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Da Cuba alla Cina il regime comunista

Zoom: una notizia alla settimana13 Dicembre 2021
Testo dell'audio

Si chiama Guillermo “Coco” Fariñas, è considerato il leader dell’opposizione cubana, premio Sacharov 2010 del Parlamento europeo, coordinatore generale del Fantu, il Forum Unito Antitotalitario: ancora una volta è vittima del duro regime comunista al potere nell’isola. Lo scorso 9 dicembre è stato arrestato nella sua casa di Santa Clara, prelevato da agenti della Sicurezza ed infermieri e portato in ambulanza presso il reparto di Pneumologia dell’ospedale «Arnaldo Milián Castro», ovviamente contro la sua volontà, come ha riferito via Twitter sua figlia Haisa.

Non è la prima volta, tutt’altro. Sono continue le sue detenzioni, ordinate dall’Apparatčik. In meno di un mese è già stato sequestrato un paio di volte, senza nemmeno uno straccio di ordine da parte di un tribunale. Come lui, altre decine di attivisti vengono sbattuti nella cella di un carcere o tenuti in stato d’assedio dentro le loro case.

Il giorno prima del blitz, lui e Berta Soler, la leader delle Dame in Bianco, pure vincitrice del premio Sackarov, avevano rivolto l’ennesimo appello all’Unione europea, invocando un intervento scandalosamente mai giunto, dato che l’Accordo di dialogo politico e di cooperazione, firmato cinque anni fa tra Ue e Cuba, è stato ripetutamente e clamorosamente violato da entrambe le parti. Un silenzio complice da parte di un’Europa sempre più latitante, insignificante e politicamente succube, proprio nel momento in cui massima diviene la virulenza del regime comunista cubano.

Anche in Cina la situazione si è fatta più pesante con la legge sulla sicurezza nazionale utilizzata in modo improprio come una clava nelle mani del potere: ad Hong Kong ci sono stati 155 arresti, tra questi anche ultraottantenni, 50 gruppi a favore della democrazia sono stati sciolti, compresi partiti, sindacati e istituzioni religiose.

Un clima di terrore incombe in vista delle elezioni parlamentari del 19 dicembre, le prime dopo il varo di una riforma elettorale voluta dal governo cinese e studiata ad hoc per favorire solo i candidati “patriottici” ovvero comunisti. Le forze dell’ordine hanno già avvisato che chiunque dovesse incitare a votare scheda bianca o nulla potrà essere perseguito. Anche i media sono finiti nel mirino del regime: la scorsa estate è stato chiuso il quotidiano indipendente Apple Daily; un’altra pubblicazione, Initium, ha spostato la propria sede a Singapore; la corrispondente dell’Economist, Sue-Lin Wong, è stata espulsa senza spiegazioni; uno dei fondatori del canale televisivo DB Channel, Frankie Fung, è finito in carcere assieme ad altre 47 persone, tutte con l’accusa di sovversione; a capo della televisione pubblica cittadina ora c’è un ex-burocrate. L’elenco potrebbe purtroppo continuare…

Anche in questo caso colpisce il silenzio internazionale: nessuno si pronuncia, come se quanto accade fosse ordinaria amministrazione. Ed è questa assoluta solitudine, questo deserto invincibile, in cui sono stati abbandonati i cinesi, soprattutto, tra loro, quelli cattolici, l’aspetto più sconcertante e disumano dell’intera, drammatica vicenda.

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