Il concetto di scienza pratica

Oggi vedremo assieme che cosa si intenda per scienza pratica. Questo concetto riveste qui grande importanza, perché esso solo permette, di acquisire una idea esatta della morale come scienza, dei suoi limiti, e anche dei problemi che le appartengono.
SCIENZA SPECULATIVA E SCIENZA PRATICA – Le scienze speculative e le scienze pratiche si distinguono per i loro fini. Le prime mirano a conoscere solo per conoscere e raggiungono il loro oggetto solo a titolo di puro intelligibile, cioè un concetto concepibile dall’intelletto, mediante astrazione dall’esistenza concreta. Ad esempio, io posso pensare ad una porta in particolare, in legno, in ferro, alta o bassa, stretta o larga, ma questa sarebbe una ben determinata porta, legata all’esistenza concreta. L’intelletto umano permette di astrarre e di pensare non “una” porta specifica, ma “la” porta generica, il concetto stesso di porta come oggetto che mi permette di passare da una stanza all’altra.
Le scienze pratiche, invece, cercano di conoscere, non solo per conoscere, ma per agire e, per il fatto stesso mirano al loro oggetto, in modo più o meno diretto, sotto il suo aspetto di realtà concreta.
Tra scienza speculativa e scienza pratica vi è una differenza essenziale: la distinzione si stabilisce dal punto di vista non tanto del soggetto che studia, ma piuttosto dell’oggetto, formalmente preso, per il quale è essenziale, se sia preso di mira o no come operabile. Qui per “operabile” si intende ciò che si può operare, ciò che si può fare. L’atteggiamento del soggetto che studia non basta quindi a modificare la natura della scienza: la geometria non diviene scienza pratica quando è studiata in vista d’un esame, né la medicina diviene scienza speculativa quando è studiata senza tener conto della pratica. Ne consegue che ogni scienza che ha per oggetto (materiale) un operabile, ma che lo considera formalmente soltanto sotto un aspetto teorico, come una essenza da analizzare e definire (tale è lo studio che il fisico fa al microscopio), e il cui fine e metodo restano speculativi, è una scienza propriamente speculativa. D’altra parte ogni scienza che ha non solo per oggetto un operabile (oggetto materiale), ma che lo prende di mira formalmente come operabile (oggetto formale) è necessariamente una scienza pratica e non può avere che un metodo pratico, quale che sia il fine cui lo scienziato mira personalmente.
Per fare un esempio di scienza speculativa, si consideri la matematica. Essa è una scienza speculativa in quanto il suo oggetto di studio è privo della materia sensibile (non posso toccare e vedere la retta infinita o il punto infinitesimo), e il fine è la conoscenza per la conoscenza. Se prendiamo in considerazione l’astronomia essa è una scienza pratica in quanto applica i concetti della matematica finalizzati allo studio dei corpi celesti.
Ora gli operabili, in quanto tali, possono essere considerati sotto due aspetti dall’intelletto pratico, cioè secondo che essi riguardano da lontano o da vicino l’operazione stessa. Da qui la divisione della scienza pratica in speculativamente pratica e praticamente pratica.
LE SCIENZE SPECULATIVAMENTE PRATICHE – Si dà il nome di “scienze speculativamente pratiche” a quelle scienze che sono ordinate all’operazione, ma in modo lontano. Esse considerano l’oggetto operabile in quanto tale, non ancora per produrlo, ma soltanto per analizzarlo e determinarlo concettualmente dal punto di vista dell’operazione. Queste scienze non sono dunque integralmente e perfettamente pratiche perché esse non considerano che nel modo speculativo l’oggetto di operazione. Così avviene, per esempio, della medicina teorica, o anche, come vedremo oltre, nella filosofia morale.
SCIENZE PRATICAMENTE PRATICHE – Le scienze praticamente pratiche invece, sono quelle scienze che considerano da vicino l’operazione, non ancora per produrla effettivamente (cosa che riguarda l’arte o la prudenza e non la scienza), ma per determinarne le necessità concrete, mentre le scienze speculativamente pratiche si limitano all’analisi ontologica dell’oggetto. Queste ultime, tuttavia, rimangono pratiche perché l’analisi ontologica cui esse procedono è fatta proprio in vista dell’operazione, mentre le scienze formalmente speculative, che si servono ugualmente dell’analisi ontologica, astraggono da ogni idea d’operazione e mirano puramente e semplicemente a conoscere per conoscere. Come tipi di scienze praticamente pratiche possiamo citare la medicina pratica e il gruppo delle scienze umane.
