Esempi di analisi della moralità dell’atto umano

Nello scorso podcast ci siamo lasciati con la descrizione delle fonti della moralità degli atti umani. Abbiamo anche chiarito che, affinché un atto umano sia moralmente buono, devono essere simultaneamente buoni sia l’oggetto, sia le circostanze sia l’intenzione. Se anche una sola di esse presenta un male, l’intero atto diviene malvagio. Similmente a quanto avviene aggiungendo anche una minima quantità di inquinante in un bicchiere d’acqua purissima.
Vediamo allora insieme alcuni esempi di atti umani, per capire come analizzarli alla luce dei criteri sin qui delineati.
ESEMPI DI OGGETTO
L’oggetto, o fine prossimo, o natura dell’azione, è il “che cosa” morale che facciamo. Ciascun atto esteriore (o materiale) che noi possiamo compiere è sempre informato da un fine prossimo, o oggetto, o finis operis, come un corpo è informato dall’anima. Un’immagine interessante di questo è la mano che entra nel guanto: la mano dà la forma al guanto così come l’anima dà forma al corpo e lo fa vivere, muoversi ecc.
Tornando a noi, se, per ipotesi, ci fosse solo un atto esteriore senza un fine prossimo, non avremmo l’atto morale, così come un corpo senza anima non sarebbe una persona ma un cadavere.
L’atto esteriore di sparare può essere informato dal fine morale dell’assassinio, per cui diciamo che è orientato ad un certo significato morale dell’atto. Un identico atto materiale però può essere informato da diversi fini morali, anche diversi tra loro.
Ad esempio, incidere la pelle di una persona innocente (atto esteriore materiale), può essere informato dal fine terapeutico (per salvare la vita della persona), ma può essere informato dal fine opposto, l’assassinio. Altro esempio: l’atto del togliere i soldi dal portafoglio può essere informato dal fine del furto, del prestito o della donazione.
ESEMPI DI CIRCOSTANZE ESSENZIALI IN QUANTO LEGATE ALL’OGGETTO
Facciamo adesso degli esempi di circostanze essenziali, come le avevamo chiamate, cioè circostanze in grado di influire sull’oggetto dell’atto e mutarne la natura. Mettiamo che io entri in possesso di un bene non di mia proprietà (prima circostanza), senza il permesso del proprietario (seconda circostanza) e senza lo stato di necessità (terza circostanza): l’atto morale dunque si chiama furto. Queste tre circostanze, se si presentano insieme, fanno sì che la natura dell’atto sia malvagia. Se, però, mancasse una di queste condizioni sarò di volta in volta di fronte o all’uso legittimo di un mio bene (è di mia proprietà) o di un prestito (perché c’è il consenso, il permesso del proprietario), oppure dell’uso legittimo di un bene altrui (come accade se non ho il necessario per vivere e, ad esempio, prendo del cibo senza acquistarlo perché non ho del denaro per farlo).
Facciamo un altro esempio: un rapporto sessuale, a seconda delle circostanze, può essere un atto coniugale (con moglie consenziente), un adulterio (con la moglie di un altro, consenziente), una fornicazione (con donna non sposata e consenziente), uno stupro (con moglie non consenziente), uno stupro e insieme un adulterio (con moglie di un altro non consenziente), o un incesto (se c’è grado di parentela degli agenti).
Dunque, la natura di un atto, a motivo di determinate circostanze essenziali, determinanti, scriminanti può mutare. Il fine prossimo informa sempre lo stesso atto materiale, ma le condizioni incidono sul fine prossimo e ne fanno cambiare di volta in volta l’aspetto. E l’atto sarà oggettivo nel senso che si costituisce indipendentemente dal riconoscimento o meno dell’atto stesso da parte dell’agente.
Ad esempio: prendiamo il caso, ormai ahimè frequente, di una fecondazione artificiale eterologa, dove cioè i donatori del gamete maschile e/o di quello femminile sono esterni alla coppia che vi fa ricorso. Di fatto, un medesimo donatore, potrebbe essere il padre o la madre biologici di molti figli che nascono a seguito delle fecondazioni artificiali di diverse coppie. Tutti i loro figli possono dunque essere fratelli e sorelle biologicamente, perché concepiti dai medesimi gameti maschili e/o femminili. Mettiamo che tali fratelli e sorelle, del tutto inconsapevoli della loro parentela, si incontrino, si sposino e abbiano un rapporto sessuale. Si tratterebbe di un atto coniugale? No, è comunque un incesto, un disordine, anche se da parte dei due fratelli non c’è responsabilità in quanto manca la consapevolezza. Il giudizio sull’imputabilità della colpa al soggetto agente è nullo, in quanto entrambi non sapevano del loro legame di parentela.
