Eugenio Bossilkov

Il giorno in cui Eugenio Bossilkov fu informato del fatto che il Santo Padre Pio XII lo avesse nominato vescovo di Nicopoli, dovette pensare anche alla scelta di quale simbolo apporre sul proprio stemma episcopale. Ne scelse quattro: insieme al segno distintivo della Congregazione passionista di cui era membro, cioè un cuore sormontato da una croce; a una pianta di basilico, che in bulgaro si pronuncia “bassilek”, termine che rimandava al suo cognome; ad una colomba, portatrice di pace e amore; scelse anche un leone, simbolo della nazione bulgara, mostrando così il forte legame con il suo popolo e con le tradizioni della sua terra.
La simbologia del leone, da sempre, è legata a figure di personaggi dal cuore impavido e coraggioso. E il coraggio non è certo mancato al vescovo Bossilkov nel corso della sua vita. Il fatto di far parte di una comunità religiosa, quella cattolica, numericamente inferiore alle altre presenti in Bulgaria, come quella cristiano-ortodossa e quella islamica; il fatto di dover quasi nel silenzio manifestare la propria fede durante l’occupazione nazista; e, infine, le torture e il martirio subiti a causa del regime comunista filosovietico, hanno evidenziato il suo spirito intrepido nel testimoniare con coerenza l’amore verso Cristo, la Chiesa cattolica e il Papa.
La vocazione
Mons. Bossilkov ricevette il battesimo col nome di Vincenzo il giorno dopo la sua nascita, avvenuta il 16 novembre del 1900 a Belene, cittadina a nord della Bulgaria posta sulla riva destra del Danubio. Qualche anno più tardi, precisamente dopo aver ricevuto il Sacramento della Confermazione, cominciò a sentire una forte vocazione sacerdotale, stimolata anche dal contributo della mamma Beatrice, che sin dai primi anni di vita lo aveva istruito all’amore verso Dio, sia con la preghiera sia con la frequentazione delle celebrazioni liturgiche. A 11 anni, dunque, entrò nel Seminario passionista di Oresch. Vincenzo conosceva molto bene i Passionisti, rispecchiandosi in alcune caratteristiche proprie del loro carisma: la vita semplice e austera e l’amore verso Gesù crocifisso.
Per acquisire una migliore formazione, lasciò la Bulgaria per dieci anni, trasferendosi prima in Belgio e poi in Olanda. Il 28 aprile 1919, nella casa religiosa di Diepenbeek, in Belgio, iniziò il noviziato cambiando il nome di Vincenzo, con cui era stato battezzato, in quello di Eugenio. Il 25 luglio 1926 fu ordinato sacerdote. Dopo la consacrazione, i suoi superiori lo inviarono a Roma per farlo specializzare in Teologia orientale. Nella città capitolina frequentò per alcuni anni il Pontificio Istituto Orientale, discutendo la tesi di dottorato il 2 gennaio 1932. Pochi giorni dopo, il 7 gennaio, tornò finalmente in Bulgaria per iniziare l’apostolato. Mons. Damiano Theelen lo nominò subito suo segretario particolare, assegnandogli anche il titolo di parroco della Cattedrale di Russe. Il suo carisma fece presa soprattutto sui giovani, attratti in particolare dal suo spirito sempre allegro e giocoso.
La permanenza lì, però, durò poco: per le sue evidenti capacità, venne trasferito su ordine del Vescovo, previo accordo coi superiori della Congregazione passionista, a Bardarski Gheran, un paese di circa duemila anime, vittima di diverse peripezie. In breve tempo padre Eugenio riuscì a risollevare le sorti di quella parrocchia, a partire proprio dai giovani, con cui aveva instaurato un rapporto speciale: li istruì nella fede attraverso il catechismo; insegnò religione nelle scuole; dava lezione private a chi ne avesse bisogno; li coinvolse in moltissime attività ricreative, come i campi scuola e le associazioni sportive. Istituì, inoltre, la mensa dei poveri e fondò un centro culturale, comprendente una biblioteca e una sala per la proiezione dei film.
«Sono qui per voi»
La sua casa era sempre aperta: «Non temete di disturbarmi, assicura; sono qui per voi». Da molti fedeli verrà inoltre ricordato per il suo carattere contemplativo: pregava intensamente soprattutto al mattino, per poi concludere lo spazio dedicato all’orazione con la celebrazione della Santa Messa. Questo suo spirito intrepido, purtroppo, dovette subire una battuta d’arresto durante l’occupazione nazista, pur dimostrando anche in questo periodo notevole coraggio: secondo numerose testimonianze, infatti, salvò la vita a non pochi ebrei, rischiando il carcere e la fucilazione.
