Cosa è davvero stato il ’68?

Cristianamente la storia ha un senso. E così nella Storia è possibile individuare un percorso.
Il Cristianesimo può essere sintetizzato tenendo presente tre passaggi consequenziali. Primo: Dio Padre. Secondo: Dio Padre si fa conoscere nel Figlio. Terzo: il Figlio si fa incontrare nella Chiesa.
Si sa, però, che se le case si costruiscono dalle fondamenta, si demoliscono, invece, partendo dal tetto. Pertanto, ciò che si rileva nella storia degli ultimi secoli, almeno dalla fine del Basso Medioevo (epoca che Leone XIII indicò come quella che, pur tra non pochi difetti, si era maggiormente sforzata d’incarnare i princìpi del Vangelo), è un progressivo processo di scristianizzazione (c’è chi lo ha definito “rivoluzione”), identificabile in tappe ben precise.
Le tappe della scristianizzazione
La prima è: Chiesa no-Cristo sì! Si tratta della cosiddetta riforma protestante (meglio sarebbe definirla rivoluzione protestante), con la quale si pretese accettare Cristo, ma separandolo dalla Chiesa.
La seconda tappa è: Cristo no-Dio sì! Persa la Chiesa, si perde anche Cristo. E infatti l’Illuminismo partorì il deismo ovvero la convinzione che Dio esista, ma così lontano da non preoccuparsi dell’uomo.
La terza tappa è Dio no, uomo sì! Perso Cristo, si perde anche Dio. Il marxismo ha parlato di ateismo scientifico e ha preteso farlo affermando che solo negando Dio si possa affermare l’uomo.
La quarta tappa è uomo no! Perso Dio, si perde anche l’uomo. Questa è una tappa, che si esprime tanto nella post-modernità quanto in un evento che, a nostro parere, s’inserisce bene nella post-modernità: il ‘68.
Molti si chiedono cosa sia davvero stato, il ‘68? I più rispondono -soprattutto influenzati da luoghi comuni dominanti- che fu, in particolar modo, il tentativo più o meno riuscito di abolire inutili forme gerarchiche. Insomma, il ‘68 come abolizione del “Lei” al professore o della pedana sotto la cattedra. Nulla di più ingenuo. Il ‘68 non è riducibile a questo. Il ‘68 è stato il tentativo di portare il concetto di rivoluzione dal piano socio-politico a quello dell’interiorità umana, cioé dalla società all’uomo.
L’uomo ha in sé una gerarchia, che deve assolutamente rispettare pena la sua autodistruzione. Essa può essere simboleggiata da una piramide, dove alla base vi sono gli istinti, nella linea mediana la ragione e al vertice la volontà. Il ’68 ha preteso sovvertire la gerarchia naturale che è nell’uomo per far in modo che gli istinti potessero emanciparsi tanto dalla ragione quanto dalla volontà. Qui si nota la prospettiva tipicamente post-moderna del ‘68. Ovvero una prospettiva di rifiuto di qualsiasi elemento valoriale definitive, che possa ricondurre l’uomo alla sua condizione limitata e creaturale. Il ‘68 è stato il tentativo, in parte riuscito, di smarcare l’uomo dall’ordine naturale. Per questo fine il ’68 ha prodotto tre rivoluzioni. La prima riguardante i costumi sessuali (rivoluzione sessuale), la seconda riguardante l’uso delle droghe (rivoluzione psichedelica), la terza riguardante l’uso di un certo tipo di musica (rivoluzione musicale). D’altronde un noto motto del ‘68 fu appunto: sesso, droga e rock n’roll.
La rivoluzione sessuale
La sessualità, nel suo significato cristiano, è la dimensione corporea della donazione dei coniugi. Si tratta, insomma, di una concezione, che sottopone la sessualità al giudizio della razionalità e della responsabilità e che la rende una componente tipicamente umana, cioè non riducibile all’istintivismo bestiale, bensì capace di realizzare l’essere umano nella sua integrità. D’altronde, cristianamente, i fini della sessualità sono due: procreativo ed unitivo, da non potersi separare volontariamente. Il ‘68, invece, ha imposto un tipo di sessualità sganciata da qualsiasi regola e unicamente espressione di quel trionfo degli istinti, che doveva a sua volta servire al “trasferimento” della categoria di rivoluzione nell’interiorità umana.
I maestri del ‘68 ne parlano più o meno diffusamente. Si rifanno a due pensatori che tempo prima avevano già teorizzato una rivoluzione sessuale di massa: Wilheim Reich (1897-1957) e Sigmund Freud (1856-1939).
La rivoluzione psichedelica
Il ‘68 odia la realtà, perché essa riconduce al limite e alla dipendenza. La famosa frase “Fantasia al potere” va letta proprio in questa prospettiva ovvero nel rifiuto totale del reale come principio di riconduzione dell’esistenza umana.
Si parla, quindi, di necessità di “allargare” la coscienza oltre i confini della norma ovvero della “normalità”. Le sostanze stupefacenti servono a questo intento. Oggi molti si “stracciano farisaicamente le vesti” dinanzi alla diffusione della tossicodipendenza, ma pochi sanno che l’uso delle droghe ha avuto i suoi cattivi maestri proprio nel ’68!
La rivoluzione musicale
La musica rock ha segnato un cambiamento significativo nella cultura musicale. L’aspetto caratteristico di questo genere è la ripresa di antiche e tribali espressioni musicali atte a liberarsi dai freni inibitori. Una di queste espressioni sono i ritmi cosiddetti afro-cubani a cui il genere rock si è manifestamente rifatto.
Dunque, serviva un tipo di musica capace di facilitare il trionfo dell’istintività sulla ragione e sulla volontà; capace inoltre di spingere verso un certo tipo di balli, che inducessero movimenti ossessivi del corpo. Mentre la musica armonica tradizionale suggerisce movenze ordinate, la musica rock suggerisce movimenti sganciati da qualsiasi ordine e armonia.
I “figli del nulla”
Un’obiezione che solitamente si fa: sì, il ‘68 ha avuto tante contraddizioni, ma è stato un movimento ricco di ideali. Quest’obiezione non regge.
Prima di tutto va detto che ideale è un’aspirazione, è un desiderio; e fin qui -potremmo dire- il ‘68 è stato pieno di desideri e aspirazioni. L’ideale, però, implica anche il sacrificarsi, affinchè ciò che si desidera si realizzi quanto prima. Ora – chiediamoci – quale modello di uomo ha prodotto la cultura del ‘68? Un uomo capace davvero di progettare, di sapere attendere, di sacrificarsi per un ideale? Sacrificarsi vuol dire autogovernarsi, cioè proprio il contrario dell’uomo nuovo del ’68, che invece doveva essere completamente istintivizzato. Il filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989) mise in rilievo l’esito nichilista ed edonista delle istanze rivoluzionarie, ch’erano proprie anche del ‘68.
La generazione, figlia di quella cultura, non è più impegnata; è semplicemente figlia del nulla?
Questo testo di Corrado Gnerre è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it