Domenica delle Palme. La debolezza di Dio è più forte degli uomini

La debolezza di Dio è più forte degli uomini
Nostro Signore, nel suo breve ministero pubblico, parlò molto del regno di Dio. Nel vangelo di san Marco, le Sue prime parole sono: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Molte delle Sue parabole sono state una descrizione di questo regno, e poco prima di entrare in Gerusalemme, la Domenica delle Palme, raccontò la parabola del re e dei suoi dieci servi. San Luca dice che Cristo raccontò questa parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. I discepoli pensavano che il momento atteso da Israele fosse finalmente arrivato.
E, in un certo senso, l’istinto dei discepoli era giusto. L’ingresso di Nostro Signore, la Domenica delle Palme, nella città di Gerusalemme è un atto regale. Lo dimostra, in primo luogo, la Sua scelta di cavalcare un puledro figlio d’asina. Egli adempiva una profezia di Zaccaria: Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Viene in umiltà, ma viene come re. San Giovanni ci dice che i discepoli allora non si resero conto che questa profezia si stava adempiendo, ma che quando Gesù fu glorificato, cioè dopo la risurrezione, si ricordarono che queste cose erano state scritte di Lui.
Né è solo in Zaccaria che troviamo una connessione tra la regalità e il puledro di un’asina. Altrove nell’Antico Testamento leggiamo che, quando il re Davide stava per morire, uno dei suoi figli, Adonia, cercò di farsi dichiarare re. Quando tale notizia fu portata a Davide, il re raccolse le forze che gli erano rimaste e ordinò che Salomone, fratellastro di Adonia, fosse unto e poi messo sulla mula del re. Leggiamo: Fecero montare Salomone sulla mula del re Davide. Il sacerdote Zadòk prese il corno dell’olio dalla tenda e unse Salomone al suono della tromba. Tutti i presenti gridarono: “Viva il re Salomone!”. (3 Re 1,38-39). Nostro Signore, entrando a Gerusalemme come fece, indica che Egli è il figlio di Davide che il popolo attendeva, il vero Salomone, poiché Salomone significa “pacifico”, e san Paolo dice di Gesù Cristo che Egli è la nostra pace.
Inoltre, il popolo di Gerusalemme, senza dubbio sia gli abitanti della città che i visitatori venuti per la Pasqua, mossi da qualche ispirazione soprannaturale, si rendono conto che il loro Messia è finalmente giunto. Se leggiamo attentamente i vangeli, vediamo che il popolo non accoglie semplicemente un grande profeta o un grande taumaturgo, ma piuttosto il suo legittimo re. Ciascuno degli evangelisti registra una frase leggermente diversa che la moltitudine usò in quell’occasione, ma ciascuna è un’acclamazione regale. San Matteo riporta che dissero: Osanna al figlio di Davide; san Marco, che acclamarono: Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!; in san Luca, Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore; san Giovanni riporta l’acclamazione più semplice ed esplicita di tutte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele.
Perché mettono i loro mantelli a terra affinché il puledro vi passi sopra? Anche questo gesto è un riconoscimento di Cristo come re. Ancora una volta, rievoca un episodio della storia del popolo giudeo. Nell’Antico Testamento, quando una famiglia idolatra controllava la maggior parte del paese, il profeta Eliseo mandò uno dei suoi seguaci a ungere un ufficiale dell’esercito, chiamato Jeu, come nuovo re. Quando Jeu racconta l’accaduto agli altri ufficiali, leggiamo che Tutti presero in fretta i propri vestiti e li stesero sotto di lui sugli stessi gradini, suonarono la tromba e gridarono: “Ieu è re” (4 Re 9,13). Che se ne renda conto o no, il popolo di Gerusalemme ora accoglie Gesù come re e giudice, che scaccerà il principe di questo mondo.
È una esplosione spontanea di gioia che riempie la città santa. Non c’è da stupirsi quindi che, come riferisce san Giovanni, I farisei allora dissero tra di loro: “Vedete che non concludiamo nulla? Ecco che tutto il mondo gli è andato dietro!”. Senza dubbio stanno esagerando: ma possiamo quasi sentire l’amarezza nella loro voce.
Com’è possibile, allora, che la situazione cambi così rapidamente? Che in pochi giorni Gesù sarà solo davanti a un tribunale romano e una grande folla griderà alla Sua crocifissione? È una testimonianza del potere di quello che oggi chiamiamo Stato. Non per niente il discepolo prediletto vide uscire dal mare una bestia con sette teste e dieci corna, una bestia che aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio. Questa bestia è un’immagine del potere politico quando è nelle mani di coloro che rifiutano la parola di Dio. San Giovanni dice di questa bestia che il drago, cioè Satana, gli diede la propria forza e una grande potenza. Le minacce che lo Stato può lanciare, sostenute come sono da una forza fisica irresistibile, di solito sono efficaci, almeno per tenere sotto controllo l’opposizione. Non dobbiamo supporre che coloro che accolsero con entusiasmo Nostro Signore, la Domenica delle Palme, fossero le stesse persone che chiedevano la Sua morte il Venerdì Santo. Del resto, san Luca ci dice che, nonostante la grande folla nel pretorio, c’era anche una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui mentre camminava lungo la Via dolorosa. Ma non avevano potuto resistere al potere romano.
Ciò è tanto più vero quando il drago ha a sua disposizione anche una seconda bestia! Infatti, san Giovanni, nella sua visione apocalittica, vide un’altra bestia salire dalla terra. Ci dice che questa bestia aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. In altre parole, il suo aspetto è molto più attraente di quello della spaventosa prima bestia, ma la sua voce e la sua ispirazione sono le stesse. Se la prima bestia rappresenta il potere dello Stato quando è apertamente rivolto contro Dio, questa seconda sembra rappresentare il potere religioso quando è esercitato da coloro che hanno rifiutato Dio nei loro cuori. Così Anna e Caifa, per esempio, sostenevano di difendere Israele da un impostore, ma erano loro che in fondo erano gli apostati. In unione con Ponzio Pilato, quindi, poterono facilmente porre fine, una volta per tutte, al re d’Israele.
O almeno così sembrava. Perché dietro tutti gli agenti, umani o diabolici, che erano decisi a trasformare la Domenica delle Palme nel Venerdì Santo, c’era la provvidenza di Dio, la cui stoltezza è più saggia degli uomini e la cui debolezza è più forte degli uomini. Aveva deciso, come dice san Paolo, che Cristo fosse crocifisso per la sua debolezza, affinché vivesse della potenza di Dio (2 Cor 13,4). Il nostro Re ha scelto di regnare dal legno, in modo che la Sua vittoria fosse la più gloriosa e noi imparassimo che il Suo regno non è di questo mondo, ma eterno. Tuttavia, facciamo bene a imitare la moltitudine che a Gerusalemme depose le vesti ai Suoi piedi, agitando rami di palma e cantando i loro Osanna. Vale a dire, facciamo bene, secondo le nostre possibilità, a edificare e manifestare il regno di Dio, perché questo ci si addice come sudditi di un Re così buono. E sebbene le nostre Domeniche delle Palme possano trasformarsi in Venerdì Santo, non dobbiamo mai scoraggiarci: perché al di là di tutto c’è la Pasqua e la gloria della risurrezione.