Nel 1946 in Bulgaria, grazie al contributo del partito comunista russo, fu abolita la Monarchia e istituita la Repubblica Popolare di stampo sovietico. Cominciò così un lungo periodo di terrore, che si protrasse per circa quarant’anni; il regime di stampo marxista impose l’ateismo di Stato e tentò l’eliminazione della religione, in particolar modo quella cattolica. Nello stesso anno, a causa dell’improvvisa morte di mons. Damiano Theelen, Padre Bossilkov venne nominato amministratore apostolico. In questa nuova veste non perse tempo a contrastare da subito la diffusione dell’ateismo, soprattutto tra i giovani: «La gioventù ci è stata tolta e viene educata senza Dio o meglio contro Dio». Organizzò, dunque, una missione popolare al fine di conservare nella fede il gregge cattolico e riuscì nell’intento. Il governo, per timore che quel santo sacerdote influenzasse le idee del popolo, cominciò a seguire con attenzione ogni suo movimento, tanto che padre Eugenio definì ironicamente i poliziotti incaricati di stargli alle costole come i suoi «angeli custodi».
Una voce contro il comunismo
Nel 1947 fu consacrato vescovo nella Cattedrale di Russe. Da guida della comunità cattolica di Nicopoli denunciò in modo chiaro i soprusi che i fedeli cattolici stavano subendo da parte del governo, cercando di mostrare quale fosse il vero volto del marxismo-leninismo: «Cristo non ha promesso il paradiso sulla terra, qualche altro sì; chi lo promette rende la terra un inferno. Chi lo promette ora comanda qui da noi».
Il calvario era sempre più vicino: mons. Bossilkov trovò nell’Eucaristia e nell’amore verso la Vergine Addolorata validi strumenti di conforto. L’ultima opportunità che il governo comunista volle dare al vescovo di Nicopoli, vista la sua influenza sul popolo bulgaro, fu quella di convincerlo a rinnegare l’autorità del Pontefice e della Chiesa cattolica romana, per farlo diventare il paladino di una Chiesa nazionale bulgara, manovrata dal regime. Ma Eugenio Bossilkov rimase fermo nella vera fede e accettò il sacrificio piuttosto che cedere: «Il governo fa grandi sforzi per separarci dal Papa. Esprimo al Santo Padre il mio filiale affetto e il mio fermo attaccamento. Ho il coraggio di vivere; spero di averlo anche per subire il peggio restando fedele a Cristo, al Papa e alla Chiesa. Sono pronto a dare la vita per la fede».
Venne arrestato il 16 luglio 1952 con l’accusa infondata di spionaggio e fu rinchiuso nel carcere di Sofia. Nei suoi confronti vennero compiute torture diaboliche allo scopo di fargli ammettere crimini mai commessi. Il processo nei suoi confronti si aprì il 2 settembre e un mese dopo, per ordine diretto di Stalin, fu condannato alla fucilazione. L’esecuzione venne eseguita nella notte dell’11 novembre 1952. Il vescovo di Nicopoli concluse così la sua vita da religioso passionista, conformandosi pienamente ai patimenti di Cristo per amore verso i fratelli e per la Patria.
Il primo martire Beato
Quando il regime comunista cadde in Bulgaria, del corpo di Eugenio Bossilkov non si seppe nulla: sembra che sia stato gettato in una fossa comune; evidentemente «un vescovo morto era più pericoloso di un vescovo vivo». Giovanni Paolo II lo ha innalzato alla gloria dei Beati il 15 marzo 1998. Secondo mons. Giorgio Eldarov, primo rappresentante pontificio della nunziatura apostolica di Sofia dopo la caduta del muro, «la beatificazione di mons. Bossilkov è stata tormentata e più volte ha subito rinvii per motivi di opportunità, dettati dalla Ostpolitik. Per beatificarlo si è dovuta attendere la caduta dei regimi comunisti dell’Est».
Col tempo, anche la Suprema Corte di Cassazione della Repubblica di Bulgaria ha accolto la proposta del Procuratore generale della Repubblica di annullare la sentenza di condanna alla fucilazione, riconoscendo l’infondatezza e l’iniquità di quella sentenza. Oggi, nel carcere di Sofia, c’è una lapide che ricorda come padre Eugenio sia stato vittima di un regime crudele e totalitario. Egli è stato il primo martire della persecuzione comunista contro i cristiani ad essere beatificato.
di Marco Mancini