Il grande assedio di Malta

Spesso si dice che le Crociate furono un “attacco ingiustificato dell’Occidente all’Islam”, divenendo la causa di secoli di successive incomprensioni. In realtà fin dal suo apparire, nel VII secolo dopo Cristo, la religione islamica si caratterizzò per la propensione all’espansionismo, al fine di sottomettere tutte le terre conosciute al credo di Maometto.
Vero è però che, una volta terminate le Crociate, vi furono secoli di “incomprensioni”, se vogliamo usare questo termine per definire i continui, brutali attacchi che i turchi ottomani, subentrati agli arabi nella guida del Califfato, portarono al mondo cristiano nel tentativo di annientarlo.
Conquistati i Balcani, Solimano I detto “il Magnifico” (1494-1566, sultano dal 1520) pensò di attaccare Roma, sede del Papato, per via di mare: sulla sua strada il disegno espansionistico turco trovò però la resistenza dell’Ordine Militare di San Giovanni, che si era da poco stabilito nell’isola, concessagli da Carlo V nel 1530 in seguito alla perdita di Rodi (1522).
Il pericolo che sarebbe potuto derivare dalla caduta di Malta non venne colto dai regni europei: solo la Spagna, la cui propaggine siciliana sarebbe stata a diretto contato con gli Ottomani, cercò di formare una spedizione comune contro l’invasore.
Gli altri Stati, però, non consideravano il pericolo imminente o non lo giudicavano un pericolo (Francesco I di Francia, ad esempio, era legato da un accordo con il Sultano), senza rendersi conto dell’importanza che la presenza dei Cavalieri di San Giovanni rivestiva nello scacchiere mediterraneo.
Tra coloro che cercarono di mobilitarsi in aiuto ai Cavalieri assediati fu don Giovanni d’Austria, che partì di nascosto dal fratellastro Filippo II con l’idea di imbarcarsi per Malta, trascinando con sé un’entusiasta scia di nobili coetanei. Sarebbe stato fermato dal Re, ma avrebbe avuto modo di dimostrare la propria capacità sei anni più tardi, a Lepanto.
I Cavalieri dovettero quindi resistere da soli, in quanto al mancato arrivo di alleati esterni si aggiunse la scarsa collaborazione degli abitanti dell’isola, la cui aristocrazia aveva mal digerito il rifiuto dell’Ordine di farla entrare nei suoi ranghi (la nobiltà locale non era abbastanza antica da superare le prove di anzianità richieste). Va peraltro aggiunto che tra i maltesi non vi fu alcuna defezione (che si verificò invece, sia pure isolatamente, nell’esercito dell’Ordine).
Eroica resistenza

