AVVENIRE – Quella pubblicità “di troppo”…

A dir poco stupisce la manchette, che da alcuni giorni campeggia alla destra ed alla sinistra della testata del quotidiano Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana: reclamizza l’Arci ed il suo 5×1000. Non il 5×1000, dunque, della Caritas o di qualsiasi altra sigla o realtà cattolica, bensì quello di un’organizzazione dichiaratamente di Sinistra, fin dalle origini. La stessa organizzazione, che, sul proprio sito, ribadisce, tra l’altro, non solo immigrazionismo spinto ed inclusione indiscriminata, bensì anche il suo sostegno a suicidio assistito ed eutanasia, nonché all’ideologia Lgbt. L’Arci include quella per il «fine vita» tra le «battaglie di diritto» e ritiene urgente «restituire dignità alla morte», richiamando «a responsabilità la politica rispetto ad un’azione legislativa a cui a lungo si è sottratta», ancorandosi «al principio di laicità dello Stato», che «sgombri il campo da derive oscurantiste o da facili strumentalizzazioni». Una presa di posizione in aperta contrapposizione al Catechismo della Chiesa Cattolica, che viceversa al n. 2277 definisce con chiarezza l’eutanasia «moralmente inaccettabile» e boccia anche qualsiasi «azione oppure omissione, che, da sé o intenzionalmente», provochi «la morte allo scopo di porre fine al dolore», essendo ciò «gravemente» contrario «alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere».
Non di meno totalmente al di fuori dall’orbita cattolica si pone anche l’altra campagna lanciata dall’Arci nazionale, campagna dal titolo «Sii ciò che sei, per un mondo gender inclusive» e che ha coinvolto già nel 2020 lo stesso sistema di adesione: sulle tessere è stata data la possibilità di «apporre un’identità alias. I nuov* soc* potranno infatti scegliere, in alternativa a nome e cognome, l’indicazione del codice fiscale sulla loro tessera. Inoltre, potranno rendere facoltativa l’indicazione del loro genere sulla domanda di iscrizione». Non a caso l’Arci si vanta di aver sollecitato «più volte il Parlamento ad approvare al più presto la proposta di legge contro l’omobitransfobia», in una parola il famigerato ddl Zan, che si scontra frontalmente con il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2357, dove, «appoggiandosi sulla Sacra Scrittura», si designano le «relazioni omosessuali come gravi depravazioni» e «gli atti di omosessualità» come «intrinsecamente disordinati», nonché «contrari alla legge naturale», ciò per cui «in nessun caso possono essere approvati». Figuriamoci promossi, consigliati ed incentivati!
Allora esiste un corto circuito tra la Dottrina cattolica e le convinzioni di organizzazioni quali l’Arci, corto circuito che non solo rende improponibile, bensì anche irricevibile la sua pubblicità su di un organo di stampa, che si voglia «di ispirazione cattolica» come Avvenire. Ciò, tenendo conto del presente, ma tenendo conto anche della storia dell’Arci: l’Associazione Ricreativa e Culturale Italiana (questo, per esteso, il significato attuale dell’acronimo Arci) nacque nel 1957 nell’alveo della Sinistra comunista. Vincenzo Santangelo, ricercatore presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, nel suo libro Le Muse del popolo, ne precisa le componenti politiche («il Pci, il Psi, la Cgil»), nonché la «vigorosa contrapposizione nei confronti di tutti quegli organismi assimilabili allo Stato o alle grandi imprese», compresi i Dopolavoro ed i Cral aziendali. Una forza, dunque, dichiaratamente antisistema ed anticapitalista. Di quella storia, l’Arci di oggi non rinnega alcunché, anzi è vero l’opposto: lo Statuto, approvato il 14 giugno 2014, precisa già nella premessa come essa rappresenti e voglia rappresentare «la continuità storica e politica con l’Arci delle origini fondata a Firenze il 26 maggio 1957».
Il 9 dicembre 1980, nel suo alveo, si costituì l’Arcigay. Fu voluta da un sacerdote omosessuale, un teologo della liberazione sospeso a divinis, don Marco Bisceglia (riammesso nella Chiesa solo poco prima di morire, malato di Aids, dopo la supplica da lui inviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, supplica in cui si pentì di quelli che chiamò «i miei errori e traviamenti»). Con lui collaborò a quest’avventura anche un allora giovane obiettore di coscienza in servizio civile presso l’Arci, Nicola Vendola detto Nichi, che poi divenne suo convivente, già presidente di Sinistra Ecologia Libertà dal 2010 al 2016. Non a caso, l’Arci, ha promosso, tra le altre, anche la campagna Giàfamiglia, che, a dispetto del nome, puntava al riconoscimento delle “nozze” gay.
Con la sua adesione al World Social Forum, l’Arci ha sostenuto, inoltre, l’antagonismo e la «globalizzazione alternativa» terzomondista, ribadendo la sua natura «antiliberista» ed «antimperialista», categorie che evidentemente si cerca di far sembrare obsolete più di quanto in realtà, per taluni, non siano.
Evidente l’incompatibilità tra la Dottrina cattolica e le ideologie, di cui l’Arci si è fatta portavoce dalla fondazione ad oggi. Proprio per questo fa quanto meno specie che il giornale della Cei, Avvenire, proponga la pubblicità dell’Arci, oltre tutto in bella evidenza in prima pagina, accanto alla testata. Un “idillio” tutt’altro che estemporaneo, dato che la stessa Arci, sul proprio sito ufficiale, rimanda addirittura, con tanto di link, ad un articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire lo scorso 14 luglio a proposito delle comunità energetiche. Ciò non basta per rendere organica e strutturale l’“intesa” tra il quotidiano e la sigla dichiaratamente di Sinistra, certo, ma è nota l’espressione di Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Ed è un fatto che le posizioni assunte dal giornale dei Vescovi siano state più volte – e su temi alquanto delicati – opinabili e contestate, su basi solide e concrete, da esponenti e sensibilità significative del mondo cattolico.