Il Credo

In certi giorni e in occasione di certe feste, all’annuncio della Buona Novella fa seguito la Professione di Fede, e il cuore pronuncia con gioiosa gratitudine: Credo! (“io credo”). Quando il Credo viene recitato è come voler dar forma alla risposta, come far eco alla voce di Dio pronunciata a noi attraverso i Profeti e gli Apostoli, infine tramite il Suo Figlio Unigenito.
Esistono nella Chiesa numerosi testi del Symbolum (Credo). Questi riepilogano in breve il ricco contenuto dei principali dogmi e di conseguenza significano l’appartenenza alla Chiesa in una fede comune. Il primo, il più semplice, è il Simbolo Apostolico che è di sicura origine apostolica e costituisce la base di tutti gli altri, poiché quelli che hanno fatto seguito sono lo sviluppo e l’estensione del medesimo. Oltre al Credo Apostolico, detiene un rango particolare il cosiddetto Niceno-Costantinopolitano.
Questo Credo si chiama Niceno perché è stata qui assunta quasi alla lettera la professione di fede del primo concilio di Nicea (325 d.C.) sulla divinità del Figlio; Costantinopolitano perché fu accettato e confermato come cattolico in questa forma dal secondo sinodo ecumenico, tenutosi a Costantinopoli (381 d.C.). Il fatto che non solo la divinità del Padre, ma anche quella del Figlio e dello Spirito Santo venga così esplicitamente enfatizzata fa di questo Simbolo il più adatto a proclamare solennemente la vera fede nella Messa, soprattutto in Oriente a partire dal VI secolo contro le eresie ariana e della Macedonia.
Dopo gli eventi in Oriente, il grande concilio nazionale di Toledo in Spagna (589 d.C.) decretò e ordinò che, nella Messa del rito Mozarabico, nella professione di fede Costantinopolitana fosse aggiunto il filioque (“e dal Figlio”) a difesa dall’errore ariano che si era infiltrato durante la dominazione dei Goti. Qui però esso si recitava non dopo il Vangelo ma dopo la consacrazione, prima del Pater Noster, e perciò fungeva da immediata preparazione alla santa Comunione. Era intonato dal sacerdote, mentre teneva l’ostia con la mano, e proseguito nel canto del clero e del popolo. Dalla Spagna il Credo si propagò poi, verso la fine dell’VIII secolo, fino alla Germania e alla Francia e, come il Gloria, fu cantato frequentemente anche in greco. All’inizio lo stile del canto era molto semplice: una mera recitazione sillabica senza alcun ornamento melodico. Il Credo è infatti l’ultimo in assoluto tra i canti della Messa romana.
È difficile stabilire da quando la Chiesa romana abbia iniziato a recitare e cantare il Credo nella Messa. Poiché gli antichi documenti a nostra disposizione contengono apparenti contraddizioni, i punti di vista dei liturgisti differiscono molto tra di loro. Secondo la chiara e affidabile esposizione dell’abate Berno di Reichenau († 1048), il Credo fu ammesso universalmente nel rito della Messa romana solo all’inizio dell’XI secolo, dal papa Benedetto VIII, e ciò in seguito alla richiesta dell’Imperatore Enrico II.
Il 14 febbraio 1014 infatti, una domenica, Enrico II fu consacrato e incoronato Imperatore nella basilica di San Pietro. Durante la Messa solenne il pio Imperatore osservò che il Credo non era stato cantato nella forma in uso nel resto della Cristianità. Informatosi sul motivo, gli fu detto che la Chiesa Romana non si era mai staccata dalla fede cattolica e non era stata mai macchiata dall’eresia, perciò non era necessario dar conto della propria fede. L’Imperatore, tuttavia, fece richiesta al Papa che volesse inserire il Credo nella Messa solenne come regalo per l’incoronazione, e per l’edificazione dei fedeli che accorrevano a Roma da tutto il mondo. Il Papa, dal canto suo, ritenne cosa buona che anche a Roma s’istituisse un’usanza che, d’ora in poi, testimoniasse l’ardente fede del santo Imperatore e che questa fede a sua volta si accendesse in mille cuori