsi a Raffaello e ai maestri del Rinascimento o ai pittori precedenti. La scelta di don Mazza e di Giovanni Caliari ricadde sui maestri del Rinascimento. Con una decisione non romantica di attenzione soprattutto all’aspetto iconografico, non volle alcuna creazione originale, ma la copia di opere celebri. Dal 1845 al 1861, per più di quindici anni, una quindicina e più di ricamatrici si cimentarono nell’impresa. Ne risultò un’opera grandiosa, che illustra efficacemente ciò che avviene nella Messa: l’attuazione simbolica di tutta la Storia della Salvezza, dalla rovina alla Redenzione, dal peccato originale alla nascita di Gesù, al suo Sacrificio e alla Risurrezione fino alla nascita della Chiesa.

 

Visione divina e umana

La visione divina e umana di don Nicola è tutta nel suo parato: dalla Carità di Dio per l’uomo, dalla sua Redenzione, ha origine ogni vera carità umana che agisce per ogni autentica redenzione. La pianeta cominciò ad essere ricamata nel 1845; il 2 gennaio 1853 fu inviata alla consorte dell’Imperatore, che nel 1848 aveva abdicato. Sulla parte posteriore della pianeta si vede il Sacrificio di Isacco e su quella anteriore l’Uccisione di Abele, le scene sono incorniciate da raffinatissimi girali dorati, intrecciati a fiori policromi L’uccisione dell’innocente, del giusto, prefigura il sacrificio del Calvario e mostra lo stato di peccato, in cui giaceva l’umanità dopo la caduta originale e il suo risollevarsi col sacerdozio di Abramo e il sacrificio di Isacco, anticipazione del sacrificio di Cristo.

In una lettera del 1853 a mons. Luigi Polidoro, suo corrispondete dalla corte di Praga, don Mazza espone il prosieguo del programma iconografico: «Sopra tutto l’intero paramento sia rappresentato in figura il peccato d’Adamo e la Redenzione e la Chiesa. Quello che v’è sulla pianeta l’hai veduto; sul pluviale v’è, sopra il così detto tabarrino, la Natività di Gesù; sotto a questo schienale il peccato di Adamo, sul lembo destro lo Sposalizio di Maria e sul lembo sinistro un fatto di Davide [assetato che versa per terra l’acqua], per indicare la prosapia [stirpe] di Lei, e sul fascione dello stesso pluviale i sei profeti maggiori. Sulle tunicelle poi, sopra la diritta la Misericordia e sopra la sinistra la Giustizia, finalmente sopra il velo umerale la Chiesa».

In realtà vediamo sul fascione del piviale solo i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele e sulla tunicella del suddiacono l’Orazione nel Getsemani e la Caduta sotto la croce, mentre sulla dalmatica del diacono la Flagellazione e lo Scherno di Gesù. «A compiere la mia idea del paramento, sopra il velo umerale vi deve essere ricamata la Chiesa; e perciò elessi l’idea simbolica di Gesù Cristo che dà le chiavi a S. Pietro e già ordinai al pittore la copia dell’originale di Raffaello che è veramente capo d’opera». Il parato si completa di velo per il calice con la Deposizione dalla Croce, della borsa per il corporale con la Risurrezione, di stola e manipolo sacerdotali con i SS. Pietro e Paolo e il Bambino Gesù dormiente sulla croce o stante con essa, di stola e manipolo diaconali con i simboli della redenzione l’Agnello sacrificale, il pellicano, le spighe e l’uva, di manipolo per il suddiacono con lo stesso apparato iconografico del diacono.

 

La “completa sobrietà” del genio

Don Pietro Albrigi, nel volume Don Nicola Mazza. Breve biografia, spiega l’assenza, nell’iconografia del parato, del Cenacolo e della Crocifissione, episodi centrali della Redenzione: «Don Mazza aveva concepito il suo paramento secondo la sua reale funzione, come vesti sacre da usare all’altare; ora all’Altare l’Ultima Cena si rinnova in realtà e la Crocifissione è rappresentata dal grande Crocifisso che presiede [al centro dell’altare] al mistico sacrificio. Niente di mancante dunque, come niente di superfluo; ma la completezza e la sobrietà del genio». Una puntualizzazione che pone in mora le eccentricità di qualche moderno teologo e liturgista.

Il paramento fu terminato nel 1861 e verso la fine dell’anno giunse alla corte di Praga, dove suscitò meraviglia e consenso. Mons. Luigi Bragato, confessore di Maria Anna Carolina Pia di Savoia, scrisse così a don Mazza: «Hanno trovato tutti e ciascheduno degli oggetti tal cosa da non dover essere offerta ad altri che al Santo Padre. E lo sarà». Ferdinando I, uomo molto pio e cultore di teologia, regalò il parato a papa Pio IX, che ne fece uso nelle cerimonie pontificie. Il paramento rimase negli armadi della Sagrestia Pontificia fino a quando, negli anni ’90 del secolo scorso, pianeta, dalmatica e tunicella furono scucite per renderne visibili, in una teca, recto e verso, sospesi col piviale in verticale.

 

Questo testo di mons. Marco Agostini è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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