Il martirio del clero italiano (1943-1945)

Prima dell’8 settembre 1943 morirono 422 preti e cappellani militari sotto i bombardamenti alleati. Nelle file della Resistenza i religiosi morti furono 191: 158 trucidati dai tedeschi e 33 dai repubblichini. Ben 108 sono stati vittime dei partigiani comunisti, specie nell’Emilia rossa: 53 durante la Resistenza, 14 prima della Liberazione, 41 dopo. Stare al fronte era meno pericoloso che rimanere all’ombra del campanile. Dei 408 preti morti violentemente, 238 furono parroci, 41 viceparroci, 129 seminaristi, novizi e religiosi laici.
In Italia la maggioranza dei preti vennero ammazzati perché si opposero al regime fascista; cercando di proteggere i concittadini, nascosero e salvarono ebrei, avversari politici, aviatori inglesi e americani. Il lucchese don Aldo Mei fu arrestato nell’agosto 1944 dopo aver celebrato la Santa Messa e venne processato con l’accusa di aver dato rifugio ad un ebreo condannato a morte. Monsignor Antonio Torrini, arcivescovo di Lucca, invano tentò di salvarlo: Mei, condotto sulle mura della città, fu costretto a scavarsi la fossa prima di essere fucilato. Come Cristo, perdonò e benedisse i suoi assassini. Le sue ultime parole furono: «Muoio per un motivo di carità, per aver protetto e nascosto un carissimo giovane. Raccomando a tutti la carità».
Nell’autunno 1944 tre furono i sacerdoti bolognesi uccisi nei tragici eventi avvenuti a Monte Sole (nel territorio di Marzabotto sull’Appennino emiliano-romagnolo): don Giovanni Fornasini, don Ferdinando Casagrande, don Ubaldo Marchioni. Don Fornasini, quando cadde, aveva 29 anni: era il 13 ottobre 1944. Il suo corpo, con la testa staccata dal busto, rimase insepolto dietro al cimitero di San Martino di Caprara, sopra Marzabotto, fino alla primavera del 1945. Fu ritrovato dal fratello Luigi. Ora riposa nella sua chiesa di Sperticano.
Don Ferdinando Casagrande, parroco di San Nicolò di Gugliara, nei mesi più difficili, tra il maggio e il settembre 1944, manifestò fino all’ultimo abnegazione eroica: andava a visitare i suoi parrocchiani nascosti nei vari rifugi, fornendo aiuto materiale e conforto spirituale. All’inizio di ottobre, don Ferdinando si diede a seppellire di notte e nascostamente i morti. Molto probabilmente fu ucciso il 9 ottobre, dopo essersi recato al comando tedesco per tentare d’ottenere un permesso per cambiare rifugio e non morire di fame. Solo qualche giorno dopo, la sua salma fu ritrovata poco lontano dalla chiesa di San Martino.
Il mattino del 29 settembre 1944, mentre gli uomini si precipitavano nei boschi nella vana attesa di una difesa partigiana che non sarebbe venuta, una piccola folla di spaurite persone – donne, vecchi e bambini –, alle prime avvisaglie dell’imminente arrivo dei tedeschi, si era raccolta all’interno della chiesa di Casaglia. Il giovane parroco, don Ubaldo Marchioni, 25 anni, era accorso per recare conforto a quella gente indifesa. I tedeschi li trovarono riuniti in preghiera, stretti dalla paura e dalla fede. Don Marchioni fu ucciso ai piedi dell’altare. Gli altri – più di 70 persone – furono trucidati nel vicino cimitero. Qualche giorno dopo, don Ubaldo fu trovato riverso sulla predella dell’altare, con la veste sacerdotale inzuppata del suo sangue ed un piede bruciato.
Don Pietro Pappagallo di Roma fu ucciso nel marzo 1944 alle Fosse Ardeatine per aver dato rifugio ad ebrei e ad altri perseguitati: riuscì a liberare le mani ed a benedire i compagni di sventura. A lui la medaglia d’oro al merito civile alla memoria. La sua figura con quella di don Giuseppe Morosini ha dato spunto a Roberto Rossellini per il suo film Roma città aperta, nel quale il ruolo del sacerdote fu interpretato da Aldo Fabrizi.
Questo testo di Dianora Citi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it