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Divisione della legge

Teologia Morale24 Gennaio 2023
Testo dell'audio

Ogni legge, s’è detto, è un ordinamento della ragione. A questo titolo, la legge risiede essenzialmente nello spirito del legislatore. Se si tratta del Legislatore universale, la legge del governo di tutte le cose, da cui derivano assolutamente tutte le altre leggi, sarà eterna come il pensiero divino. Ma in quanto essa ordina l’attività degli esseri, questa legge eterna è partecipata e derivata negli esseri che ne sono i soggetti. Come tale, la legge può essere naturale e positiva.

 

Per legge naturale s’intende legge che si esprime nella natura e mediante la natura stessa del soggetto della legge. Ciò può avvenire in due modi, materialmente e formalmente.

 

  1. a) Materialmente. La legge naturale governa materialmente gli esseri non intelligenti mediante la tendenza che li orienta necessariamente verso il loro fine, sia meccanicamente (leggi fisiche), sia istintivamente (istinto).

 

  1. b) Formalmente. La legge naturale si rivela formalmente agli esseri intelligenti per mezzo della conoscenza che essi hanno di ciò che è o non è conforme alla loro natura (legge morale naturale).

 

La legge positiva è quella che è proposta specialmente dal legislatore per esplicare o determinare la legge naturale. La legge positiva è soltanto accidentalmente positiva, quando proibisce o prescrive degli atti che sono già prescritti o proibiti dalla legge naturale (come il Decalogo); è essenzialmente positiva nel caso contrario.

 

I problemi relativi alla legge naturale sono quelli del suo concetto, della sua esistenza  e delle sue proprietà.

 

Concetto

Il nome di legge naturale serve a designare una legge che è conosciuta dal lume naturale della ragione come derivante dalla natura delle cose, che procede da Dio autore della natura e che governa l’attività dell’uomo dirigendola verso il suo ultimo fine. Designata anche col nome di diritto naturale (jus naturale), essa può dunque essere definita una partecipazione della creatura razionale alla legge eterna.

 

Il nostro punto di partenza stava nel determinare il fine ultimo della natura umana; la nostra ricerca presupponeva l’esistenza di un Dio personale, creatore e conservatore dell’universo, conformemente alle conclusioni della teodicea. Sappiamo, infatti, che nulla esiste in virtù del caso, che ogni cosa occupa il posto che le conviene ed ha un fine determinato da conseguire in accordo con la sua propria natura, che tutti questi fini particolari sono essi stessi ordinati al fine universale, che è la gloria di Dio. La creazione dell’universo appare dunque come l’effettuazione d’un piano eterno in cui tutto è perfettamente ordinato: una legge, eterna come il pensiero divino e immutabile come la saggezza di Dio, presiede a quest’universo e conduce ogni essere al fine voluto dalla sua natura e dalla sua funzione nel tutto. Negli esseri inanimati lavora una forza cieca e la relazione tra il fine e i mezzi è puramente meccanica: presso gli animali regna l’istinto, grazie al quale la legge si adempie sotto l’influsso di una necessità interna. Là non si trovano né meriti, né demeriti e, per conseguenza, né dovere né diritto.

Nell’uomo la legge non è più meccanica, né istintiva, ma morale. Essa obbliga la volontà, pur lasciando al libero arbitrio la scelta tra il bene e il male, senza di che il merito e il demerito non sarebbero comprensibili. La legge morale naturale non è dunque che la legge eterna in quanto regolatrice dell’attività umana. Ne risulta una radicale differenza tra ciò che è conforme all’ordine e ciò che vi si oppone, cioè tra il bene e il male. Lo stesso ordine finale si presenta come una legge per la creatura razionale, perché è essenzialmente un ordine divino, una partecipazione all’Intelligenza suprema, principio del governo di tutte le cose.

 

LA RAGIONE DIVINA – Bisogna bene afferrare tutto il significato di questa dottrina. Se la legge eterna si identifica con la ragione di Dio, si apparenta alle idee divine, eterne e immutabili, comprese nella Ragione divina (o Verbo divino, secondo la Rivelazione cristiana). Queste idee, che sono la Legge divina, sono dunque non solamente di Dio: esse sono Dio. Ne consegue che la legge eterna altro non è che Dio medesimo, il quale con la Sua Ragione governa ogni cosa così come l’ ha creata.