Queste scienze procedono per via di composizione e di sintesi, nel senso che partono dal principio o fine per giungere ai mezzi concreti da utilizzare. Si tratta per esse di comporre e accordare i fattori molteplici e diversi che sono necessari simultaneamente alla perfezione della diagnosi (medicina pratica) o all’integrità dell’atto morale (casistica).
I due tipi di scienze pratiche enunciano dunque giudizi speculativo-pratici, poiché gli uni e gli altri si pongono sul piano dell’universale (trattandosi di scienze). Ma nella scienza speculativamente pratica, il carattere pratico del giudizio rimane lontano, in quanto questo giudizio non si riferisce alle esigenze concrete dell’azione. Al contrario, il giudizio delle scienze praticamente pratiche, pur non comandando immediatamente l’azione, è più rigorosamente pratico, per il fatto che si stabilisce in funzione del reale concreto. Per esempio, la casistica o casuistica morale mira espressamente a casi concreti, dei quali si sforza di afferrare speculativamente gli aspetti molteplici in vista di formulare un giudizio pratico relativamente a questi casi. Ma essa resta tuttavia sul piano del sapere: spetterà propriamente al direttore spirituale (o a colui che s’interroga su ciò che deve fare hic et nunc) di regolare l’operazione, vale a dire di decidere ciò che un tale (e non un altro) deve fare in quel determinato caso particolare. Quindi non si tratta più di sapere, ma di agire: dalla scienza siamo passati nel campo dell’arte e della prudenza.
Prendiamo ad esempio il caso di una persona che svolge pulizie in un luogo dove si praticano aborti. Questo è certamente un caso particolare che può esser trattato alla luce dei principi generali della cooperazione al male. Ci si chiede se la persona possa o meno continuare a svolgere il proprio lavoro di pulizia dei locali ospedalieri. Se vogliamo semplicemente “sapere” se il tale può o meno preservare il proprio lavoro, dobbiamo riferirci al concetto di cooperazione materiale e remota al male: nella fattispecie, la persona che pulisce i locali non necessariamente condivide l’intento abortivo del chirurgo che si appresterà ad uccidere degli innocenti e, per di più, il suo grado di cooperazione è decisamente lontano dall’atto del chirurgo, molto più dell’assistente che gli fornisce gli strumenti per l’aborto. È chiaro che il medico potrebbe operare facilmente un aborto anche in una stanza con un grado di pulizia inferiore, ma non potrebbe farlo senza gli attrezzi forniti dall’assistente. Ma mettiamo che il tale in questione vada a confessarsi: qui si passa dal semplice “sapere” al capire cosa “fare” e spetterà al confessore capire se sussista o meno una ragione proporzionata perché il tale preservi questo lavoro: se la persona in questione ha una famiglia e rinunciare a questo lavoro potrebbe significare non riuscire a provvedere il giusto sostentamento a moglie e figli, allora il confessore sarà prudentemente portato a dirigerlo qui ed ora verso il mantenimento del lavoro. Se è un uomo libero dal vincolo familiare e può facilmente ottenere un altro lavoro per sostentarsi, allora il direttore spirituale gli consiglierà di licenziarsi e lavorare in un contesto privo anche della sola cooperazione materiale e remota al male. Come vedete, dapprima abbiamo ragionato in termini astratti, seppur sul caso concreto, solo per sapere se sia o meno lecito per il tale mantenere il posto di lavoro: sia chiaro che, se il caso avesse coinvolto l’assistente del chirurgo o il chirurgo stesso, non vi sarebbe dovuto essere indugio alcuno, giacché non è mai lecito né uccidere l’innocente, né cooperare formalmente o materialmente in modo molto prossimo. Successivamente, ci siamo posti il problema di ciò che quel tale, e non un altro, poteva fare, sulla base delle circostanze contingenti (la presenza o meno di una famiglia da sostenere) di quella singola persona.
Le scienze morali speculativamente pratiche considerano il loro oggetto (cioè l’atto umano) in funzione dei princìpi universali che gli assicurano la sua rettitudine morale. Le scienze praticamente pratiche, considerano il loro oggetto nelle sue esigenze concrete (benché non assolutamente singolarizzate, cosa che riguarda la prudenza).
Nel prossimo podcast, vedremo più in dettaglio i concetti di arte e prudenza che servono, dopo le conclusioni tratte dalla scienza, a calarsi nella realtà concreta e particolare di ognuno.