Il fine ultimo dell’uomo

+In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen
Intendiamo trattare qui tre temi etici fondamentali:
- il fine ultimo dell’uomo;
- la legge morale;
- l’amore.
IL FINE ULTIMO DELL’UOMO
Ci sono due aspetti del fine ultimo: un aspetto soggettivo che è la beatitudine, e un aspetto oggettivo che è il bene concreto, con la possessione del quale l’uomo realizza la sua beatitudine. L’uomo ha un desiderio naturale per la beatitudine e per la perfezione che determina ogni sua azione. La beatitudine è definita da Boezio come: “statu(s) bonorum omnium congregatione perfectus”, uno stato costituito dall’insieme di tutti i beni. Da San Tommaso è definita come: “bonum perfectum intellectualis naturae”, il bene perfetto della natura intellettuale.
Quale è la natura di questo insieme di tutti i beni, di questo bene perfetto, o, come è più comunemente chiamato, bene supremo? Essa deve essere assoluta e non relativa a un bene ulteriore; deve essere perfetta, escludendo la possibilità di sottrazione di ciò che è propriamente suo; e deve essere stabile ed accessibile a tutti gli uomini.
Ora, dato che ci deve essere proporzione tra una natura e il suo fine ultimo e bene supremo, possiamo concludere che il bene supremo dell’uomo deve soddisfare perfettamente le aspirazioni più essenziali e più profonde della natura umana, e, cioè, il bisogno di conoscere e di amare. L’oggetto dell’intelletto è il Vero, e l’oggetto dell’amore è il Bene; ed il Vero e il Bene esistono, nella loro pienezza, solo in Dio (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IaIIae, q. 2, a. 8). Quindi, nel suo aspetto oggettivo, il fine ultimo dell’uomo è Dio Stesso.
Inoltre, la metafisica e la teodicea mostrano che Dio con la creazione ha uno scopo. Questo scopo non può essere lo stesso Suo perfezionamento giacché Egli già possiede la perfezione, anzi è la somma di tutte le perfezioni; lo scopo è invece la Sua glorificazione da parte delle Sue creature nella loro somiglianza a Lui. Le creature irrazionali somigliano a Dio per il solo fatto del loro esistere, e nella perfezione della loro natura e delle loro attività con le quali rivelano di Dio il Suo essere, potere, e sapienza. Le creature razionali, invece, somigliano a Dio nella loro conoscenza di Lui e nel loro amore per Lui, nella loro realizzazione personale e nella loro beatitudine che questa conoscenza e questo amore portano loro (San Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles 3, 25).
Il fine ultimo dell’uomo allora consiste nella beatitudine del possesso di Dio per la gloria di Dio. Questa gloria di Dio è intesa come il fine ultimo primario dell’uomo, mentre la beatitudine dell’uomo è intesa come il suo fine ultimo secondario.
La Rivelazione completa il quadro coll’insegnarci che il possesso di Dio consiste nella visione di Dio. San Giovanni (17, 3): «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo»; (17, 24): «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo»; l’Epistola di san Giovanni (1, 3.2): «Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è».
Il fine ultimo dell’uomo è la visio beatifica, nella quale l’anima contemplerà l’essenza propria di Dio faccia a faccia, e in tal modo parteciperà alla vita della Santissima Trinità. Questo fatto ci è stato rivelato non dalla ragione ma unicamente dalla Fede. Non è un fine naturale dell’uomo, bensì (assolutamente) soprannaturale, in quanto trascende l’intelligenza e tutte le capacità della natura creata, che quindi hanno bisogno di essere rafforzate dalla Divina Grazia per questo scopo, e da ciò che è stato definito dal Concilio di Vienna (1312) come il lumen gloriae.
Fosse puramente naturale il fine ultimo dell’uomo, esso consisterebbe allora nella conoscenza e nell’amore di Dio, accessibili alla sua ragione naturale: una conoscenza analogica di Dio come causa prima e fine ultimo della creazione. La Chiesa ritiene possibile che un simile paradiso puramente naturale (“Limbo”) esista e che sia riservato ai bambini non battezzati che non hanno raggiunto l’uso della ragione: a loro non è stata lavata la macchia del Peccato originale e quindi non possono accedere al paradiso soprannaturale; ma, nello stesso tempo, non hanno contratto nessun peccato personale e quindi non sono incorsi in nessuna punizione. Naturalmente questo caso eventuale è di particolare rilevanza nella questione dell’aborto.
Un’azione è buona o cattiva secondo il suo orientamento, cioè, se è o non è orientata al fine ultimo dell’uomo: alla sua beatitudine, o, in altre parole, alla perfezione del suo essere, alla perfezione e realizzazione della sua natura umana. È con la Fede e con la pratica delle virtù che l’uomo raggiunge questa perfezione.
L’orientamento di un’azione al fine ultimo è determinato in parte dalla natura dell’azione stessa (per esempio, fare l’elemosina è bene, l’uccisione di un innocente è male) e in parte dall’intenzione dell’agente, che può fare di un’azione di per sé buona un’azione ancora più buona (come fare l’elemosina con lo scopo di permettere al beneficato un miglioramento morale) o un’azione cattiva (come fare l’elemosina con lo scopo di corrompere); o che può rendere buona o cattiva un’azione per sé indifferente (come per esempio il passeggiare, per ricavarne beneficio per la salute o, invece, per sottrarsi a un dovere). L’intenzione non può tuttavia mai fare di un’azione, di per sé cattiva, un’azione buona (è il caso, ad esempio, dell’aborto deliberato).