Siamo ben lontani dalla concezione stoica della legge, intesa come una specie di Fato o di Decreto impersonale che s’imporrebbe a Dio stesso. In realtà, la legge eterna, quale noi la concepiamo, è legata all’idea di creazione e fa tutt’uno con la saggezza di Dio, che muove e ordina verso i loro fini tutti gli enti creati. Per questo Sant’AGOSTINO e San TOMMASO affermano che Dio ha «concreato» a un tempo e la legge naturale e gli enti chiamati all’esistenza, per cui si può dire che la legge eterna è in qualche modo «trascritta» o «inscritta» nella ragione umana: essa è la ragione divina che s’irradia in noi per modo di partecipazione.

 

I PRINCÌPI DELLA LEGGE NATURALE

 

Poiché la legge naturale, per essenza, ordina l’uomo al suo fine ultimo, i princìpi della legge naturale avranno per oggetto ciò che è puramente e semplicemente il fine dell’attività umana (cioè il bene umano), in rapporto al quale tutto il resto ha valore di mezzo. L’insieme di questi princìpi costituirà formalmente una serie di giudizi pratici universali, poiché, da una parte, essi enunciano le leggi dell’attività umana (e in questo sono pratici), e, dall’altra parte, si rapportano a tutto il campo dell’attività umana e a tutte le attività umane, cioè si riferiscono al valore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, e sotto questo aspetto sono doppiamente universali.

 

IL PRIMO PRINCIPIO.

 

  1. a) Natura. Il primo principio della legge naturale e, per ciò stesso, di tutta la virtù morale è quello che definisce in modo universale, e prima di ogni determinazione specifica, l’ordinarsi dell’agire umano al suo fine ultimo. Questo principio si enuncia così: «Bisogna fare il bene ed evitare il male».

Che questo principio sia realmente primo, risulta innanzi tutto dal fatto che procede dai primi concetti dell’ordine pratico o morale, che sono i concetti del bene e del male, essendo il bene ciò a cui tende l’attività pratica e il male ciò che si oppone al bene. Il principio «bisogna fare il bene ed evitare il male» risulta immediatamente da questi due concetti come il principio di non contraddizione nasce immediatamente dai concetti di essere e di nulla, che sono i primi concetti della ragione. Il primato assoluto del principio del bene s’impone ancora per questa considerazione: la legge generale del bene si estende a tutto, spiega tutto, dà la spiegazione ultima di tutto e non suppone alcun altro principio pratico che sia più semplice e più chiaro. Per ultimo, il primato del principio del bene si rende manifesto per il suo carattere immediato ed intuitivo, che non comporta alcuna giustificazione, così come per il primo principio dell’ordine speculativo.

 

  1. b) Il senso morale. Il primo principio dell’ordine pratico è per eccellenza costituito di ciò che si suole chiamare senso morale, cioè del sentimento immediato e assoluto della legge regolatrice della coscienza e dell’azione pratica. Senza dubbio, il senso morale non è limitato esclusivamente al primo principio, avendo per oggetto ugualmente ogni principio pratico immediatamente evidente. Ma, come tutti i princìpi dell’ordine morale dipendono dall’evidenza immediata e assoluta del primo principio e si risolvono in esso, allo stesso modo che i princìpi speculativi si risolvono nell’evidenza del principio d’identità o di non contraddizione, così si può dire che il senso morale si definisce adeguatamente ed essenzialmente mediante il principio «bisogna fare il bene ed evitare il male».

Il senso morale, che gli Scolastici chiamavano sinderesi (etimologicamente: osservazione) che costituisce un habitus dell’intelligenza, non dev’essere confuso con la coscienza morale, la quale, intesa in senso proprio, ha la funzione di enunciare dei giudizi prudenziali, relativi ai mezzi da mettere in opera per conformare l’azione alle regole della moralità.

 

  1. c) Infallibilità del senso morale. Il giudizio del senso morale dev’essere detto naturale anche perché possiede una infallibilità che gli deriva dalla natura stessa dell’intelligenza: infatti, come giudizio speculativo – pratico, esso è infallibilmente vero, a titolo speculativo, in quanto è perfettamente conforme al suo oggetto ed enuncia una verità assolutamente evidente per sé, e, a titolo pratico, in quanto è necessariamente conforme alla tendenza al bene nella quale si esprime la natura profonda della volontà.
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