Da Cluny al lago d’Iseo

Situata a sud del lago d’Iseo e a pochi chilometri da Brescia, sorge una delle abbazie benedettine più interessanti del nord Italia. La fondazione del complesso avvenne nella prima metà dell’XI secolo per mano di alcuni monaci fedeli alla regola di San Benedetto e provenienti dalla prestigiosa Casa Madre di Cluny, in Francia. Per più di un secolo l’insediamento di Rodengo Saiano venne intitolato a San Pietro e, solo in un secondo momento, ad esso venne dato il nome di San Nicola, che ancora oggi conserva.
La fortuna del complesso sin dai suoi primissimi anni di vita fu dovuta alla collocazione su un quadrivio romano, molto utilizzato da mercanti e pellegrini. Proprio l’assistenza ai fedeli in cammino verso i luoghi santi della Cristianità fu uno dei compiti più importanti svolti dai monaci, che dimostrarono tuttavia grandi capacità anche nel bonificare i territori paludosi vicini, trasformandoli in terre coltivabili, da cui trassero grandi profitti. L’importanza dell’insediamento è sottolineata anche dal fatto che i monaci istituirono il complesso di Rodengo Saiano come “corte franca” (franca curtis), rendendolo in questo modo autonomo da qualsiasi altra autorità.
La crescita spirituale ed economica di San Nicola entrò però in crisi già a partire dalla metà del XIII secolo, quando, come testimoniato da numerosi documenti, il numero dei monaci e dei conversi calò drasticamente. Nonostante i numerosi tentativi di rianimare la vita monastica del complesso, il cenobio andò incontro ad un deciso e costante declino.
Nel 1446 intervenne direttamente papa Eugenio IV, che decise di insediare nel complesso una nuova comunità di monaci, appartenenti all’Ordine benedettino Olivetano di Monte Oliveto Maggiore (Siena). Il fermento portato dai monaci olivetani fu decisivo per dare avvio alla ristrutturazione del complesso e, successivamente, al suo ampliamento con la costruzione di due nuovi chiostri e il rifacimento della primitiva chiesa. I monaci portarono avanti l’opera di bonifica dei terreni paludosi vicini al monastero, aumentando così i territori sotto il loro controllo diretto. Contemporaneamente San Nicola riprese ad essere centro promotore di evangelizzazione e preghiera, vero e proprio punto di riferimento delle comunità locali e non solo.
Nel corso del Cinquecento, grazie alle rendite dei terreni agricoli, vennero iniziati importanti lavori di decorazione della chiesa e di numerose sale del monastero, che videro attivi in diversi momenti il Romanino, Lattanzio Gambara e Moretto. Anche nel corso del Seicento e del Settecento continuarono le campagne di decorazione dell’intero complesso con l’intervento di Grazio Cossali e altri importanti pittori.
Il prestigio del cenobio continuò fino all’avvento della dominazione napoleonica del Nord Italia che, in particolare a partire dal 1797, decretò la chiusura del monastero e l’allontanamento dei monaci olivetani. Trasformata in alloggio privato e in azienda agricola, l’abbazia conobbe un’inesorabile declino, che continuò fino al 1969. In quest’anno, per volere di Paolo VI, nativo della vicina Concesio (Bs), l’intero complesso venne nuovamente affidato ai monaci olivetani. Grazie al sostegno dei fedeli locali e all’operosità dei monaci, San Nicola è stato restaurato e recuperato tornando ad essere luogo di preghiera, accoglienza e cultura.
Il lavoro di recupero e di restauro dell’intero complesso abbaziale, iniziato a partire dal ritorno dei monaci olivetani a fine anni Sessanta del XX secolo, ha restituito ai fedeli e ai visitatori la bellezza e l’importanza del patrimonio culturale di San Nicola. La chiesa conserva ancora la struttura della seconda metà del XV secolo, apprezzabile soprattutto nella facciata e nella forma ad aula unica dell’edificio sacro.
La facciata, in particolare, è caratterizzata da un aspetto semplice tipicamente quattrocentesco con tetto a capanna delimitato ai lati da due imponenti contrafforti. Al di sotto degli spioventi del tetto, corre ancora una decorazione ad archetti goticheggianti policromi di grande raffinatezza. Nel registro sottostante si possono ancora scorgere i resti di una decorazione pittorica che, sebbene molto rovinata dal tempo, ci permette di intravvedere le figure di due angeli in volo. Fra queste due figure era collocata una monofora, oggi murata.
Il portale quattrocentesco è realizzato in pietra simona, tipica delle valli bresciane, ed era sormontato da una lunetta affrescata raffigurante una Madonna col Bambino attribuita da alcuni studiosi a Vincenzo Foppa. Tale ipotesi però risulta ancora adesso molto discussa e oggetto di studio. Il rosone mistilineo collocato al centro della facciata è invece più tardo, esso venne infatti realizzato nel corso del Settecento.
