Beniamino Socche. Vescovo nel triangolo della morte

Bisogna esserci nati per capire qualcosa della terra emiliano-romagnola. E forse non basta. Mangiapreti, santi, camerati e compagni, montanari e bagnini, cantanti e professori, in una terra di passaggio che ne ha viste di tutti i colori. “Sazia e disperata” disse il card. Biffi un po’ di tempo fa, pervasa, come tutto il mondo occidentale, dall’ideologia dell’uomo che pretende di farsi dio a se stesso, senza più alcun riferimento al Padreterno. Eppure, per questo gregge bisognoso, i veri Pastori non sono mancati. Colpisce in particolare la vicenda umana e religiosa di mons. Beniamino Socche (1890-1965), prima vescovo di Cesena dal 1939 al 1946, poi di Reggio Emilia dal 1946 fino alla morte.
Quando fu nominato pastore della diocesi reggiana infuriava un clima da far-west in quel lembo di terra, fra le provincie di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara, passato poi alla storia come “triangolo della morte”. Il 18 giugno 1946, appena un mese dopo l’insediamento di Mons. Socche, a San Martino di Correggio si consumò il delitto di don Umberto Pessina, ennesimo sacerdote che in quegl’anni fu fatto fuori da partigiani comunisti. Solo oggi, piano, piano, la tragica storia del dopoguerra emiliano-romagnolo comincia a mostrare il suo vero volto, purtroppo grondante sangue. Di martiri. Tra questi si può includere anche il martirio “bianco” di mons. Socche che, incurante del rischio, si batté con implacabile fermezza nella denuncia di un clima ammorbato dall’ideologia comunista.
Bisogna esser nati in quel “triangolo” di terra per capire fino in fondo cosa possa aver significato questa posizione di mons. Socche. Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria decise di non partecipare neanche alle manifestazioni ufficiali promosse dalla autorità locali, perché non voleva dare occasione alcuna per giustificare quell’ideologia atea. Il Partito Comunista aveva messo in atto una violenta campagna di stampa e diffamazione contro di lui, campagna che era arrivata perfino ad accusare lo stesso vescovo di aver fatto ammazzare don Pessina per aver modo di incolparne il comunismo.
La sua forza spirituale e morale trae origine da un’intensa devozione alla Madonna: membro della Pontificia Accademia dell’Immacolata, era conosciuto per i suoi libri di mariologia, amava la Madre di Dio al punto che si batté per la definizione del dogma della mediazione universale di Maria. Per questo preparò anche un breve intervento al Concilio Vaticano II, purtroppo non gli fu data l’occasione di leggerlo, in un clima assembleare che sappiamo essere stato piuttosto contrario a questa istanza.
Il suo magistero oggi deve essere rivalutato anche per alcuni accenti di straordinaria attualità. Parlando della crisi della famiglia diceva: «Bisogna tornare indietro e fare quello che hanno sempre fatto per tanti secoli i nostri vecchi, dare ai figli l’affetto per la casa, per la famiglia, per la Chiesa, spronarli con l’esempio a tenersi bene attaccati al Signore. Ora tutto questo fate, solamente se voi vi unite a pregare, se diventate cioè sostenitori del Santo Rosario in famiglia». Di questi Pastori il gregge sente oggi più che mai bisogno.
Questo testo di Lorenzo Bertocchi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it