I martiri turritani

E’ grande, in tutta la Sardegna, la venerazione per san Gavino: basti pensare alla frequenza con cui tale nome è stato scelto per chiamare i figli, ai numerosi luoghi di culto a lui dedicati, ad alcuni Comuni che da lui prendono il nome, ad esempio San Gavino Monreale. Addirittura per i sardi il mese di ottobre, mese in cui è avvenuto il martirio, viene anche chiamato Santu Aini o Santu Bainzu (che significa, appunto, san Gavino). Oltre che in Sardegna, il culto è inoltre molto diffuso nella vicina Corsica, in Toscana e in Campania, dove è possibile trovare chiese a lui dedicate.
Il martirio
Nella basilica di San Gavino a Porto Torres è presente un dipinto del XIX secolo, in cui viene rappresentato il martirio di Gavino assieme a Proto e Gianuario: il primo è vestito da militare romano, gli altri due sono raffigurati in abiti ecclesiastici, anziano e con la barba Proto, più giovane Gianuario. L’anonimo autore di una Passio del XII secolo, pervenutaci dall’abbazia di Clairvaux, utilizzò le poche notizie riportate dal Martirologio Geronimiano del VI secolo: Gavino era morto decapitato il 25 ottobre del 303, al tempo della persecuzione di Diocleziano, mentre Proto e Gianuario ebbero eguale sorte il 27 ottobre, due giorni dopo. Che Gavino fosse un soldato, Proto un sacerdote e Gianuario un diacono, l’autore deve averlo dedotto da altre antiche fonti o dalla tradizione orale. Gavino era probabilmente un milite romano anche per un altro motivo: il nome stesso deriva dal latino gabinus, che significa «abitante di Gabium», antica località del Lazio ed era un nome in uso in quella regione.
La Passio in questione narra che Proto e Gianuario fossero nati in Sardegna e abitanti di Turris Libisonis, colonia romana probabilmente fondata nel 46 a.C. dall’imperatore Giulio Cesare Ottaviano ed attuale Porto Torres, comune situato a nord della regione nel Golfo dell’Asinara. I due predicavano il Vangelo nei dintorni della città, quando venne pubblicato l’editto di Diocleziano e Massimiano, in cui si dava il via alla persecuzione dei cristiani. Alcuni pagani del luogo si recarono in Corsica, dove risiedeva il preside Barbaro, inviato nelle due grandi isole per fare applicare l’editto imperiale, e denunziarono la loro presenza. Barbaro li fece arrestare e condurre al suo cospetto.
Davanti alla loro fiera resistenza nella fede cristiana, ordinò di portare Proto nelle isole Cuniculariae (arcipelago della Maddalena), mentre trattenne Gianuario nell’intento di fargli cambiare idea. Trasferitosi in Sardegna a Turris, Barbaro fece rientrare Proto riunendolo a Gianuario e, ancora una volta, cercò di convincerli a sacrificare agli idoli. Al loro nuovo rifiuto li fece torturare, lacerando le loro carni con unghie di ferro; in seguito furono messi in prigione, sotto la custodia di un soldato di nome Gavino. Quest’ultimo, colpito dal loro comportamento e dalle loro parole, si convertì e li liberò, chiedendo loro di ricordarsi di lui nelle preghiere.
I due fuggitivi lasciarono la città e si rifugiarono in una caverna. Il giorno seguente Barbaro ordinò che gli fossero portati i due prigionieri, ma il soldato Gavino, professatosi cristiano, confessò di averli liberati. Fu subito condannato a morte e, lungo la strada che lo portava al luogo del martirio, incontrò una donna cristiana che l’aveva spesso ospitato, la quale gli diede un velo per bendarsi gli occhi. Gavino fu quindi decapitato sulla scogliera di Balai, località di Turris, in corrispondenza della quale venne poi edificata la piccola chiesa detta di Santu Bainzu Ischabizzaddu (San Gavino decollato), e il suo corpo gettato nelle acque allo scopo di renderne arduo il recupero e la venerazione da parte dei cristiani. Dopo la morte Gavino apparve a Calpurnio, marito della donna, affidandogli il velo e dicendo di restituirlo alla moglie. Rientrato a casa, Calpurnio trovò la moglie piangente per la morte di Gavino.
Dapprima incredulo, avendolo prima incontrato per strada, cambiò idea quando, spiegato il velo, lo trovò macchiato di sangue. In seguito, Gavino apparve ai due fuggitivi nella caverna, invitandoli a tornare a Turris per ricevere come lui il martirio: Proto e Gianuario subito obbedirono e vennero decapitati il 27 ottobre, nello stesso luogo dove era morto Gavino.
La guarigione miracolosa
La tradizione racconta che i corpi dei tre martiri, che giacevano seppelliti in loculi di pietra situati in un luogo non molto distante da quello del martirio, furono scoperti da Gonnario Comita, giudice (tale titolo in Sardegna equivaleva a quello di Re) di Torres e di Arborea, colpito da lebbra: san Gavino gli sarebbe apparso in sogno, dicendogli che, se voleva guarire, doveva cercare i suoi resti e quelli dei compagni martiri, per conservarli in una chiesa all’uopo costruita. Così fece e guarì: sorse in questo modo la basilica di San Gavino a Porto Torres, risalente all’XI secolo, la più grande fra le chiese romaniche di Sardegna.
Ancora oggi, sempre a Porto Torres, il 3 maggio ha inizio una festa (chiamata festha manna, festa grande), durante la quale vengono traslati i corpi dei martiri, Santi patroni della città: dalla basilica di San Gavino ha inizio un’imponente processione, che accompagna i simulacri lignei di Gavino, Proto e Gianuario fino ad una piccola chiesa sita sul lungomare di Balai e detta di s. Gavino a mare, dove questi vengono deposti in tre sepolcri ricavati nella roccia, sepolcri che dovrebbero corrispondere all’originario luogo di sepoltura. Qui vengono lasciati sino a Pentecoste e la chiesa, chiusa per il resto dell’anno, diventa in questo periodo meta di continui pellegrinaggi. La sera del giorno di Pentecoste, infine, con un’altra solenne processione i tre corpi santi vengono riportati nella basilica di provenienza.
Questo testo di Davide Ferraris è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it