De Maistre due secoli dopo (Parte I)

Un secolo fa l’insigne storico cattolico francese Georges Goyau dava alle stampe uno studio su La pensée religieuse di Joseph de Maistre, in occasione del primo centenario dalla morte dello scrittore controrivoluzionario; fin dalle prime pagine del libro la personalità maistriana si staglia nella raffigurazione di lui ventunenne a difendere, davanti al letto di morte della madre, l’operato della Provvidenza dalle recriminazioni della sorellina Jeannette: in questo episodio si può già scorgere, come fa Goyau, «il futuro apologista dei consigli divini e dell’obbedienza umana».
Ma, per comprendere appieno l’evoluzione intellettuale del conte de Maistre, occorre tenere presenti le condizioni in cui si trovò a vivere nella Chambéry della seconda metà del XVIII secolo (vi era nato nel 1753): l’educazione presso i Gesuiti e la pratica religiosa quale membro delle confraternite di Notre-Dame de l’Assomption (o dei Nobili) e dei Pénitents Noirs (che assistevano i condannati a morte); l’appartenenza al Senato di Savoia, corpo di magistrati ereditari imbevuto di gallicanesimo; l’influenza dello “spirito filosofico” soffiante dalla vicina Francia, che si può avvertire in certa misura nei discorsi pronunciati da de Maistre nella sua qualità di nobile di toga; l’affiliazione alla massoneria, vera e propria moda politico-culturale dell’epoca, contro la quale le condanne papali risultavano affievolite dal giurisdizionalismo imperante.
L’impegno massonico costituirà la parte più significativa della sua giovinezza, prima nella loggia Trois Mortiers, di obbedienza inglese, in seguito in quella detta Sincérité, con cui era giunto a Chambéry da Lione il rito scozzese riformato: il conte, sotto il nome di Josephus a Floribus, ne era uno dei quattro superiori segreti, che soli godevano della piena fiducia delle autorità massoniche lionesi; proprio durante un viaggio a Lione egli era stato iniziato alla teurgia di Martinez de Pasqually.
Per l’afflato profetico e provvidenzialistico però era piuttosto il pensiero di Louis-Claude de Saint-Martin a venire incontro all’avversione maistriana per il deismo settecentesco, come del resto le radici profonde del proprio cattolicesimo, unite a un certo sarcasmo volterriano, facevano rilevare al conte tutte le assurdità dell’esoterismo: lo stesso Saint-Martin a questo alludeva, quando parlò di de Maistre come di «una terra da dissodare». Ma la Provvidenza voleva che fossero quelle radici cattoliche invece a uscire rinvigorite dalla tempesta rivoluzionaria e che la linfa cristiana del martinismo ne venisse ulteriormente depurata.
Al principio della Rivoluzione la loggia Sincérité si sciolse per volontà di Vittorio Amedeo III; l’invasione francese della Savoia (settembre 1792) aprì al conte la strada dell’emigrazione, che lo portò, dopo un breve rientro in patria, in Svizzera, a Ginevra e a Losanna, città nella quale si stabilì fino al 1797, dandosi in proprio alla pubblicistica controrivoluzionaria e svolgendo, dall’agosto del 1793, il ruolo di agente ufficioso del re di Sardegna: suo compito era di organizzare un servizio informazioni e del rilascio di passaporti per il Piemonte ad altri emigrati (se non anche di arruolare truppe).
Losanna offriva paradossalmente ricetto, in territorio calvinista, ad una folta colonia di preti cattolici: il loro eroico fervore rinsaldò in de Maistre la stima per l’ordine sacerdotale ed alcune sue vedute risultarono meglio indirizzate dalla frequentazione di uomini come l’abbé de Thiollaz, futuro vescovo di Annecy, che fu per il conte maestro di ultramontanismo (salvo poi essere superato dall’allievo). Nella sventura il suo «fatalismo ragionevole» permetteva al suo spirito di librarsi nella contemplazione dei misteri della teologia della storia: l’«illuminazione» circa la natura della Rivoluzione come una delle epoche di convulsioni del mondo si paleserà per la prima volta nel Discours consolatorio alla marchesa Costa de Beauregard per la morte del figlio sedicenne in guerra; le famose Considérations sur la France insisteranno sul carattere soprannaturale della Rivoluzione, distinguendosi in ciò dalle Considérations sur la nature de la révolution française del pubblicista liberale ginevrino Mallet du Pan, che cercavano di scioglierne razionalmente l’enigma.
Il libro maistriano piacque a Napoleone per l’apprezzamento che vi era espresso verso la condotta e il ruolo dell’esercito francese nella conservazione dell’integrità nazionale; il Corso più avanti si mostrò favorevole al Savoiardo, quando lo depennò dalla lista degli emigrati. L’atteggiamento di de Maistre nei confronti di Bonaparte si mantenne tuttavia improntato, fra approcci diplomatici e sfoghi d’ira, a stupore per l’inconsapevole opera provvidenziale svolta dal «demone meridiano», dal «più famoso, terribile e fortunato brigante mai esistito», per il quale egli auspicherà «la saggia giurisprudenza dei Cosacchi» nel processo intentatogli dal genere umano sui campi di Smolensk.
Questo testo di Claudio Meli è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it