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I prodromi della rivoluzione

Storia16 Giugno 2018
Testo dell'audio

Giunta in possesso della collana, essendo impossibile sia sfoggiarla che trovare un acquirente, la Contessa de la Motte decide di smembrarla e vendere separatamente i numerosi diamanti tra Londra e Parigi. Ma quando, mesi dopo, i pagamenti non arrivano, i gioiellieri decidono di parlare con la Sovrana e vengono a scoprire l’amara verità: sono stati truffati, perché nessuna collana è mai giunta alla Regina, la quale, però, nella sua innocenza non comprende quale piega avrebbe potuto prendere la situazione e non dà seguito alla questione. I gioiellieri si rivolgono allora al Cardinale, che dal canto suo è sicuro di sé, essendo in possesso delle (false) lettere di Maria Antonietta, che crede di aver personalmente incontrato.

Passa qualche mese e dopo la denuncia formale il Re convoca un Consiglio di Stato, che propone l’arresto del Cardinale. È il 15 agosto 1785 e Rohan sta per officiare solennemente l’Assunzione nella cappella di Versailles: non riuscirà a celebrare Messa, perché condotto alla Bastiglia, dopo aver chiamato in causa i suoi complici (o meglio i suoi truffatori), che lo raggiungeranno di lì a poco nella prigione parigina.

 

La Francia spaccata in due

L’opinione pubblica è scossa ed infiammata dai numerosi memoriali pubblicati: gli avvocati, anziché prodursi in arringhe nelle aule dei tribunali, a quel tempo depositavano memoriali nelle cancellerie. In questo caso non perdono l’occasione di pubblicarli e diffonderli, per cui la difesa riesce a far sentire la propria voce molto più dell’accusa.

La Francia si spacca in due: da un lato i pochi fedeli di Maria Antonietta, dall’altro quasi tutta l’aristocrazia, tutto il clero e tutto il popolo. I mestatori individuano nel conflitto tra Regina e Cardinale una lotta micidiale per entrambi: per il trono e per l’altare. Essi non esitano perciò a schierarsi con l’opposizione contro il governo, facendo circolare nel popolo odiose calunnie contro la Sovrana, diffondendo vignette e libelli infamanti e spingendo la popolazione contro Maria Antonietta.

La Regina è impotente, pur non avendo nulla da rimproverarsi; è buona e ha sempre amato la Francia, e quando la collana le è stata offerta, l’ha rifiutata per il bene dello Stato, dimostrando anche buon gusto. Infatti definì il gioiello «più una bardatura da cavallo che un collier per una dama». Eppure ora quasi tutta la Francia parteggia per il Cardinale e s’accanisce contro l’innocente e sventurata Sovrana.

Il seguitissimo processo di cui viene investito il Parlamento diventa un vero e proprio spettacolo: Jeanne de la Motte inizialmente si difende bene, scagionando la Regina ed indicando il Cardinale come mandante dell’operazione, poi si contraddice, quindi inizia ad insultare tutti i testimoni e termina con il suo pezzo forte, un teatrale svenimento che interrompe l’udienza.

Di fronte alle sue evidenti calunnie, gli altri accusati fanno la figura degli innocenti perseguitati. Ma come la vittima della durezza della Regina e di un Re succubo dell’“Austriaca”, venendo addirittura paragonato a san Paolo perseguitato da Nerone; mentre l’unica verità detta dalla Contessa, l’estraneità di Maria Antonietta, viene interpretata come un segno evidente della complicità tra le due donne.

 

 

La sentenza

Il giorno dopo, 31 maggio 1786, fin dalle cinque del mattino il tribunale e le vie adiacenti rigurgitano di folla, mentre i membri delle potenti famiglie imparentate con i Rohan si accalcano alle porte del tribunale, vistosamente vestiti a lutto.

I 50 magistrati riconoscono colpevole la Contessa, che condannano alla fustigazione, al marchio d’infamia, all’ergastolo ed alla confisca di tutti i beni. Il marito, rifugiato in Inghilterra, viene condannato all’ergastolo in contumacia, mentre la signora Legnay riceve una semplice nota di biasimo, per essersi sostituita alla Regina. Cagliostro viene assolto con formula piena.

Per il Cardinale, il procuratore chiede che presenti le sue scuse ai Sovrani, rinunci alla porpora, distribuisca i propri averi ai poveri e si tenga per sempre lontano dalle residenze reali; ma il decano della Corte si pronuncia invece in favore dell’assoluzione piena ed esclama a gran voce: «Da quando il Parlamento si lascia influenzare dalle pressioni della Corte?», scatenando un vero e proprio tumulto.

Dal canto suo, il Primo Presidente, pur accettando il punto di vista del procuratore, per non sembrare prono alla Corte non prende la parola. Di conseguenza non esercita la propria influenza sui colleghi indecisi e il Cardinale viene clamorosamente prosciolto da ogni accusa. Rohan innocente significava gettare la colpa sulla Corte. Il Re e la Regina ne uscivano offesi e umiliati. Restava ancora uno sbaglio da commettere e il Re lo commise.

Dopo aver fatto arrestare il Cardinale coram populo a Versailles; dopo essersi rivolto al Parlamento, notoriamente avverso al potere regale, anziché soffocare lo scandalo; a sentenza emessa, invece di far buon viso a cattiva sorte e compiacersi dell’innocenza del Cardinale, decise di amplificare la propria fama di persecutore, intimando al porporato di dimettersi da tutte le cariche a Corte e di andare in esilio in Alvernia, confermando la propria fama di tiranno con il bando a Cagliostro. Dette insomma l’apparenza di assecondare il desiderio di vendetta della Regina, dopo che la giustizia aveva trionfato…

 

Il frutto venefico di errori commessi

Anche la punizione della Contessa beneficiò della simpatia popolare: percossa a sangue e bollata a fuoco, la donna svenne, questa volta per davvero, ma si racconta che dal giorno del suo supplizio tutta l’aristocrazia si recasse a farle visita e tra i suoi nobili visitatori spiccassero il Duca e la Duchessa d’Orléans. Evase dal carcere l’anno dopo e si disse che era stata la Sovrana stessa ad aiutarla: ma dall’Inghilterra dove si rifugiò Jeanne de la Motte mandò a Parigi libelli immondi contaminanti la fama della Regina fin nella sua vita più intima.

Così, un fatto che dimostra la frugalità («un prezzo troppo alto»), il buon gusto («bardatura da cavallo») e l’attaccamento alla Francia («meglio una nave che un gioiello») di Maria Antonietta venne stravolto in accuse infamanti di frivolezza, corruzione e livore.

Inoltre, le scelte della Corte si rivelarono quasi tutte sbagliate nei tempi e nei modi e il risultato fu che la propaganda ne approfittò per attaccare il Trono, dipingendo con i colori più foschi la coppia regale. Le calunnie ebbero tanta eco che, chiamata nel 1793 Maria Antonietta di fronte al tribunale rivoluzionario, le falsità di Jeanne de la Motte sarebbero state riprese da Fouquier-Tinville. Ma ben prima questo scandalo aveva offerto lo spunto per continuare ad attaccare l’istituzione della Monarchia fino allo scoppio della Rivoluzione, che se ebbe nella presa della Bastiglia l’evento scatenante, trovò nell’affare della collana un fondamentale momento preparatorio.

 

Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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