A Hong Kong c’è un nuovo vescovo. In Cina continua la persecuzione

Hong Kong ha finalmente un nuovo vescovo: è Stephen Chow, un gesuita. Dopo due anni di decisioni che sembravano prese, quasi sul punto di essere annunciate, seguite puntualmente da ripensamenti, infine la Santa Sede ha fatto la sua scelta. Una via intermedia, fra quelli che avrebbero voluto l’incarico affidato al vescovo ausiliare, il francescano Joseph Ha, vicino al movimento democratico che si è battuto e si batte contro la deriva dittatoriale di stampo comunista nell’ex colonia britannica, e Peter Choy, un uomo che probabilmente sarebbe stato molto gradito a Pechino.
Secondo quello che ci viene detto, in realtà sia Joseph Ha, che Peter Choy avrebbero in tempi diversi ricevuto l’approvazione papale per la nomina. Ma la candidatura di Ha sarebbe stata lasciata cadere per il malumore manifestato da Pechino, che rimproverava al francescano il suo appoggio ai movimenti pro-democrazia. Mentre la seconda candidatura sarebbe stata abbandonata perché a un esame più attento è sembrata troppo accondiscendente verso i desiderata del Regime di terraferma.
Chow viene descritto da chi lo conosce come un uomo capace, colto; nel suo curriculum spiccano tre lauree importanti, ha ricoperto incarichi diversi nella diocesi, e soprattutto ha lavorato a lungo nel mondo dell’educazione. E questa caratteristica probabilmente ha pesato, nella valutazione della Santa Sede, perché la Chiesa cattolica a Hong Kong – per ora – gioca un ruolo importante nell’educazione della regione, con trecento scuole che educano, fanno catechesi, ospitano messe. Sono scuole paritarie, riconosciute dal governo in virtù di un accordo che risale ai tempi dell’amministrazione inglese.
Ora, con la spinta di Pechino a aumentare il controllo sulla città, c’è il pericolo che il regime comunista voglia in qualche maniera limitare e ridurre questo ruolo; e Chow potrebbe essere l’uomo giusto per combattere la battaglia. Da notare poi che – secondo quanto ci dicono – in un primo momento il nuovo vescovo avrebbe declinato l’onore (anche pensando, forse, al divieto posto da Sant’Ignazio ai gesuiti), e solo in un secondo tempo avrebbe acconsentito. Anzi, Chow, che era provinciale dei gesuiti, avrebbe dato due no: prima alla possibilità di una candidatura, e poi alla nomina stessa.
Nato a Hong Kong, educato dai gesuiti irlandesi, ha una prospettiva molto legata alla realtà in cui vive. E visto il problema dell’istruzione libera,, che è legato strettamente a quello della vita pastorale dei cattolici, la sua esperienza e il suo radicamento appaiono elementi preziosi. Anche perché non è affatto sicuro per quanto tempo ancora vivrà la regola “Un Paese, due sistemi” che ha garantito spazi di libertà all’ex colonia.
Molti degli attivisti democratici imprigionati a Hong Kong sono cattolici. Ma la Chiesa può fare poco, da quando è entrata in vigore la Legge sulla sicurezza nazionale. Durante le prime manifestazioni contro la legge sull’estradizione il cardinale John Tong ha chiesto il rispetto della democrazia e un’inchiesta indipendente sull’operato della polizia.
Questa nomina avviene sullo sfondo dell’accordo segreto per la nomina dei vescovi fra Santa Sede e regime comunista. Ma secondo quanto afferma padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, in un’intervista a Franco Bechis “Quell’intesa è già morta. Lo ammettono sottovoce anche alcune personalità del Vaticano. Da quando è stato firmato l’accordo più di due anni fa sono stati nominati solo tre vescovi. Nel frattempo la Chiesa sotterranea continua ad essere bersagliata senza pietà. Vescovi agli arresti domiciliari, sacerdoti cacciati dalle parrocchie, chiese e conventi distrutti. È una persecuzione senza fine”.