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Fonti interne ed esterne del peccato. La sua origine psicologica e il suo sviluppo.

Teologia Morale12 Settembre 2023
Testo dell'audio

Vediamo oggi le fonti del peccato, la sua origine nell’anima e come si sviluppa. La causa efficiente del peccato è soltanto la libera volontà dell’uomo. Nessuna forza interna o esterna può costringere l’uomo al peccato. Egli è sottoposto a numerosi influssi, stimoli, che possono essere per lui una occasione di peccato (cause occasionali).

 

Lo stimolo al peccato proviene secondo la dottrina cattolica soprattutto dalle tre forze tentatrici: la carne, il mondo e il demonio. L’espressione “carne” significa nel linguaggio del Nuovo Testamento la natura corrotta dell’uomo inclinata al male, quindi formalmente la concupiscenza. Questa è realmente la fonte prossima e generale del peccato. Vediamole quindi nell’ordine.

 

  1. La concupiscenza o l’appetito disordinato.

 

La volontà, che è intesa al bene secondo la sua intima essenza, non devierebbe dal bene morale e da Dio, se non fosse influenzata dall’amore disordinato alle cose sensibili e finite. Come abbiamo già visto, la “aversio a Deo” è causata dalla disordinata “conversio ad creaturam”. Tale tendenza disordinata esiste realmente nell’uomo decaduto. Essa è chiamata nel linguaggio della Sacra Scrittura e della Chiesa “concupiscenza”. S. Giacomo afferma di essa: “Dio non può tentare a fare il male, anzi egli non tenta nessuno. Ognuno però è tentato perché lo attira e lo alletta la sua propria concupiscenza. Quando ha accolto la concupiscenza, questa genera il peccato, e il peccato, una volta compiuto, produce la morte”. Accanto alla sensualità in senso stretto vengono dichiarate radici spirituali del peccato anche la sete di splendore e di ricchezza e la superba sopravvalutazione di se stessi. Come radice unica più profonda appare l’esagerato amor proprio e la ricerca di se stessi nell’uomo naturale.

Finché l’uomo non acconsente al desiderio disordinato non vi è alcun peccato. Se l’uomo lo approva e lo provoca allora si ha peccato grave o veniale, secondo che l’oggetto è gravemente o leggermente peccaminoso.

Per il pericolo di acconsentire c’è il dovere di lottare con serietà e decisione, con fiducia e convinzione contro i desideri cattivi. Oltre i desideri cattivi, sono intime fonti del peccato: l’ignoranza colpevole e l’abitudine cattiva contratta con frequenti peccati.

 

  1. Il mondo e il demonio si associano come tentatori remoti che operano per mezzo della concupiscenza. Già il Salvatore adopera la parola “mondo” nel significato di mondo degli uomini che affogano nelle cose mondane: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima ha odiato me”.

 

Le creature in quanto tali, sia quelle animate che le inanimate, non sono cattive e non rappresentano in sé uno stimolo al male. Solo nella rappresentazione del “mondo” diventano mezzi di attrazione e, per il loro influsso sull’uomo interiormente indebolito, pericolo di peccato.

 

Il demonio è chiamato nella Sacra Scrittura “il cattivo nemico”, “il tentatore”. Egli è il promotore dei peccati fra gli uomini, avendo sedotto i loro progenitori. Volle tentare anche il Salvatore. Egli cerca ancora oggi di seminare il male mediante la sua opera diretta e indiretta. Però non tutti i peccati degli uomini devono attribuirsi a tentazioni degli spiriti cattivi. Del resto il demonio non può violare direttamente la volontà dell’uomo stimolandola al peccato, ma solo indirettamente preparando la tentazione.

 

  1. L’occasione del peccato. Una vasta sorgente esterna di peccato è la cosiddetta occasione cattiva, cioè le relazioni esterne che sono tali da diventare per l’uomo motivo di peccato o da eccitare i suoi appetiti disordinati. Le occasioni di peccato non sono in sé ancora tentazioni (incitamenti interni al peccato) ma solo sorgente indiretta. Se il pericolo di peccare è molto grande, e il peccato quindi moralmente certo, le relazioni esterne si chiamano occasione prossima, altrimenti occasione remota. Se la presenza o la durata dell’occasione dipende dalla libera volontà dell’uomo si chiama occasione volontaria. È impossibile all’uomo evitare tutti i pericoli remoti del peccato, specialmente quelli di peccato veniale, finché egli porta in sé il disordine della concupiscenza e vive in questo mondo. Bisogna evitare sia l’eccessiva inquietudine sia la presunzione ed eccessiva sicurezza di se stessi.

 

La tentazione come stimolo attuale al peccato

 