L’assedio fu sostenuto dal Gran Maestro, Jean de la Valette Parisot (da cui prese nome la località maltese), che si batté eroicamente nonostante i suoi settant’anni. Uomo di grande cultura e di grande esperienza, conosceva numerose lingue tra cui l’arabo e il turco, imparate quando era stato catturato dai turchi e costretto al remo per un anno (1541); aveva percorso i principali gradi della vita militare (fu anche il primo Generale della Flotta non di sangue italiano, in un momento in cui tale grado veniva conferito solo a italiani, il che dimostra la stima di cui godeva).
Giunto a Malta, provvide a fornirla di un forte sistema di difesa, del tutto mancante al suo arrivo: questo permise la resistenza degli assediati, nonostante il ritardo con cui giunsero i rinforzi dalla Sicilia (il suo governatore, don Garcia di Toledo, presumibilmente timoroso di possibili reazioni turche contro la Trinacria in caso di vittoria musulmana, ritardò la partenza delle navi già pronte nel porto di Siracusa: dopo l’assedio, fu sollevato dal suo incarico).
Dopo un paio di settimane di preparativi, si ebbe il primo attacco: la mattina del 3 giugno i Giannizzeri si scagliarono contro le mura del forte Sant’Elmo, che era difeso da circa 100 cavalieri e 500 miliziani ai quali la Valette aveva ordinato di lottare fino alla fine.
I Giannizzeri attaccavano urlando e sparando all’impazzata, anche “aiutati” dall’hashish che i soldati musulmani assumevano prima della battaglia. Mentre gli assalitori tentavano di scalare le mura utilizzando scale e corde, i difensori rispondevano con un massiccio uso del “fuoco greco”, una sorta di “arma segreta” bizantina, una miscela particolarmente incendiaria. I pochi assalitori che riuscivano a raggiungere la sommità degli spalti dovevano quindi affrontare i Cavalieri dell’Ordine, decisi a combattere fino allo stremo, ottimamente armati e perfettamente addestrati.
I cavalieri-monaci dell’Ordine erano inoltre equipaggiati da una pesantissima corazza metallica (circa 70 chili) pressoché impenetrabile. D’altro canto questa permetteva una notevole agilità, poiché era costruita su misura e il suo peso era distribuito nel migliore dei modi. Essa non poteva essere danneggiata da colpi di scimitarra o da punte di freccia: poteva sì essere perforata da un colpo di archibugio sparato a bruciapelo, ma i turchi non disponevano di molti di queste armi, in uso ai soli Giannizzeri; la maggior parte dei soldati ottomani era invece equipaggiata leggermente, con arco e scimitarra, e indossava un semplice corpetto corazzato.
Già a mezzogiorno i turchi compresero che l’attacco non poteva essere proseguito e si ritirarono lasciando sul campo 2.000 morti; sul fronte opposto erano stati uccisi solamente una decina di Cavalieri ed una settantina di miliziani.
Vincere le armate islamiche era possibile
Un puntuale resoconto dell’assedio ci viene da una cronaca – scritta in spagnolo – di uno dei difensori dell’isola maltese: Francesco Balbi. Anche la sua età, come quella del Gran Maestro Jean de La Valette, era relativamente avanzata (sessanta anni), ma egli si batté comunque fino allo strenuo non mancando di annotare, giorno dopo giorno, l’evolversi dello scontro: per sei mesi 9.000 uomini ne fronteggiarono 40.000 e il rinforzo di 8.000 uomini (in gran parte fanti spagnoli) giunse solo il 7 settembre.
Balbi saluta il loro arrivo – che vede come provvidenziale in quanto giunto la vigilia della Nascita di Maria Santissima – con un passaggio commovente: «Non credo che musica più dolce sia mai stata udita da orecchio umano che il rintocco delle campane nella giornata di oggi, Natività di Nostra Signora», appunta l’8 settembre. Sentire le campane echeggiare a festa e non, come fino a poche ore prima, quale segnale d’allarme, non può che rincuorare gli uomini, che contrattaccano gli avamposti turchi al grido di “Santiago!” e in pochi giorni costringono i nemici alla fuga.
Dell’assedio esistono altre narrazioni coeve (Antonfrancesco Cini, che raccolse informazioni dai reduci della battaglia) o immediatamente successive (Pierre Gentil de Vendôme, l’Abate di Brantôme), ma quella di Balbi è l’unica che risale a un testimone oculare degli scontri. Le perdite registrate da Balbi furono: 31.000 turchi, 239 cavalieri di Malta, 7.000 cittadini Maltesi (donne e bambini), 2.500 fanti di varie nazionalità.
Con l’assedio di Malta il mito della invincibilità dell’esercito turco – e in particolare dei suoi Giannizzeri – subì un colpo fondamentale. Qualcosa di simile avverrà, cinque anni dopo, a Lepanto, alla flotta della mezzaluna e alla leggenda che la circondava.

Per l’Impero ottomano, inoltre, la sconfitta di Malta si risolse anche in un grave colpo dal punto di vista finanziario, poiché la maggior parte dell’economia turca era basata non tanto sull’agricoltura e sul commercio, bensì proprio sulle razzie e sul bottino di guerra: per la prima volta il mondo musulmano conobbe l’inflazione e la svalutazione della propria moneta.
In quanto all’esercito, dato che le perdite assommavano a due terzi dei soldati, il ritorno a Costantinopoli venne effettuato addirittura nottetempo per nascondere alla popolazione la reale entità dei danni subiti.
Superato lo smacco, Solimano avrebbe voluto riprendere l’attacco all’isola mediterranea dopo un anno: con ogni probabilità Malta, ormai semidistrutta, non avrebbe potuto opporre un’ulteriore resistenza efficace.
Ma mentre fervevano i preparativi per la ricostruzione della flotta, un’esplosione nel deposito delle polveri dell’Arsenale di Costantinopoli danneggiò irreparabilmente gran parte delle navi turche ormeggiate nei bacini limitrofi. Si disse che l’esplosione fosse stata provocata da agenti segreti veneziani o dell’Ordine di Malta, ma data la frequenza di simili incidenti, sarebbe potuta invece essere semplicemente fortuita.
In ogni caso fu provvidenziale e costrinse il sultano a modificare i propri piani e a concentrare il proprio esercito in un attacco via terra, attraverso i Balcani, dove trovò la morte nel settembre del 1566.
Malta non subì più assalti da parte degli ottomani e l’eroica resistenza dei Cavalieri di Malta dimostrò all’Europa che sconfiggere l’Impero ottomano era possibile.
Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it