Il Baciccio

La costruzione della chiesa del Santissimo Nome di Gesù all’Argentina fu decisa proprio da Sant’Ignazio di Lojola nel 1550. Dieci anni prima, nel 1540, papa Paolo III Farnese aveva approvato e riconosciuto il nuovo Ordine gesuita e c’era bisogno di una chiesa che ne fosse punto di riferimento. Nonostante la scelta di una posizione di assoluta visibilità, in un luogo centrale per la Roma dell’epoca a mezza via tra il Laterano e il Vaticano, e nonostante il carisma del suo fondatore, ci vollero oltre dieci anni di lunga attesa prima di trovare un generoso mecenate, che si facesse carico dell’impresa.
Chiesa del Concilio di Trento
Questi fu Alessandro Farnese, che finanziò la realizzazione del progetto tra il 1568 e il 1584, quando Sant’Ignazio era già morto, per opera di Jacopo Barozzi detto il Vignola e poi di Giacomo della Porta. E, al momento della sua dedicazione nel 1584, con il cantiere della Basilica di San Pietro ancora in corso, quella del Gesù fu senza dubbio la più grande e monumentale struttura ecclesiastica costruita ex novo a Roma dopo la tragedia del Sacco di Roma del 1527. E quindi aggiornata sulle nuove necessità e tendenze della Chiesa da poco uscita dal Concilio di Trento. Proprio per metterle in atto, i due architetti optarono per uno schema grandioso, a croce e a navata unica coperta da volta a botte. Tale soluzione era ben più funzionale di altre ai fini della predicazione, per il suo miglior rendimento acustico dovuto alla minore dispersione del suono. Inoltre si decise di evitare la presenza di barriere di separazione tra lo spazio del presbiterio e quello della navata, in maniera da offrire uno spazio ben più accogliente verso il popolo dei fedeli.
«Ecclesia militante»
Proprio alla comunità dei fedeli, in particolare, è rivolto il grandioso affresco che svetta al centro della volta della navata, opera di uno dei più noti allievi del Bernini, Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio (o Baciccia), realizzato mentre il cantiere per la costruzione della chiesa non era ancora finito, tra il 1672 e il 1685, evidentemente sfruttandone le impalcature già approntate.
Siamo nella fase pieno-tarda dell’arte barocca e il soggetto insiste non solo sulla Gloria del Nome di Gesù, fuoco centrale del carisma gesuita, ma anche su quella funzione missionaria e soprattutto educativa e pastorale, che proprio Paolo III aveva loro affidato fin dal momento dell’approvazione della Compagnia di Gesù, come vera «ecclesia militante».
Fu il generale dell’Ordine, Padre Gian Paolo Oliva, a indirizzare il Baciccio verso le tematiche da affrontare e sicuramente anche verso le modalità comunicative. La volta del Gesù fu quindi concepita come un formidabile sermone per immagini, parallelo alla grande predicazione dell’epoca secondo il fondamentale principio dell’ut picturae sermones. L’intento è di passare il messaggio al popolo dei fedeli, ma puntando in primo luogo sulle emozioni, stando attenti a delectare, docere e movere ossia a «dar diletto, insegnare e muovere l’affetto di chi guarda», commuovere fino al midollo dell’animo, «compungere le viscere», toccare il profondo del cuore dei fedeli, come aveva scritto nel suo trattato sulle immagini Gabriele Paleotti (1582), cogliendo nel segno il cuore dell’arte barocca.
Per questo il Gaulli adotta uno stratagemma sconvolgente, che già Bernini aveva anticipato in alcune sue opere, come nella Cattedra di San Pietro: quello di sovrapporre la pittura alla cornice architettonica e a stucco. L’impressione è che la volta sia aperta nel suo centro verso il cielo e che, stante una parte delle figure rappresentate al di là dello spazio terreno, altre sembrino piombare drammaticamente sulla testa dello spettatore.
«Al di sopra di ogni altro nome»
La fonte principale è un passo di San Paolo (Fil 2,5-11): «Per questo Dio l’ha esaltato / e gli ha
dato il nome / che è al di sopra di ogni altro nome; / perché nel nome di Gesù / ogni ginocchio si pieghi / nei cieli, sulla terra e sotto terra; / e ogni lingua proclami / che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre». Ma in questa parola intrisa di colore si punta anche sul binomio Dio come luce e male come ombra.
Al centro della volta o meglio dello sguardo dello spettatore che procede dall’ingresso della chiesa, irradia di una luce folgorante l’emblema della Compagnia, il Santo Nome di Gesù, IHS, Iesus Hominorum Salvator. Di fronte a Lui piegano le ginocchia gli angeli, i Santi, i re (i magi e Carlo Magno), la personificazione della Chiesa e della casata dei Farnese, che presenta un piccolo modello dell’edificio, secondo un’antichissima iconografia della figura dei donatori. Di luce sono inondati anche i personaggi scolpiti a stucco sopra le finestre della navata: sono le personificazioni delle regioni dove i Gesuiti avevano fondato le loro missioni, dalla Cina al Perù.
Altre scene bibliche sono scolpite negli stucchi circostanti, in parte ricoperti dall’altra parte della scena: quella delle forze del male, che vengono rovinosamente sconfitte e precipitate all’inferno dalla luce di Dio.
Perché al contrario dei Santi, gli eretici e i dannati sono nell’ombra e sembrano precipitare sulla terra, oltrepassando il confine della cornice dell’arte, per varcare il mondo degli spettatori. La fonte per questa parte è l’Apocalisse (Ap 12,7-10) e i primi ad essere cacciati sono Satana e gli angeli ribelli, colti nell’atto in cui si trasformano in orride figure. Con loro precipitano anche i sette Vizi Capitali, con l’aggiunta di alcune note dolenti e particolarmente sensibili per quel tempo, ma anche per quelli successivi: la simonia, l’eresia e la scienza non fondata sulla ragione.
Questo testo di Sara Magister è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it