Ancora una parola sulla pandemia

Partiamo da un’evidenza, ormai ammessa da tutti in questi giorni: i vaccini non immunizzano completamente contro il Covid-19.
C’è chi si contagia, viene ospedalizzato e in alcuni rari casi muore, anche dopo aver ricevuto la seconda dose di vaccino. Il vaccino dunque non è la panacea contro il virus, come molti credevano o speravano. L’immunizzazione prodotta dai vaccini non è totale – e questo lo sapevamo – ma è anche più breve del previsto, e questo non lo sapevamo. L’insistenza con cui le autorità sanitarie spingono verso la terza dose di vaccini nasce proprio da questa consapevolezza. La consapevolezza, che è anche la preoccupazione di fronte a un nemico che non si riesce a debellare.
Che cosa significa tutto questo? Significa in primo luogo che la pandemia è reale, e avanza inesorabilmente, malgrado i tentativi di arrestarla. Tutti ricordiamo coloro che negavano l’esistenza della malattia. C’è chi ancora continua a dire che la pandemia non esiste e che è stata inventata dai governi per creare un artificiale stato di emergenza e imporre una dittatura sanitaria. Però di Covid ci si ammala e si muore e tra coloro che si ammalano e muoiono i non vaccinati sono di gran lunga più numerosi dei vaccinati. Ci sono due evidenze che non ammettono confutazioni, e che sono confermate dalla esperienza di ognuno di noi: la prima è che i vaccini non arrestano il coronavirus; la seconda è che i vaccinati sono più protetti dal virus dei non vaccinati.
Di fronte a queste evidenze come deve comportarsi il cattolico? Sul piano umano, deve prendere tutte le precauzioni che siano suggerite dal buon senso e che non siano in contrasto con la legge naturale e divina. Le mascherine, il distanziamento, le chiusure, i vaccini rientrano tra queste precauzioni lecite. E anche se queste precauzioni non assicurano una completa difesa, esse rappresentano il male minore di fronte alla minaccia del virus. Proviamo a immaginare l’abolizione di tutte queste misure, a cominciare dai vaccini. Il Covid dilagherebbe e mieterebbe vittime in maniera certamente molto maggiore di quanto avviene.
Ma il cattolico non può limitarsi al piano umano, deve elevarsi a quello divino e soprannaturale. Ciò significa che una volta prese le precauzioni suggerite dal buon senso ed essendo consapevole della limitatezza di queste misure preventive, egli deve abbandonarsi alla Divina Provvidenza perché, nella vita di ognuno di noi, tutto ciò che non dipende dalla nostra volontà, dipende dalla volontà di Dio. E la volontà di Dio và accettata e adorata, perché egli tutto ha predisposto per il nostro bene fin dall’eternità.
Ciò che riguarda la vita degli uomini singolarmente presi si applica, a maggior ragione, alle società umane considerate nel loro insieme, ovvero alla vita dei popoli e delle nazioni.
Quando una catastrofe collettiva investe una società, sia essa una guerra, un’epidemia, o una sciagura naturale di altro genere, si può essere sicuri che provenga da Dio, sotto forma di castigo misericordioso e purificatore. Oggi l’umanità non vuol sentire parlare di castighi, né individuali né collettivi, ma Dio non è solo creatore, è anche remuneratore, nel tempo e nell’eternità.
La teologia della storia cristiana insegna questo, anche se gli uomini di Chiesa hanno abbandonato questo insegnamento, e di fronte alle catastrofi collettive, fanno appello alla fraternità, allo sforzo solidale degli uomini, per reagire contro questi flagelli, piuttosto che alla preghiera e alla penitenza, per chiedere a Dio di allontanarli.
Dio però, per intervenire nella storia, si serve di cause seconde. E, nel caso del coronavirus, se la causa prima è Dio che lo permette, qual è la causa seconda, di cui si è servito per permetterlo?
Ho dedicato a questo tema una serie di articoli su Corrispondenza Romana, poi raccolti in un libretto, dal titolo Le origini misteriose del coronavirus (Edizioni Fiducia, 2021, pp. 100).
Più o meno negli stessi giorni è apparso in libreria un altro volumetto, curato dal giornalista Paolo Bernard, con il titolo L’origine del virus (Chiarelettere 2021, p. 166), che sostiene la mia stessa tesi: quella della creazione artificiale del virus nel laboratorio cinese di Wuhan.
Il libro di Barnard, che raccoglie la testimonianza di due ricercatori internazionali Steven Quay e Angus Dalgleish, e tanto più interessante, in quanto arriva alle medesime conclusioni partendo da una visione della storia differente dalla mia e basandosi anche su dati diversi. Questi due libri, di cui consiglio la lettura, non hanno nulla a che fare con le fantasiose teorie complottiste oggi di moda, ma denunciano luoghi, fatti, nomi, responsabilità precise: in modo particolare le responsabilità della Cina comunista nella creazione e nella diffusione del virus, ma anche le responsabilità dei governi e dei mass media internazionali nell’avvolgere di silenzio queste responsabilità.
Oggi si moltiplicano i video, gli articoli, le manifestazioni contro i vaccini, dimenticando però che dietro i vaccini c’è un virus, che dietro il virus ci sono dei responsabili.
Ma né i provax, né i novax, né l’establishment né chi lo contesta, risalgono alle origini della pandemia, indicandone le autentiche responsabilità.
Gli uomini di Chiesa, da parte loro, che dovrebbero essere al di sopra delle controversie politiche, si lasciano coinvolgere nelle dispute umane, invece di ricordarci che la nostra società è sull’orlo del collasso sociale, perché è colpevole di un ben più grave collasso morale e che Dio, e solo lui, è il padrone della storia e nulla, se non la preghiera, può cambiare la sua immutabile Volontà.