  1. Non ogni stimolo al peccato è tentazione. Molte cose esterne, libri, compagnie, intrattenimenti, come pensieri interni, costituiscono possibilità di peccato, fondano anche una certa facilità e pericolo per il peccato, senza che esercitino necessariamente uno stimolo e un incitamento a realizzare il male. Una tentazione si ha quando quei moti interni ed esterni diventano forza di attrazione e incitamento al male, nell’anima. Questo è il caso per es. dell’uomo che incita e invita al peccato con parole, di un libro o di una immagine che stimola la concupiscenza, della propria fantasia che desta una voglia cattiva. Ma la tentazione non è in se stessa ancora peccato, ne è soltanto lo stadio preparatorio. Lo stimolo al peccato porta dalla tentazione all’atto. Solo allora viene prodotto e generato il peccato dalla concupiscenza, quando entra in funzione la libera volontà.
  2. Dio permette le tentazioni per ottenere il bene per mezzo di esse, per mantenere l’uomo in umiltà e guidarlo alla preghiera e alla confidenza in Dio, per perfezionarlo intimamente mediante una più forte tensione delle sue energie. Nella vera tentazione è doverosa la ripulsa da parte della volontà, e se essa non cessa subito, la resistenza perseverante. Tale resistenza non occorre che sia una lotta diretta, né che si svolga mediante impegno e opposizione attuale. Una lotta diretta è invece raccomandabile soprattutto di fronte agli incitamenti che provengono dalla facoltà combattiva o dalla debolezza della volontà. Negli stimoli violenti della facoltà desiderativa, specialmente della concupiscenza sessuale, è consigliabile invece la fuga. “Fuga” significa, nel linguaggio scolastico, “evitare”; non significa paura o agitazione. Questa esaspera al massimo la tentazione, perché, in quanto eccitazione sensibile, eccita e confonde la fantasia. Più efficace è distrarre tranquillamente il pensiero dall’attrazione lusinghiera e dirigere la mente verso altri oggetti. Certo la cautela, la concentrazione tranquilla e serena dell’anima dona alla volontà consapevolezza e sicurezza. Anche la Sacra Scrittura esorta da una parte alla vigilanza, dall’altra parte alla calma e cautela: Siate sobri e vigilate. Quanto più seria è la lotta, tanto più c’è bisogno, oltre che dell’aiuto soprannaturale, di preghiera e di fiducia in Dio: “Vigilate e pregate, per non entrare nella tentazione”.

 

Vediamo ora come si sviluppa il peccato nell’anima. Il seme delle azioni cattive si trova nelle immaginazioni e pensieri cattivi o pericolosi (suggestione). La semplice conoscenza del male, anche delle cose più cattive e corrotte, non è in sé cosa cattiva, ma indifferente. Solo il pensiero spinge facilmente l’inclinazione al male, per il suo contenuto e per la particolare disposizione della persona, specialmente se si tratta di una vivace fantasia; solo col pensiero, cioè, si ha una vera tentazione. Perciò, secondo la forza e il pericolo della tentazione troppo eccitata, anche il pensiero volontario del male può divenire peccaminoso.

 

Il piacere involontario implicito nella rappresentazione (diletto) di oggetti particolari viene considerato comunemente tra i peccati di pensiero. Esso è un senso di piacere sensibile o spirituale, una conformazione dell’appetito sensitivo o della volontà al contenuto della rappresentazione. Finché il piacere non è volontario, esso è tanto poco peccaminoso come i sentimenti di piacere derivanti dalla sensibilità eccitata. Ma esso deve essere considerato come tentazione. Se la libera volontà partecipa positivamente ad essa, in quanto fa proprio quel piacere, lo richiama o vi acconsente, si verifica allora la cosiddetta “delectatio morosa” ovvero il volontario indugiare dei pensieri e della sensibilità in un oggetto peccaminoso connesso al piacere derivante dal male, senza però il desiderio di compierlo. È semplice compiacenza nel male. Un più lungo indugio (mora) non è necessario. Il peccato ha luogo perché la ragione liberamente indugia nel male con compiacenza.

 

Se il piacere è rivolto a un peccato ben determinato ne assume la particolare specificazione. Per quanto riguarda i pensieri impuri, di regola esercita in essi attrattiva il piacere sessuale in genere. Perciò nella confessione non occorre determinare la specie prossima di tali pensieri.

Bisogna tenere presente che è gravemente peccaminoso tollerare senza motivo ragionevole forti tentazioni sensuali in quanto i piaceri sensuali interessano in maniera speciale la vita dell’organismo corporeo e costituiscono facilmente pericolo di consenso.

 

Uno sviluppo della semplice compiacenza alla concupiscenza rappresenta il desiderio cattivo. Il solo diletto del peccato semplicemente immaginato diventa qui desiderio pratico del peccato, senza la decisione determinata dell’esecuzione (desiderio malvagio inefficace). Il desiderio dei peccati proibiti dal sesto e settimo comandamento è già espressamente vietato col nono e decimo comandamento. Il Salvatore pone il desiderio come equivalente all’atto nella parola: “Chi guarda una donna con desiderio ha già commesso adulterio nel suo cuore”. Concludiamo a ragione perciò che il desiderio volontario di un’azione assume la specificazione della stessa, secondo l’oggetto e le circostanze. Lo stesso vale del consenso riflesso e del piacere (gaudio malvagio) su un peccato commesso da sé o da altri, come il dispiacere di aver fatto una cosa buona comandata o di non aver fatto una cosa cattiva.

 

Come è proibita l’azione stessa peccaminosa, così lo è il piacere successivo sui peccati commessi da sé o da altri. Solo se esso ha di mira gli effetti leciti e utili dell’atto, può essere permesso sotto determinate circostanze. Solo quando il desiderio non è rivolto all’azione stessa, ma agli effetti leciti o a manifestazioni concomitanti l’atto stesso, il desiderio può essere permesso. Si veda ad esempio la liturgia del Sabato santo: “O felix culpa!”.

 

Il completamento del processo interiore di sviluppo del peccato è la libera decisione di compiere l’atto (desiderio efficace, proposito di peccare). È l’anima dell’atto stesso. Nel prossimo podcast, vedremo più specificamente come il peccato può diventare un abito e i peccati più gravi contro lo Spirito Santo.

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