Chiesa e scienza in Europa nel secolo XVIII

Recenti accadimenti hanno riportato alla ribalta l’antica accusa della incompatibilità tra fede e scienza. Invece, nonostante una vulgata dura a morire, la Chiesa non solo non è mai stata contraria allo sviluppo della cultura, scientifica e artistica, ma rappresenta anzi la principale sostenitrice di essa.
Basta ricordare, infatti, che fu grazie ai copisti dei conventi che nel Medioevo venne preservata l’immensa cultura greco-romana, altrimenti destinata a scomparire. Fu negli scriptoria ecclesiastici che, grazie al lavoro di umili monaci, le opere di Virgilio, di Cicerone, di Seneca, di Ovidio, di Platone, di Aristotele non cessarono mai di essere una presenza costante della nostra cultura e poterono essere consegnate, secoli più tardi, agli studi di quegli “umanisti” che senza il lavoro misconosciuto dei copisti non avrebbero avuto testi sui quali cimentarsi ed esercitare la propria erudizione filologica.
L’attenzione alla cultura da parte della Chiesa prosegue nel tempo e sotto diversi aspetti: dalla creazione di importanti istituti di ricerca come l’Università la Sapienza (sì, quella stessa che ha voluto chiudere le porte in faccia a Benedetto XVI, la cui fondazione fu dovuta ad un Papa, Bonifacio VIII, un particolare evidentemente dimenticato da coloro che pretesero, in nome della laicità della cultura, che la lectio magistralis dell’attuale Pontefice non fosse tenuta) fino allo studio diretto da parte di ecclesiastici, che alla cura delle anime affiancavano un lavoro di ricerca serio e approfondito.
In tutta Europa la maggior parte dei docenti era costituita da religiosi o da studiosi formatisi in scuole religiose: un caso per tutti, quello dell’Università di Vilnius, all’avanguardia per gli studi astronomici, sorta nel 1579 e guidata dai Gesuiti fino alla fine del ‘700. Tale università, la più antica dell’Europa orientale, divenne presto uno dei maggiori centri scientifici e culturali della regione baltica, il più importante nel Granducato di Lituania (che nei suoi tempi d’oro si estendeva ben oltre i ristretti limiti attuali, unendo sotto di sé i territori della Polonia e dell’Ucraina, giungendo quindi fino al Mar Nero) e conserva tutt’oggi la più antica e ricca biblioteca del Paese. La prestigiosa istituzione nel 1832 venne chiusa d’imperio dagli occupatori russi (di religione ortodossa) e poté riaprire solo nel 1919, con la ritrovata indipendenza. Non fu quindi la Chiesa Cattolica a ostacolare la scienza.
Invece il Seicento (almeno visto dalle lenti del Novecento) sembra essere caratterizzato dallo scontro tra scienza e fede, esemplificato nei casi di Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Galileo Galilei. In realtà, a ben guardare, tale preteso scontro è piuttosto un portato della propaganda successiva, poiché nei processi ai personaggi citati non erano in questione né il metodo scientifico sperimentale, né la contrapposizione tra teoria eliocentrica o geocentrica — l’eliocentrismo era stato già sostenuto senza problemi dal sacerdote polacco Niccolò Copernico, le cui teorie venivano giudicate eretiche da Lutero — né la teoria bruniana dell’infinità dell’universo, bensì più generali problemi epistemologici e — nel caso specifico di Giordano Bruno — gravi questioni ereticali che nulla avevano a che fare con la scienza, bensì solo con la teologia, quali il rifiuto della transustanziazione e dell’esistenza della Trinità (posizioni che non stavano bene in bocca a quello che, come Bruno, era in primo luogo un frate…).
Non è questa la sede per analizzare come — al contrario di quanto molti pensano — sia invece proprio il cristianesimo a tendere a quel continuo progresso scientifico che mancava nelle culture antiche: sia la Grecia che Roma, infatti, basando gran parte della propria economia sullo schiavismo, non apprezzavano lo sviluppo tecnologico. Noto è l’episodio di Augusto che, di fronte all’invenzione di una lastra di vetro infrangibile, dopo essersi assicurato che nessuno sia a conoscenza della scoperta, fa distruggere il manufatto e mettere a morte il suo ideatore, perché l’invenzione avrebbe sconvolto l’economia romana.
Il Settecento è uno dei tanti esempi che dimostrano appunto la perfetta sintonia tra Chiesa Cattolica e ricerca scientifica: terminato il sanguinoso periodo della “prima guerra civile europea” ossia la Guerra dei Trent’Anni, che dal 1618 al 1648 insanguinò il vecchio continente — cambiando gli assetti geopolitici e creando una grave spaccatura che avrebbe con il tempo portato ai vari nazionalismi — e smaltiti i postumi di un avvenimento bellico così importante, il Settecento si caratterizza, se non per la pace, al-meno per un periodo di guerre cosiddette “cavalleresche”: le varie Guerre di Successione (spagnola, austriaca e polacca) e la Guerra dei Sette Anni, in cui gli scontri erano limitati a poche battaglie campali combattute tra soli eserciti.
In un tale clima era quindi naturale che la guerra riguardasse esclusivamente i militari di professione e che quindi le altre categorie la vivessero come un evento lontano o, meglio, non a vivessero affatto. L’Italia, pur se interessata la qualche scontro relativo alla Guerra di Successione Spagnola, rimase sostanzialmente al di fuori dei giochi bellici e anche per questo sviluppò moltissimo gli studi scientifici.
Questo testo di Luigi Vinciguerra è tratto da Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it