Dunque noi possiamo ingannarci non solamente sulla valutazione del valore morale di un atto (per esempio, compio un furto, conosco l’oggetto, la natura dell’azione, però dico che è buono: dunque mi sto ingannando sul giudizio di valore dell’atto), ma altresì posso ingannarmi sulla stessa identità dell’azione scambiando un atto per un altro.
Altro esempio: quando un legislatore approva una legge ingiusta pensando di prevenire l’approvazione di una legge ancor più ingiusta, in realtà sta approvando sempre una legge ingiusta (oggetto malvagio), orientato ad un fine buono (limitazione dei danni). La prevenzione dalla legge più ingiusta non costituisce però l’oggetto dell’atto, in quanto è solo il fine secondo. L’oggetto del votare a favore invece è l’approvazione di una legge ingiusta e non si può mai approvare un’ingiustizia.
Un’altra circostanza che può incidere sull’oggetto è la modalità dell’atto: S. Tommaso d’Aquino scrive che un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito se è sproporzionato al fine. Un fine astrattamente buono (cioè non calato nel concreto) come il far pagare le tasse allo Stato per poi poter fornire beni e servizi ai cittadini, può diventare malvagio se aumento il loro valore al di sopra delle possibilità economiche dei singoli.
Perciò la circostanza che riguarda la modalità dell’atto (qui sproporzionato rispetto al fine), fa sì che quell’azione, da astrattamente buona, diventi concretamente dannosa e malvagia.
ESEMPI DI CIRCOSTANZE ACCIDENTALI
Per quanto riguarda le circostanze accidentali, in realtà avevamo dato già un accenno nello scorso podcast. Avevamo parlato dell’atto del rubare e avevamo paventato due possibili circostanze. Una in cui si rubasse ad un povero, e l’altra in cui si rubasse ad un ricco. È abbastanza chiaro che, in questo caso, la circostanza della povertà o ricchezza della persona derubata non è in grado di mutare la natura dell’atto del rubare. Ciononostante, tali circostanze aggravano o attenuano la colpa dell’atto malvagio: rubare ad una persona povera, significa privarla del necessario per vivere e dunque assume una gravità maggiore che rubare ad una persona già ricca per la quale, il bene rubato non era essenziale.
ESEMPI DI INTENZIONE
Facciamo ora degli esempi di intenzione. L’intenzione è costituita da tutti i fini che sono successivi a quello prossimo (ovvero l’oggetto dell’atto). Dunque l’intenzione è il fine ulteriore dell’atto (ulteriore rispetto a quello prossimo). Il fine prossimo, che è detto anche finis operis, può essere orientato anche a fini ulteriori (o secondi), più remoti, che sono detti finis operantis. Ad esempio posso incidere la pelle di una persona (atto esteriore) per un fine prossimo terapeutico, affinché viva felice e possa tornare ad operare come prima (fine ulteriore). Oppure appendo alla parete un quadro (atto esteriore) informato dal fine prossimo di abbellire la casa, così da ricevere apprezzamenti da coloro che verranno a farmi visita (fine ulteriore). Oppure prendo i soldi dal portafoglio (atto esteriore), informato dal fine prossimo di rubarli, per acquistare la droga (fine successivo), per drogarmi (fine ancor più successivo), per non pensare ai miei problemi (fine remoto). La concatenazione dei fini buoni finisce necessariamente in Dio, la concatenazione dei fini cattivi può essere infinita. Se combiniamo fini prossimi e fini remoti secondo la loro coloritura morale, abbiamo diverse casistiche:
- Fine prossimo buono orientato secondo un fine buono: l’azione, nel suo complesso, è buona. Es. lavoro (azione esteriore) per guadagnare (fine prossimo) e così sostenere la mia famiglia (fine ulteriore), per cui l’atto è buono.
- Fine prossimo buono orientato secondo un fine malvagio: l’azione, nel suo complesso, è malvagia. Es. educo un ragazzo al fine prossimo di istruirlo sul funzionamento delle serrature (fine prossimo buono della conoscenza) per introdurlo all’arte dello scasso (il fine ulteriore è malvagio in quanto è collaborazione formale al furto).
- Fine prossimo malvagio orientato ad un fine secondo buono: l’azione è nuovamente malvagia. Es. rubo (fine prossimo malvagio) per donare tutto ai poveri (fine successivo buono). Oppure si approva una legge malvagia (fine prossimo malvagio) per limitare i danni (fine successivo buono).
- Fine prossimo malvagio orientato ad un fine secondo malvagio: l’azione è chiaramente malvagia. Es. rubo per drogarmi.
Con questi esempi diviene ancor più chiaro quanto affermava S. Tommaso d’Aquino: per rendere un’azione malvagia basta un solo difetto. Mentre perché un atto sia buono in senso assoluto, non basta un particolare aspetto di bene, ma si richiede una bontà integrale (Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu).
Nel prossimo podcast, studieremo la moralità soggettiva, ovvero la coscienza morale che in ogni singolo uomo promulga la legge a cui ci si deve vincolare sulla base delle norme oggettive.