Domenica Lætare – Ma la Gerusalemme che è lassù, è libera, ed è nostra madre

Oggi è una celebre domenica dell’Anno liturgico. Per questo motivo ha molti nomi. Si chiama domenica Lætare, dalla prima parola della Messa: Lætare, Jerusalem, et conventum facite omnes, qui diligitis eum (“Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa”). In Inghilterra, è la domenica della mamma, in cui i bambini fanno regali o inviano saluti alle loro mamme. Ciò è in ricordo di alcune parole di san Paolo nell’Epistola di oggi. Parlando della Chiesa del Cielo, dice: la Gerusalemme che è lassù, è libera, ed è nostra madre. Questo giorno viene talvolta chiamato anche la domenica delle rose, non solo perché il sacerdote può togliersi i paramenti viola della Quaresima e indossare invece i paramenti rosa, ma anche perché per molti secoli era consuetudine che il Papa benedicesse una rosa d’oro con grande solennità durante la Messa odierna, per poi inviarla a un re o a un sovrano cattolico che nell’anno precedente si era distinto per la sua difesa della Chiesa; o, a volte, la rosa veniva inviata a un’intera città. Questo fiore d’oro era un’immagine di Nostro Signore, che è chiamato nel Cantico dei Cantici, il fiore del campo e il giglio delle convalli; e san Paolo ci dice che gli Apostoli, e coloro che li imitano, sono il buon odore di Cristo, per coloro che ricevono la loro parola.
Il grande tema della Messa di oggi è quello della libertà. La libertà è una parola che tutti amano e una cosa che tutti desiderano, ma quante persone ne comprendono il vero significato? Nostro Signore ci insegna che la peggiore schiavitù è la schiavitù del peccato. Questa è la peggiore schiavitù perché impedisce all’uomo di raggiungere la sua unica vera e duratura felicità, che è stare con Dio in Cielo. È soprattutto per liberarci da questa schiavitù che Egli Si è fatto uomo. Se il Figlio vi farà liberi, san Paolo dice agli Ebrei, sarete liberi davvero. D’altra parte, se l’uomo cerca una libertà che è principalmente una libertà materiale, il potere di perseguire i propri piaceri con la minima moderazione possibile, allora cade con cupa prevedibilità in vari peccati, e finisce come uno schiavo. Quindi, Gesù dice anche agli Ebrei e a tutti noi: In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.
San Paolo aiuta i Galati a comprendere ciò per mezzo di un’allegoria tratta dal libro della Genesi. Abramo, nostro padre nella fede, aveva due figli. Per una disposizione divina, che a volte veniva concessa in quei giorni ai patriarchi, ebbe una moglie principale, Sara, e una moglie secondaria, Agar. Da Agar, che era di condizione servile, nacque Ismaele. San Paolo dice che Ismaele è nato secondo la carne, perché nel concepimento di Ismaele da parte di Agar non avvenne alcun miracolo: Agar era in età fertile. Inoltre, la benedizione accordata a Ismaele era una benedizione puramente terrena e temporale. Dio dice di lui: dodici principi egli genererà e di lui farò una grande nazione (Gn 17,20). Isacco, al contrario, è chiamato figlio della promessa, poiché Dio promise che Sara lo avrebbe concepito da Abramo, anche se aveva superato l’età abituale per avere figli. Ancora una volta, riguardo ad Isacco, Dio non fa solo una promessa temporale, ma anche spirituale: non solo i re verranno da lui, ma Dio farà un’alleanza perpetua con lui e con la sua discendenza dopo di lui. È, infatti, da Isacco e non da Ismaele, che verrà la linea che conduce a Nostro Signore Gesù Cristo.
Lo Spirito Santo, parlando attraverso san Paolo, ci dice che queste cose non erano solo eventi storici, ma anche un’allegoria, cioè un quadro di grandi verità dipinte da Dio sulla tela della storia. Forse possiamo avventurarci a vedere il nostro padre Abramo, in questa allegoria, come un’immagine di Dio stesso; il suo nome originale, Abram, significa “padre celeste”. In ogni caso, i due figli rappresentano i due stati della razza umana. Ismaele, il figlio della schiava, è nato per primo. Rappresenta tutti noi, quando siamo venuti per la prima volta al mondo, nati dalla nostra madre Eva, che all’inizio si è resa una schiava, una schiava del peccato. Come per Ismaele, quando veniamo al mondo, le benedizioni che riceviamo da Dio sono temporali e non spirituali. Perché, come Ismaele, siamo nati fuori dell’alleanza. Se rimaniamo in quello stato, la libertà che desideriamo sarà per sempre al di là della nostra portata, e tutti i nostri tentativi di raggiungerla ci lasceranno solo più invischiati nei vincoli del peccato. Parlando di Ismaele, Dio predice: Egli sarà come un onagro; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui (Gn 16,12). Finché restiamo fuori dall’alleanza, non possiamo avere vera pace con gli altri. I beni temporali dividono coloro che li perseguono, poiché più uno ha di tali beni, meno ne rimane per gli altri; se possiedo una terra o occupo una posizione onorevole, allora questa terra o questa posizione non è disponibile per gli altri. Ecco perché dico che i beni temporali dividono coloro che li perseguono, se non perseguono nulla di più alto. Un mondo di Ismaele sarebbe un mondo violento, sia che la violenza sia aperta o nascosta.
Ma dopo Ismaele nasce Isacco, dalla donna libera e dalla promessa. Ogni volta che un bambino viene portato al fonte battesimale, viene convertito da Ismaele in Isacco. Stabilisce un’alleanza con Dio, la nuova ed eterna alleanza. Così san Paolo dice ai Galati: Noi perciò, o fratelli, come Isacco siamo figli della promessa, e la nostra Madre Chiesa è la donna libera, prefigurata da Sara. In modo abbastanza appropriato, il nome “Isacco”, in ebraico, significa “risata”: essere liberati in Cristo è avere motivo di gioia, poiché significa che ci è stata aperta la via verso la Gerusalemme di lassù.
I figli della Chiesa nascono per la promessa di Dio, poiché Dio promette di operare un miracolo per lei mediante le acque del battesimo: i vincoli del peccato originale vengono tolti e noi siamo eredi di benedizioni spirituali. E queste benedizioni spirituali, a differenza dei beni terreni, non ci dividono, poiché più le perseguiamo, più siamo uniti agli altri che fanno lo stesso. Questa è la differenza tra il pane di questo mondo e il pane che ci dà Cristo. Il pane che ci dà Cristo non divide chi lo cerca, poiché non c’è limite a quanto Egli può dare. Pensate all’alimentazione dei cinquemila: alla fine rimase più pane di quanto ne esistesse all’inizio. Allo stesso modo, quando riceviamo la carità di Cristo dentro di noi nella Santa Comunione, quella carità non Gli viene tolta, ma anzi cresce, poiché si diffonde sempre di più attraverso il Suo Corpo, che è la Chiesa.
Infine, però, riserviamo un pensiero a coloro che non possono vivere le parole dell’introito della Messa di oggi in senso letterale: “Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa”. Infatti, non tutti i cattolici possono riunirsi tra le mura di una Chiesa e assistere al santo Sacrificio della Messa. Allora offriamo la nostra Santa Comunione per tutti i nostri fratelli nel mondo che sono impediti di ricevere il Santissimo Sacramento, affinché possiamo essere sempre più rafforzati nella nostra unione in Cristo.