Il paese delle cento chiese

“Il paese delle cento chiese”: questo è uno degli appellativi con i quali è comunemente conosciuta la città di Corleone. Fra Trecento e Quattrocento si contavano già 17 edifici sacri entro le mura cittadine e 14 al di fuori di esse (sia negli immediati paraggi, sia presso le contrade rurali). Le chiese principali diedero peraltro il nome ai diversi quartieri di Corleone: san Pietro, san Giuliano, san Nicola, sant’Agostino… Si è registrata la presenza sul territorio, nello stesso periodo, di sei confraternite, associazioni laiche medioevali, dedite a varie opere di pietà. Quella di Sant’Orsola, ad esempio, si offriva di trovare un rifugio agli agonizzanti e di porsi a garante della buona morte.
Un’altra di tali confraternite prese il nome da san Leoluca, verso il quale è andato diffondendosi, nel corso dei secoli, un culto speciale nella città di Corleone, città che gli diede i natali intorno all’815-818, e in quella di Vibo Valentia, presso la quale ebbe fine la sua vita terrena. Questi ebbe chiara la propria vocazione quando, ventenne, orfano dei genitori, si occupava della gestione del patrimonio lasciatogli in eredità e ne lavorava i campi, potendo contemplare così le meraviglie della natura. Stimato da molti per il proprio spirito di umiltà e di obbedienza, scelse di vestire il saio e, tempo dopo, venne posto a capo della comunità di Santa Maria di Vena, monastero basiliano presso l’attuale Vibo Valentia. Leoluca aveva raggiunto il secolo di vita quando si spense, circondato dall’affetto dei circa cento frati che nel corso degli anni aveva radunato intorno a sé.
Diversi furono i segni miracolosi a lui attribuibili, a cominciare da pochi istanti dopo la sua dipartita: un intenso profumo di viole era chiaramente distinguibile in tutti gli ambienti del convento e lo si poté sentire ancora a lungo, in particolare nei pressi della tomba di Leoluca, subito acclamato santo dal popolo e ufficializzato come tale dalla Chiesa cattolica non molto più tardi. In più, un frate, che soffriva di febbre malarica, si accostò devotamente al corpo esanime di Leoluca e subito tornò in piena salute. Il santo venne seppellito accanto alla chiesa di Santa Maria Maggiore, sul terreno della cella in cui era stato accolto ottant’anni prima. Tale tomba fu a lungo meta di pellegrinaggio. In tale spazio venne poi edificato il duomo di Vibo Valentia intitolato alla Madonna e, appunto, a san Leoluca.
Il santo viene celebrato il primo giorno di marzo con una solenne processione lungo le strade cittadine, processione che prevede anche l’accensione di grandi e piccoli falò. Inoltre lo si festeggia ogni anno anche l’ultima domenica di maggio con un’apposita corsa, volta a rievocare una leggenda secondo la quale, nel 1860, san Leoluca e sant’Antonio si sarebbero posti alle porte della città di Corleone, difendendola dalle truppe borboniche. Le statue dei santi vengono portate sul luogo dell’apparizione, per essere poi ricondotte, in processione, al luogo di partenza, con tanto di “inchinata” finale.
A Corleone era ben radicata un tempo la tradizione eremitica, particolarmente sentita nella Sicilia del XIV secolo. Diffusa risultava inoltre la devozione alla Terrasanta: era costante la presenza di cavalieri, provenienti anche dalle aree del Settentrione italiano, ed erano frequenti i lasciti testamentari al priorato di San Giovanni Soprano dell’Ordine gerosolimitano.
Questo testo di Rino Zabiaffi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it