Aborto: male Usa e Benin, bene Irlanda e El Salvador

Biden sarà anche andato dal Papa, ma che si sia trattato di una semplice vetrina a scopo di propaganda lo dimostra l’annuncio dato poche ore dopo dal Dipartimento di Stato americano dei nuovi finanziamenti, inclusi dal presidente nel bilancio 2022, per il programma dell’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, programma che include la promozione dei cosiddetti diritti sessuali e riproduttivi (leggasi contraccezione e aborto) e dell’uguaglianza di genere (leggasi ideologia gender).
Non a caso l’Unfpa collabora con l’International Planned Parenthood Federation e con l’MSI Reproductive Choices (fino ad un anno fa nota come Marie Stopes International) ovvero con due delle più potenti multinazionali abortiste al mondo, che provocano ogni anno la morte di milioni di bambini nel grembo delle loro madri e che sono finite al centro di veri e propri scandali, dalle accuse di aborti forzati a quelle di vendita di parti dei corpi abortiti. Per questo Trump tagliò loro i fondi (100 milioni di dollari in meno a Planned Parenthood e circa 73 milioni di dollari in meno a Reproductive Choices), ma per questo il suo successore li ha invece tragicamente ripristinati.
Ciò accade proprio nel momento in cui perfino la Cina comunista, dallo scorso settembre, ha per la prima volta, tramite un’attenta campagna mediatica, iniziato a descrivere l’aborto come «molto dannoso» e tale da poter causare «gravi disturbi psicologici» alle donne, scoraggiando ufficialmente quelli «non medici». Un passo compiuto non per ragioni morali, bensì per arginare la pesante crisi demografica provocata dalla dissennata «politica del figlio unico» (ora si è giunti a consentirne almeno tre per coppia), politica che ha comportato per cinquant’anni un controllo forzato della popolazione e determinato, anche praticando aborti selettivi in base al sesso, la morte di un numero compreso tra i 200 ed i 400 milioni di bimbi in grembo. L’attuale inverno demografico ora potrebbe però provocare nel gigante asiatico un autentico disastro economico.
Brutte notizie anche dall’Africa, dal Benin per la precisione, dove è stata varata una nuova legge, che ha reso purtroppo possibile l’aborto anche quando sia a rischio il benessere morale, materiale, educativo, professionale delle neo-mamme. Immediata, ma per ora inascoltata la protesta di molte organizzazioni pro-life, nonché del portavoce della Conferenza episcopale locale, Padre Eric Okpéitcha, che ha accusato la normativa, sostenuta dal ministro della Salute, Benjamin Hounkpatin, di rappresentare «un invito all’omicidio», essendo «l’aborto un atto disumano, che distrugge la vita» e promuove «una cultura di morte».
Intanto, un’indagine condotta nel Regno Unito lo scorso luglio da un team di scienziati ha mostrato come il 5,9% delle donne, sottopostesi ad “aborto medico”, sia stato ospedalizzato a seguito delle complicazioni derivanti da aborti incompleti o emorragie gravi. Dati analoghi sono quelli diffusi negli Stati Uniti. E ciò proprio nel periodo in cui Oms e Onu avevano promosso senza criterio il ricorso alla pillola abortiva, dicendola sicura in un periodo emergenziale, a seguito della pandemia da Covid.
Il volto violento degli ambienti pro-choice è stato mostrato chiaramente, invece, dagli estremisti di sinistra e dagli attivisti del gruppo Pro Femina, che circa un mese fa a Monaco, in Germania, hanno provocato scontri con la Polizia e con i manifestanti aderenti ad una marcia pro-life, attaccato un centro di consulenza cui le donne devono ricorrere prima di abortire, nonché l’abitazione privata di un medico antiabortista, il dottor Gero Winkelmann, provocando gravi danni alla struttura. Exploit di analoga violenza, sempre con la stessa firma, si sono registrati anche a Vienna, durante un’altra manifestazione pro-life.
Ciò detto, non mancano, va evidenziato, anche germi di speranza: ad esempio, a El Salvador, in Parlamento, la proposta di depenalizzare almeno parzialmente l’aborto ha ottenuto un solo voto, dicasi uno. Non a caso, nel Paese, la Costituzione protegge la vita umana, ogni vita umana sin dal momento del concepimento.
Non solo. Anche in Irlanda, nel 2020, ben 1.480 donne, decise ad abortire, hanno cambiato idea e si sono tenute il bambino in grembo nei tre giorni intercorrenti per legge tra la prima consultazione e l’esecuzione a morte del piccolo. A dirlo, sono i dati forniti dal Pcrs-Primary Care Reimbursement Service.
Insomma, si è ancora nel tunnel di una cultura di morte. Ma qualche luce di speranza, in fondo, si comincia a scorgere…