I legati pii

Dopo aver visto quel che le anime del Purgatorio fanno per noi, parleremo in questo capitolo di quello che noi dobbiamo fare per loro. Talvolta, come in seguito vedremo, è un semplice obbligo di carità quello che ci deve indurre a soccorrerle, talvolta invece sono rigorosi doveri di giustizia, specialmente verso certe anime, quelli che noi dobbiamo compiere, ed è di questi che ci accingiamo a trattare.
Non senza motivo l’autore dell’Imitazione di Cristo raccomanda ai fedeli di far molte opere soddisfattorie a vantaggio dell’anima propria durante la vita, senza, fidarsi troppo degli eredi che lasceranno in questo mondo, i quali se sono premurosissimi di entrare in possesso delle nostre sostanze, altrettanto sono generalmente negligenti nell’eseguire le nostre volontà circa le opere da noi destinate a sollievo dell’anima nostra.
E’ questo un fatto che esperimentiamo purtroppo giornalmente, quando vediamo famiglie che ereditarono un patrimonio talvolta ricchissimo mercanteggiare vergognosamente i pochi suffragi che il defunto si era riservato, ed ove l’insufficienza o l’astuzia della legge civile vi si presti, cercare ogni via per far dichiarare nullo il testamento, onde esonerarsi dall’obbligo di eseguire i pii legati lasciati dal defunto.
E’ questa – lo sappiano bene le famiglie cristiane – una crudeltà delle più abominevoli, e coloro che se ne rendono colpevoli verso i poveri defunti sono d’ordinario puniti da Dio con castighi severissimi. Allorché ci meravigliamo di vedere sostanze vistosissime sfumare nelle mani di avidi eredi, riducendosi questi nella miseria, pensiamo che nel giorno in cui tutto ci sarà palese vedremo che la causa di tante rovine stava spesso nell’avarizia e nella durezza di cuore avuta da essi trascurando di soddisfare i legati lasciati dal defunto.
Racconta il Rossignoli (Meraviglia del Purgatorio, XXI) che a Milano una fertilissima proprietà essendo stata per intero distrutta dalla grandine, mentre quelle vicine erano rimaste intatte, nessuno sapeva a che attribuire questo fatto, quando l’apparizione di un’anima del Purgatorio fece conoscere ch’era quello un giusto castigo inflitto da Dio a figli sconoscenti e crudeli che non avevano eseguito la volontà dei defunti genitori.
Le storie tutte riboccano di racconti nei quali si parla di case diroccate o rese inabitabili con gran detrimento dei proprietari, di terreni desolati dalla grandine, di bestiame decimato dal contagio, di sventure senza numero piombate sopra famiglie fino a ieri felici; e andando ad esaminare bene le cose, noi vi troveremo, non di rado, in fondo qualche obbligo non soddisfatto verso anime del Purgatorio abbandonate e che invano reclamarono i dovuti suffragi.
Specialmente poi nell’altro mondo la giustizia di Dio colpisce severamente i colpevoli detentori delle facoltà dei defunti. Ha detto lo Spirito Santo per bocca di S. Giacomo che un giudizio senza misericordia sarà riserbato a colui che non ha usato misericordia: judicium sine misericordia illi qui non fecit rnisericordiam (Tac. 2, 13).
Qual rigore adunque di giustizia dovrà pesare su quei miserabili che per avarizia hanno lasciato penare le anime dei loro parenti per lungo tempo in Purgatorio, per non aver adempiuto le loro pie volontà? Un episodio, impressionante e commovente ad un tempo; a proposito di sacrileghi detentori dei beni dei defunti, si legge nella vita di Rabano Mauro, scritta dal Triternio. – Rabano Mauro, che fu prima abate del celebre monastero di Fulda, e più tardi arcivescovo di Magonza, ardeva di carità e di zelo pei defunti. Secondo le costituzioni dell’Ordine di S. Benedetto allorché un monaco passa all’altra vita, per 30 giorni continui vien distribuita la sua porzione di cibo ai poveri, in suffragio dell’anima sua.
Or accadde che nell’anno 830, avendo una pestilenza rapito moltissimi monaci, fra i quali un superiore, Rabano Mauro, fatto chiamare Edelardo, procuratore del monastero, lo incaricò di far distribuire ai poveri le solite razioni e gli raccomandò di non mancare, poiché Iddio lo avrebbe altrimenti punito severamente. Ma siccome anche nel chiostro trova albergo talvolta l’avarizia, Edelardo contravvenne agli ordini del superiore.
Una sera in cui le soverchie faccende lo avevano costretto a vegliare oltre il tempo prescritto dalla regola, nel recarsi alla stanza da letto, attraversando la sala del Capitolo, vide con grande stupore l’Abate, circondato dai monaci, tenere adunanza. Avvicinatosi per accertarsi dello strano caso, trovò non già l’Abate vivente, ma il superiore defunto insieme con tutti gli altri monaci periti nella pestilenza, due dei quali, scesi dai loro stalli gli si fecero incontro e spogliatolo dei suoi abiti, dietro ordine del superiore, lo disciplinarono aspramente gridando: – Ricevi, o disgraziato, il castigo della tua avarizia; e sappi che questo è nulla a paragone di quel che ti aspetta nell’altra vita. Tu scenderai fra tre giorni nella tomba, e tutti i suffragi che sarebbero dovuti all’anima tua saranno invece applicati a coloro che la tua schifosa avarizia ha privato dei loro.
A mezzanotte quando i monaci scesero in coro per cantare mattutino avendo trovato Edelardo disteso in un lago di sangue e ricoperto di ferite, gli si fecero intorno e con ogni cura lo trasportarono all’infermeria; ma egli con voce morente disse: – Affrettatevi a chiamare il mio superiore, poiché ormai ho più bisogno dei rimedi spirituali che di quelli temporali. Queste mie membra lacere e peste non guariranno mai più e mi accompagneranno fra breve al sepolcro. – Essendo indi sopraggiunto l’Abate, gli raccontò in presenza dei confratelli il terribile avvenimento, confermato dalla verità delle sue ferite, e tre giorni dopo, ricevuti i Sacramenti con viva contrizione e pietà, passò di questa vita.
Venne subito cantata la Messa di requie in suo suffragio, nonché le altre trenta prescritte dalla regola, e per un mese intero fu esattamente distribuita ai poveri la sua porzione; in capo al qual tempo il defunto essendo comparso pallido e sfigurato a Rabano Mauro, questi gli chiese se si potesse far per lui qualche bene onde liberarlo da tanto soffrire.
Ma quegli rispose: – O mio buon Padre, vi ringrazio delle premure vostre e di quelle dei vostri monaci, ma vi annunzio che tutti i suffragi fatti per me fino ad ora non hanno giovato a liberarmi dalle mie pene, avendoli la divina giustizia applicati a quei miei confratelli che io vivendo privai dei loro. Vi supplico adunque di raddoppiare preghiere ed elemosine, affinché dopo liberati essi, possa anch’io uscire di questo carcere.
Essendosi allora continuato con più fervore da tutta quella comunità a pregare e a far elemosina per Edelardo, in capo al secondo mese apparve di nuovo tutto vestito di bianco e col volto sorridente, dicendo che la sua espiazione e quella dei suoi confratelli era compiuta, e che se ne saliva felicemente al cielo.