La struttura della chiesa conserva ancora le forme quattrocentesche, come si può osservare dalla presenza di una sola navata e dai due archi a sesto acuto di gusto tardo gotico. L’aula unica presenta oggi un’estesa e sensazionale decorazione settecentesca di puro gusto barocco, che ricopre interamente le pareti della chiesa. Essa venne realizzata fra il 1725 ed il 1731 da Giacomo Lechi e Giuseppe Castellini per le parti decorative e architettoniche, e da Giovan Battista Sassi per le parti figurative.
Sulla parete settentrionale si aprono poi sei cappelle nelle quali continuano i motivi decorativi della navata e conservano pale d’altare di notevole importanza. Ne è un esempio la cappella dedicata a San Pietro, dove è ancora visibile una pala di grande qualità del Moretto, realizzata attorno al 1540, raffigurante Cristo in Gloria mentre consegna le chiavi a S. Pietro e il libro a San Paolo. La composizione è dominata dalle due possenti figure dei santi, che simboleggiano i pilastri su cui si fonderà la Chiesa per volere di Cristo. Notevole è anche il grande quadro raffigurante le Nozze di Cana, collocato sulla parete meridionale della navata, realizzato da Grazio Cossali nel 1608.
Procedendo verso il presbiterio si può ammirare il pregevole altare marmoreo datato 1688 e opera di Paolo Simbinelli detto Puegnago. La zona presbiteriale conserva anche lo straordinario coro ligneo intarsiato, realizzato nel 1480 dall’artista milanese Cristoforo Rocchi. I sedici stalli sono elegantemente decorati con vedute prospettiche della corte interna di un palazzo, caratterizzata dalla presenza di una pavimentazione a scacchiera.
Notevole opera lignea è anche la porta d’accesso alla sacrestia decorata con trentun formelle intarsiate, di cui però non si conosce con esattezza l’autore. Nella sacrestia si conservano interessanti affreschi frutto per la maggior parte dell’intervento di Gian Giacomo Barbelli, che ha realizzato la decorazione delle lunette con episodi tratti dalla vita di san Benedetto. L’affresco che campeggia al centro del soffitto raffigura la Trinità fra i Santi Benedetto, Scolastica, Francesca Romana e il Beato Bernardo Tolomei ed è anch’esso opera del Barbelli.
Il soffitto dell’antirefettorio è uno straordinario esempio del manierismo lombardo, realizzato da Lattanzio Gambara attorno al 1570. L’artista, formatosi presso la bottega del celebre pittore cremonese Giulio Campi e collaboratore poi del Romanino, mette in scena un straordinario quanto complesso progetto iconografico. Il tema centrale della volta è quello della Salvezza del’uomo attraverso la mediazione del settimo libro dell’Apocalisse. Verosimilmente per l’ideazione di questo elaborato ciclo di affreschi, il Gambara, venne consigliato dagli stessi monaci olivetani. Le mensole a stucco che scandiscono lo spazio della volta, creano dieci spazi laterali all’affresco centrale, nei quali sono raffigurate altre scene tratte dall’Apocalisse. La decorazione continua nella fascia sottostante il soffitto dove, ancora oggi, si possono ammirare tredici storie tratte dall’Antico Testamento, che si ricollegano alla tematica della Salvezza.
Dall’antirefettorio si accede poi al refettorio vero e proprio dell’abbazia, che ha subito, specie nel corso del XVII secolo, lavori di risistemazione, tali da alterarne parzialmente l’apparato decorativo precedente. Degli affreschi cinquecenteschi si è salvata solo una bella scena raffigurante una Crocifissione.
Seicentesche sono invece le decorazioni con finte architetture illusionistiche, opera di Grazio Cossali e Tommaso Sandrini. Così viene anche chiamato il refettorio della foresteria, dedicato ad accogliere la mensa degli ospiti dell’abbazia, per la presenza degli affreschi realizzati nel 1530 dal pittore bresciano Girolamo Romano detto Romanino. Il progetto decorativo, ideato da uno dei grandi protagonisti del Cinquecento italiano, risulta parzialmente mutilato in quanto, nel corso dell’Ottocento, due importanti affreschi del refettorio sono stati staccati e portati presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, dove ancora oggi sono esposti. Nella sala del Romanino sono però ancora visibili una Madonna con Bambino e san Giovannino, Gesù e la Samaritana al pozzo e una natura morta raffigurante una dispensa con stoviglie riconosciuti tutti come di mano del maestro bresciano.
Questo testo di Stefano Macconi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it